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SOLO – The importance of words (songs of love, anti-capitalism and mental illness)

SOLO – The importance of words (songs of love, anti-capitalism and mental illness)

È uscito il 16 marzo 2024 “The importance of words (songs of love, anti-capitalism and mental illness)”, album d’esordio di SOLO, un mix di influenze in cui si bilanciano sperimentazione e orecchiabilità, tematiche sociali e testi più intimi e riflessivi.

Dopo la pubblicazione di 5 singoli tutti diversi l’uno dall’altro, cosa che gli permette di avere una ampia copertura mediatica che va da Rai Radio 3 a La Stampa, passando per Metal Hammer fino a importanti riviste estere di settore quali Prog, It’s Psychedelic, Baby e Post-Punk.com, l’eclettico artista decide di racchiudere i brani già precedentemente pubblicati più altri 5 inediti in un album che è un melting pot di generi, ma allo stesso tempo coerente, con un occhio sempre puntato alla sperimentazione, all’art rock, alla psichedelia.

«Sono un ascoltatore onnivoro, sono davvero pochi i generi musicali che non rientrano nei miei ascolti. Quindi per me è naturale essere influenzato, di volta in volta, da generi musicali differenti. Al contempo, sono sempre stato molto affascinato dagli album eterogenei. In particolare, penso al “White album” dei Beatles: 30 brani, 30 generi musicali che si susseguono lasciando l’ascoltatore, di volta in volta, basito».

I Beatles, ma non solo, fra le influenze di SOLO, che vanno dal rock al pop, dal punk all’art rock, non disdegnando incursioni nell’elettronica sperimentale dei 50’s o nelle marce bandistiche da fanfara.

«Se dovessi elencare gli artisti che mi hanno più influenzato (e da cui ho rubato idee) nella stesura dei brani che compongono “The importance of words (songs of love, anti-capitalism and mental illness)” naturalmente dovrei citare prima di tutto i Beatles. E poi i Pink Floyd, i Muse del primo periodo e i Radiohead più chitarristici, i Nirvana, Karlheinz Stockhausen e Pierre Schaeffer, Edoardo Bennato, fino a compositori di marce bandistiche, che sono stati per me influenti nel periodo in cui suonavo il sassofono nelle fanfare. E Terry Gilliam e i Monty Python. In molti, nelle recensioni dei singoli, hanno notato attinenze con Suede, Gong, The Cure, Blossom Toes, Daft Punk e tantissime altre band che magari non ho neanche mai ascoltato: è il bello della musica e dell’arte in genere, arrivare a soluzioni affini da ascolti affini».

 

Come per i generi musicali trattati, anche le tematiche affrontate nei testi di “The importance of words (songs of love, anti-capitalism and mental illness)” sono disparate (come suggerisce lo stesso sottotitolo dell’album), divise fra riflessioni personali e analisi della società in cui viviamo.

«Le tematiche principali trattate in “The importance of words (songs of love, anti-capitalism and mental illness)” sono di sicuro di carattere politico-sociale, in particolare legate a quella che è la nostra società dei consumi, di un libero mercato incontrollato, di un capitalismo preponderante che influenza le nostre vite. E non di certo in maniera positiva. Influenzato dalla letture di Pier Paolo Pasolini, Naomi Klein, Noam Chomsky, sono sempre stato molto critico verso la società e di come questa ci influenzi, anche nel nostro profondo: le “mental illness” del titolo, sono convinto, sono dovute in buona parte anche a come i costrutti sociali che ci impongono e ci auto-imponiamo ci influenzano. Quindi è tutto collegato. Anche il modo in cui proviamo amore, a chiudere il cerchio».

 

“The importance of words (songs of love, anti-capitalism and mental illness)” è stato interamente registrato da SOLO, fra il suo studio personale e quelli dell’Hexagonlab Studio, coadiuvato da David Garofalo e Nico Saturno alle batterie.

«Come da nome, nelle registrazioni sono stato (pressoché) da solo, condizione che si è creata per il fatto di non essere riuscito a trovare musicisti che mi accompagnassero attivamente nel progetto. Quindi mi sono giostrato fra chitarre, bassi, programmazioni, strumenti elettronici quali oscillatori sinusoidali, generatori di rumore, filtri e sequencer (tutti digitali), oggetti vari usati in modo percussivo. Avendo già bene in mente gli arrangiamenti dei miei brani, già prima di imbracciare gli strumenti, è stato relativamente facile registrarli. Quando scrivo un brano lo penso quasi sempre già nella sua totalità, quindi immaginando già come dovrebbero suonare anche basso e batteria. Gli arrangiamenti di batteria, infatti, sono anche quelli scritti da me: Nico e David hanno avuto la pazienza di impararli e suonarli come io volevo (tranne su “Propaganda in my eyes, again (you’re erased)”: lì David distorse totalmente la mia idea di batteria, che in origine era molto più lenta, e devo dire che il risultato è stato alquanto notevole). Ad ogni modo, sono molto orgoglioso di questi arrangiamenti, in particolare per quanto riguarda le linee di basso, che sono tutte molto melodiche, quasi delle seconde voci, molto cantabili».

