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WET FLOOR – Intervista alla band su “La città era piena di rumore”

WET FLOOR – Intervista alla band su “La città era piena di rumore”

Wet Floor

In occasione dell’uscita del loro nuovo album “LA CITTà ERA PIENA DI RUMORE” ho intervistato la band WET FLOOR.

Ciao ragazzi, piacere di avervi sulle nostre pagine. Quali sono stati i vostri primi ascolti?
Andrea: Ciao, piacere nostro. Ho iniziato ad ascoltare musica partendo dal punk: Punkreas, Nofx, Ramones, The Clash. Sono ascolti che mi hanno folgorato quand’ero ragazzino. Quello che mi è rimasto maggiormente impresso di questo mondo musicale è l’idea di dover essere sé stessi. Questo ci ha aiutato a capire che dovevamo cercare anche qualcosa di diverso, provando a sperimentare qualcosa di nuovo ed a cercare altri suoni ed altre band. Il primo disco degli Arctic Monkeys e i primi album degli Strokes sono stati i nostri primi ascolti diversi dal punk che ci hanno segnato. La formazione è cambiata da qualche anno a questa parte ed ognuno ha influenzato gli altri con le proprie band preferite.
Stefano: Mi piace pensare che il bello di suonare in una band sia il condividere esperienze e ascolti musicali diversi. Ognuno di noi ascolta sostanzialmente generi e gruppi diversi. Probabilmente io ascolto gruppi che agli altri fanno schifo e viceversa. Ma è proprio questo il bello: quando arriviamo in sala prove per scrivere pezzi nuovi, ognuno porta il proprio valore aggiunto, il meglio di quello che ascolta tutti i giorni. Per la cronaca: io non ascolto punk italiano, l’indie/cantautorato italiano mi sa schifo e non ho mai suonato in un gruppo garage. Perfetto, da due anni suono nel Wet Floor dove si cantano pezzi in italiano, c’è del punk con una spruzzata di indie: che figata!
Fabio: Sono cresciuto sostanzialmente ascoltando quello che si passava in casa, dal pop italiano al prog inglese. I primi anni consapevoli sono stati accompagnati principalmente dal pop punk:  Blink 182, Simple Plan, Fall Out Boy, Sum 41, tanto per citarne qualcuno. Per non parlare dei Linkin Park, che ho avuto la fortuna di vedere nel loro ultimo concerto italiano. E’ stata invece la batteria a influenzare i miei ascolti negli ultimi dieci anni: Led Zeppelin (John Bonham), Porcupine Tree (Gavin Harrison), Dave Matthews Band (Carter Beauford), The Police (Stewart Copeland), John Mayer (Steve Jordan), Paramore (Zac Farro) e immancabilmente tutta la discografia di Phil Collins.  Nell’ultimo anno ho ripreso lo studio del pianoforte abbandonato a 9 anni e mi sto appassionando al jazz, ma è ancora troppo presto.

Siamo vicini all’uscita del vostro terzo album, arriva a 6 anni di distanza dal precedente, bellissimo, Profezia in 12 pezzi, la gestazione è stata particolarmente difficile?
Andrea: All’inizio molto. Siamo stati costretti a trovare un nuovo batterista e volevamo inserire un chitarrista in più, per arricchire i brani e permettere di dedicarmi con più attenzione alle parti cantate. Quando ci metti tanto impegno, tempo e passione, speri che anche i tuoi compagni di viaggio facciano lo stesso, ma non sempre è così. Abbiamo provato molte persone, ma nessuna che ci convincesse a sufficienza o che avesse voglia di dedicarsi davvero al progetto. Poi abbiamo chiesto a Ste, convintissimi che non avrebbe mai accettato. Invece è andata bene e tramite lui siamo arrivati a Fabietto. Da lì in poi è andato tutto in discesa, abbiamo ricominciato ad andare tutti nella stessa direzione.
Stefano: Che dire di più di quello che ha già detto Andre, suono con loro da due anni o poco meno.
Ci conoscevamo di già perché con i miei vecchi progetti musicali avevo già condiviso il palco con i Wet Floor. Dopo che mi hanno contattato ho deciso di suonare con loro perché sia dal punto di vista umano (il più importante) e da quello musicale hanno ancora tanto da dire. Cito un verso di “Icaro”: “Per chi negli occhi ha ancora il fuoco di chi brucia ancora”. Icaro è uno dei brani del disco nuovo, è il primo che ho imparato per fare il provino con loro in sala prove. Di fuoco negli occhi ne ho ancora tanto, ho ancora tanto da dire ed è bellissimo farlo con questo gruppo. Mi piace pensare di aver dato tanto di mio in questo disco, pur essendo entrato nel gruppo in punta di piedi.
Fabio: Da tanto tempo ero alla ricerca di un progetto così. Il genere era familiare, ma è di fatto il primo progetto in cui suono che ha il “coraggio” di esprimersi in italiano, con tutti i limiti e i punti di forza che da ciò ne deriva. L’alchimia è arrivata subito: sono bastate un paio di prove e abbiamo cominciato a lavorare sui pezzi nuovi. Alcuni erano già pronti, ma la maggior parte sono stati arrangiati da zero, e sono grato agli altri per avermi lasciato sostanzialmente carta bianca sulle parti.   