 

Particolare attenzione, all’interno dei brani che compongono “The importance of words (songs of love, anti-capitalism and mental illness)”, è stata data anche ai suoni, sia in fase di creazione/registrazione, sia in fase di mixaggio.

«Nei miei brani, oltre all’attenzione nello scrivere degli arrangiamenti quanto più particolari possibile, cerco sempre di aggiungere quel qualcosa in più sperimentando con i suoni. Ho migliaia di euro di pedali per chitarra e basso, che mi diverto a miscelare fra loro a creare suoni e paesaggi sonori. Ho usato molte modulazioni, ambienti particolari, anche sulle voci, fino ai synth. A questo proposito, ci tengo a dire che tutti i synth dell’album sono suonati con chitarra e basso, e non con tastiere, mentre gli arpeggiatori sono stati realizzati nota per nota al PC e gli strumenti bandistici sono stati scritti sotto forma di partitura e poi digitalizzati. Molta attenzione è stata data anche alla spazializzazione: importante è l’ascolto in cuffia, per poter apprezzare al meglio alcuni suoni che si spostano da un canale all’altro, in alcuni casi in binaurale, creando un effetto 3D, ad “avvolgere” l’ascoltatore».

 

All’album partecipano anche Nobody e Alidavid alle voci, rispettivamente sui brani “Something (you don’t need)” e “What’s the topic of the day? (forget the rest)”.

«Devo molto alla loro partecipazione, perché hanno colto alla perfezione l’essenza dei brani. Per “Something (you don’t need)” volevo una voce femminile che non fosse di quelle canoniche (come, del resto, non lo è la mia): la volevo sottile, un po’ bambinesca. La cercavo, ma non riuscivo a trovarla. Una sera, ubriachi in un bar, sentii cantare Nobody (che è anche la bassista della The Bordello Rock ‘n’ Roll Band): l’avevo trovata! “What’s the topic of the day? (forget the rest)” è uno spoken word sopra le righe che scimmiotta la propaganda degli anni ‘40 (pubblicità che avevano già di per sé dei vocalist alquanto “peculiari”). Pensando ai Monty Python (in particolare allo sketch di Terry Gilliam “International Communist Party of China”) avevo provato a registrarla io, ma la mia interpretazione era pessima. Quindi ho chiesto ad Alidavid di provarci lui. Devo dire che è impressionante il modo in cui è riuscito a ricreare quella che era la mia idea, senza che abbia avuto il bisogno di dargli chissà quante indicazioni: chapeau!».

 

L’album è uscito su pendrive, con un sacco di contenuti inediti che non saranno reperibili online, fra cui due bonus disc (contenenti versioni alternative, remix e bootleg), video e immagini.

«Sono sempre stato affascinato dai bootleg, in particolare quelli che ripercorrono le fasi di lavorazione dietro ai brani e che ti permettono di entrare all’interno del mondo dell’artista, e ti fanno capire quanto lavoro (e che tipo di lavoro) ci sia dietro l’evoluzione delle canzoni, dalla loro prima bozza chitarra e voce fino alla versione definitiva: le sovraincisioni, le sperimentazioni, gli arrangiamenti alternativi poi scartati… Molto presuntuosamente, penso che tutto questo mio materiale possa essere di interesse per qualcuno che magari vuole capire da dove sono partito per arrivare al brano finale, così ho deciso di inserire, all’interno della pendrive, un bonus disc, “The evolution of The importance of words (songs of love, anti-capitalism and mental illness)”, con questa “storyline” dei brani dell’album. Un altro bonus disc, “The importance of words [ALTERNATE VERSIONS, REMIXES & OTHERS]”, è invece dedicato, appunto, a versioni alternative, remix e prove particolari. Inoltre, sempre nella pendrive, saranno inclusi tutti i videoclip usciti, video promo, grafiche, promo pic, copertine dei singoli».

Solo descrive così i suoi brani:

Don’t shoot the piano player (it’s all in your head)

Ispirata tanto dai Rolling Stones di “Their Satanic Majesties Request” quanto dai Beatles di “Revolver” e i Pink Floyd di Syd Barrett, “Don’t shoot the piano player (it’s all in your head)” è un brano rock psichedelico che parla di allucinazioni e disturbi dissociativi. Pregna di suoni estranianti ispirati dal brano “Mangiafuoco” di Edoardo Bennato e da “Tomorrow Never Knows” dei Beatles, “Don’t shoot the piano player (it’s all in your head)” vanta un inciso di ebow “3D” in binaurale da poter maggiormente apprezzare tramite l’ascolto in cuffia.

“Don’t shoot the piano player (it’s all in your head)” su YouTube

https://www.youtube.com/watch?v=CbOOsU1VxX8

Summer fading (late love song)

Canzone che si interroga su cosa sia l’amore, e su come questo sentimento venga percepito e cambi durante gli anni che passano, da bambini ad adolescenti ad adulti, “Summer fading (late love song)” è un brano cangiante che, ad ogni fase della vita narrata dal testo fa corrispondere un arrangiamento diverso, pur restando un brano dalla classica forma strofa-ritornello-strofa (un po’ come accade in “Strawberry fields forever” dei Beatles). Si passa da un dream pop iniziale (infanzia) allo shoegaze con l’ingresso di batteria e basso (adolescenza), fino all’alternative rock dell’interludio e della parte finale (età adulta). Le influenze sono tanto da ricercare nei Muse quanto nei Pink Floyd e nei Radiohead.

“Summer fading (late love song)” su YouTube

https://www.youtube.com/watch?v=G_NWZIEPNW0

Hypocrisy (it’s all I see)

In bilico fra momenti di calma e altri di tensione, “Hypocrisy (it’s all I see)” è un brano che potremmo accomunare ad alcune produzioni grunge più legate alla psichedelia, con un cantato a tratti violento e aggressivo, altre più delicato, sempre malinconico. La tematica è rivolta a come spesso, soprattutto negli ultimi tempi, vi sia una banalizzazione nell’affrontare ogni tematica sensibile relativa all’ecologia, all’integrazione, puntando il dito sempre nella direzione sbagliata, sempre a favore dello status quo, mai a criticare un sistema economico per cui io consumatore non voglio rinunciare a ciò che la società dei consumi mi ha insegnato a desiderare, anche se ciò che ho imparato a desiderare è proprio il motivo per cui le cose che critico (cambiamento climatico, sfruttamento del lavoro) avvengono.

What’s the topic of the day? (forget the rest)
feat. Alidavid

Con l’avvento di internet pensavamo (ci illudevamo che) ci sarebbe stata una pluralità dell’informazione che avrebbe portato a una maggiore consapevolezza, da parte di tutti. Con l’avvento dei social ogni tipo di voce contro il sistema è stata ammutolita, soffocata dal marasma di messaggi che giornalmente ci vengono propinati, e a cui pare bisogni essere attivamente partecipi, altrimenti ci si sente tagliati fuori dal dibattito. E così nascono topic giornalieri, usa-e-getta come tutti i prodotti della società dei consumi, in modo che si parli di tutto e di niente, senza mai andare a fondo alle questioni ma passando subito al prossimo tema di dibattito, dimenticandosi del precedente senza averlo risolto o quanto meno affrontato, in un continuo presente. “What’s the topic of the day? (forget the rest)” è pensata come una finta pubblicità, dove viene venduto (torniamo alla società dei consumi) un prodotto chiamato Topic Of The Day. Il tono è quello della propaganda degli anni ‘40, uno spoken word (magistralmente interpretato da Alidavid) con tanto di sottofondo bandistico, una melodia accogliente e rassicurante, a tratti esaltativa, per invogliare all’acquisto del prodotto.

Propaganda in my eyes, again (you’re erased)

Ancora grunge. Ma questa volta di quello sporco, di estrazione punk. Il grunge dei Mudhoney e dei Nirvana di “Bleach”. E se “What’s the topic of the day? (forget the rest)” puntava il dito su come tutti sentiamo il bisogno compulsivo di dover dire la nostra rispetto a qualsiasi argomento, pur non avendolo analizzato a fondo, “Propaganda in my eyes, again (you’re erased)” parla proprio di come dall’alto veniamo influenzati in tutto quello che diciamo e pensiamo di pensare, anche quando gli argomenti trattati sono di natura nobile: il potere ha imparato che censurare non serve a nulla, ma è molto più efficace portare il dibattito a livelli banali, in modo che ci sia la percezione diffusa che le persone, i politici, persino gli imprenditori, si interessino di determinate tematiche, ma mantenendo un perpetuo status quo garantito dal fatto che non si affrontino mai, realmente, le problematiche di cui si dibatte; dal fatto che non si punti mai il dito verso le reali cause che portano alle storture presenti nella nostra società.