Cosa ci possiamo aspettare di diverso rispetto le produzioni precedenti?
Andrea: E’ un disco che arriva a molti anni di distanza, come dicevamo prima, è inevitabile che molte cose siano cambiate. Siamo cresciuti noi e cambiate tante cose nella nostra vita, che sicuramente ci hanno influenzato. Abbiamo cercato di tenere il meglio degli scorsi lavori: cerchiamo sempre di non identificarci in un genere musicale e di “fare di testa nostra”, questa volta con più consapevolezza però. Ci abbiamo lavorato duramente, tornando più e più volte sulla singola canzone, prima di arrivare alla versione definitiva. Negli anni tra “La città era piena di rumore” ed il precedente lavoro abbiamo suonato tanto in giro, condividendo il palco con tante altre band. Abbiamo cercato di non fermarci mai ed accumulare tante esperienze che ci sono tornate utili, in fase di scrittura.
Fabio: Sicuramente, una batteria diversa e una chitarra in più!

 Quale sarà il concept di “La città era piena di rumore”?
Andrea: “La città era piena di rumore” è un disco che racconta il nostro modo di vedere e vivere una società sempre più sommersa da stimoli ed informazioni discordanti, in cui sentirsi vivi o sentirsi completamente persi. Il rumore di cui parliamo non è solo quello dei passi, del traffico, degli stadi pieni e dei ritornelli cantati insieme, a squarciagola. È anche e soprattutto quello generato dalle mille informazioni contrastanti, dai momenti difficili, dalle decisioni da prendere, dagli improvvisi cambiamenti, dal leggere le continue opinioni non richieste di chi si sente in dovere di parlare di cose di cui non conosce il significato. Il rumore spesso è dentro la nostra testa, anche quando fuori tutto tace. Si parla di questo ed anche dell’esatto opposto, del momento in cui tutti questi rumori sembrano armonizzarsi. L’idea è proprio quella di creare contrasto tra una canzone e l’altra, in cui la soluzione per uscire dai “labirinti della mente”, come dice il testo di una nostra canzone, è quello di partire da noi stessi e dalla nostra voglia di cambiare le cose, almeno nella nostra quotidianità.

A cosa vi ispirate per comporre i vostri pezzi?
Stefano: Semplice: il più delle volte Andre arriva in sala prove con un riff o una melodia. Ci propone l’idea su cui basare il testo. Siccome le cose da dire sono tante e il rischio di cadere nel banale (come fanno milioni di altri gruppi) è dietro l’angolo, si cerca sempre di associare quel tema ad un avvenimento personale che ci è accaduto veramente. Non c’è miglior cosa per essere credibili di fronte alle persone che ti ascoltano: parlare delle esperienze che ci capitano. Poi per arrangiare al meglio il pezzo ognuno ci mette del proprio, ci si scanna in sala prove, si prova il pezzo mille volte e poi… ecco come nasce un disco. Magia!
Andrea: Non c’è qualcosa di preciso che ci fa iniziare a scrivere. Quando riascolto le canzoni che abbiamo composto, ritrovo dentro tanto del mio e nostro vissuto, sia in termini di ascolti, sia in termini di esperienze che ci hanno portato a scrivere quel testo o a suonarla in quel determinato modo. Evito però di farlo diventare un racconto “dei fatti miei”, cerco di fare in modo che ognuno della band possa metterci del suo e che infine ogni ascoltatore possa associarla ad un suo momento e farla sua. 