“Propaganda in my eyes, again (you’re erased)” su YouTube

https://www.youtube.com/watch?v=4ecXERqzWSo

Something (you don’t need)
feat.
Nobody

Canzone che miscela indie pop e dream pop con accenni alla dance e all’elettronica stile Daft Punk, “Something (you don’t need)” si sviluppa come un discorso a due voci dove la mia si intreccia con quella di Nobody, a volte attuando un gioco di risposte, altre armonizzando, altre accavallandoci a coprirci l’un l’altra, “costringendo” l’ascoltatore a decidere chi “seguire”: “The importance of words”. “Something (you don’t need)” è un altro brano dove al centro dell’attenzione c’è la società dei consumi e di come questa ci influenza, in questo caso rispetto allo spasmodico bisogno di dover apparire sempre fisicamente perfetti, in un perpetuo gioco dove il sottinteso è quello di infondere nelle persone l’idea malata di non essere mai all’altezza delle aspettative, in modo da infondere insicurezza negli individui. Del resto, non c’è miglior consumatore di una persona insicura, che colma le proprie insicurezze acquistando ciò che la società gli suggerisce possa migliorare il proprio status; senza tralasciare il fatto che una persona insicura sarà, in generale, più facilmente soggiogabile e controllabile, a tutti i livelli.

“Something (you don’t need)” su YouTube

https://www.youtube.com/watch?v=y90ccFoZbzI

Emotional (e)states

Brano strumentale composto tramite l’utilizzo di oscillatori sinusoidali, generatori di rumore bianco e filtri, per sintesi additiva e sottrattiva, “Emotional (e)states” prende spunto dalla elektronische musik e, in particolare, da alcuni lavori di Karlheinz Stockhausen. Brano in binaurale, pregno di suoni che si spostano spazialmente, è consigliato l’ascolto in cuffia per un’esperienza 3D.

Look out (consumerism will consume you)

Forse il più ambizioso dell’album, “Look out (consumerism will consume you)” è un brano che potremmo definire art rock. Vicino ai Radiohead più chitarristici, è la canzone che dà il titolo all’album (tratto dal verso “I don’t understand now and no more the importance of words”). Siamo su territori art rock, dove la melodia incontra il rumorismo, sempre guardando al rock psichedelico. Il testo, pregno di nonsense, vuole comunicare la confusione che si può creare nella mente in una persona quando accerchiato dai troppi stimoli (negativi) con cui la società dei consumi ci bombarda perennemente, fino alla perdita di senso delle parole, che porta all’incomunicabilità.

It’s propaganda time! (rejoice!)

Altro brano in binaurale, dove i suoni “attorniano” vorticosamente l’ascoltatore, “It’s propaganda time! (rejoice!)” è un brano di musica concreta ispirato ai lavori di Pierre Schaeffer. Legato al brano precedente che lo anticipa, come fossero un unico corpo, insieme anche al successivo “In the end (nothing matters)”, “It’s propaganda time! (rejoice!)” riprende il medesimo concetto espresso in “Look out (consumerism will consume you)”, dell’individuo bombardato da troppi messaggi coercitivi. Il brano è composto da jingle pubblicitari di aziende poco etiche, riprodotti in reverse, in un crescendo rumoristico che conduce all’ultimo brano dell’album.

In the end (nothing matters)

“You get confused, I know, when they are bombing you with so much shit”: con questa frase, “In the end (nothing matters)” chiude questo trittico di canzoni dedicate a come la società ci influenza e ci confonde, puntando alla nostra depersonalizzazione, alla nostra alienazione. E chiude anche l’album, con un brano corto e ossessivo, che ci riporta al rock psichedelico anni ‘60 dell’inizio, con una chitarra acustica ridondante e una voce ultra-effettata, fra leslie, filtri, riverberi, delay, vibe e phaser. Alla fine, nulla è importante.

Un esordio davvero convincente sotto ogni aspetto, che fa ben sperare per il panorama musicale nel nostro paese, dove non esistono solo prodotti usa e getta destinati a fare da sottofondo magari ai nostri acquisti in un centro commerciale ma che, scavando nel profondo, nasconde perle come questo “The importance of words (songs of love, anti-capitalism and mental illness)”, meritevole di una visibilità che dovrebbe varcare anche i nostri confini perché SOLO non ha nulla da invidiare a molti colleghi d’oltremanica e d’oltreoceano.

MARCO PRITONI

Tracklist:

01. Don’t shoot the piano player (it’s all in your head)
02. Summer fading (late love song)
03. Hypocrisy (it’s all I see)
04. What’s the topic of the day? (forget the rest)
05. Propaganda in my eyes, again (you’re erased)
06. Something (you don’t need)
07. Emotional (e)states
08. Look out (consumerism will consume you)
09. It’s propaganda time! (rejoice!)
10. In the end (nothing matters)

Credits:
“The importance of words (songs of love, anti-capitalism and mental illness)”, mixato da Edoardo Di Vietri presso l’Hexagonlab Studio, è stato masterizzato da Carl Saff, già a lavoro con artisti quali Sonic Youth, Mudhoney e Daniela Pes.
Voci, chitarre, bassi, elettronica e programmazioni sono di SOLO; batterie di David Garofalo e Nico Saturno (su “Hypocrisy (it’s all I see)”).

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