All’interno della band avete ruoli diversi?
Andrea: Ognuno di noi ha la propria personalità e le proprie conoscenze. Questo spesso ci porta a delineare dei ruoli che però non sono fissi. Ste è sicuramente il più preciso ed attento ai dettagli, Fabietto il più tecnologico di noi, io mi occupo dei testi e spesso di portare l’idea iniziale, Luke è sempre attento a non farci uscire fuori tema. Al di là di questo è tutto discusso ed affrontato insieme, spesso le idee che portiamo in sala prove vengono stravolte dagli altri componenti della band, ma questo è il solo modo per rendere quell’idea migliore.
Stefano: Ogni cosa che facciamo fuori e dentro al gruppo è funzionale alla band. Scavalca il semplice concetto di “ruolo”. Anche bere un Cuba Libre in un determinato momento/ora del giorno o in un determinato frangente può essere funzionale alla band…. Può far nascere una canzone, far unire ancora di più la band, far svoltare una serata in cui si suona. E’ come il cosiddetto Butterfly Effect, “un solo battito delle ali di una farfalla può provocare un uragano dall’altra parte del mondo”.
Fabio: Cito qui un passo dell’autobiografia di Bill Bruford: “Un batterista non deve mai far capire al gruppo che lui ha più bisogno di loro che viceversa”.  A parte gli scherzi, ritengo che al giorno d’oggi non è più possibile essere nel mondo della musica limitandosi a suonare il proprio strumento: per questo nel corso degli anni ho utilizzato la mia passione per la tecnologia e l’informatica per approfondire concetti legati alla registrazione, notazione musicale e utilizzo di basi. Quando siamo entrati in studio, avevamo già un’idea di come sarebbe uscito tutto il lavoro grazie alle preproduzioni, cosa ormai fondamentale.

Avete partecipato a molti festival ed eventi, oltre che importanti collaborazioni, qualche ricordo particolare o aneddoto da raccontare?
Andrea: Ogni volta che si suona dal vivo e vediamo le persone cantare con noi dall’inizio alla fine o fermarsi interessati ad ascoltare le nostre canzoni, siamo felici ed emozionati. E’ il momento migliore per qualsiasi band. Mi viene in mente questo aneddoto: Tempo fa suonavamo al Circolo Agorà in apertura ad una band di Perugia che non conoscevamo ancora. Il bassista di questa band ci dice di non aver caricato il basso nel furgone e lo chiede in prestito a Luke. Al termine del nostro concerto esco a prendere una boccata d’aria e salutare un po’ di amici che erano venuti a sentirci. Rientrato mi fermo con Clinico (il nostro “tuttofare”, la persona che ci aiuta ai concerti, al banchetto ecc..) ad ascoltare la band. Mi dice “sono davvero forti”. In effetti spaccavano già da allora i Fast Animals and Slow Kids.
Stefano: Personalmente è proprio il suonare in giro l’esperienza più bella e sempre nuova che ti rimarrà per sempre dentro. Suono ormai da 15 anni e ho avuto la fortuna di suonare davvero in giro per il mondo con i miei vecchi progetti: dagli Stati Uniti, alla Russia, dall’Olanda, alla Sardegna… a Roma… dai grandi locali, ai piccoli scantinati. Ogni km percorso on the road ha ed è un ricordo particolare che rende ogni esperienza unica e irripetibile. Il condividere queste esperienze con i compagni di band e con le centinaia di persone conosciute in giro credo che sia una delle cose più belle che la vita ti possa regalare.

Progetti futuri? Possiamo aspettarci di vedervi in tour una volta finita questa situazione?
Andrea: Sicuramente sì. Il nostro principale obiettivo come band è andare in giro a suonare le nostre canzoni. Non vediamo l’ora di poter tornare ad incontrare le persone, cantare insieme e divertirci. Per noi la musica è sempre stata una valvola di sfogo, la dimensione live è quindi quella per noi più congeniale.

Ascolti interessati da consigliare?
Stefano: “La città era piena di rumore” dei Wet Floor, ovviamente.

MAURIZIO DONINI

Band:
Andrea “Staglia” Staglianò – Voce e chitarra
Luca “Luke” Erba – Basso e cori
Stefano “Nino” Crippa – Chitarra
Fabio Donghi – Batteria

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