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E-Wired Empathy – Intervista a Giovanni Amighetti

E-Wired Empathy – Intervista a Giovanni Amighetti

Alla fine degli anni ’80, dopo aver completato gli studi di pianoforte classico si è interessato al genere emergente della World Music. Ha collaborato con WOMAD e Realworld producendo molti degli artisti associati all’etichetta discografica inglese. Questo gli ha permesso di ampliare i suoi orizzonti musicali e approfondire la sua comprensione dei diversi timbri e stilemi dei musicisti. In particolare, Amighetti ha lavorato con Ayub Ogada per diversi tour e un album, Mari Boine per diversi tour, il Terem Quartet per un album, Adel Salameh e Naziha Azzouz per diversi tour e album, Guo Yue per diversi tour e un DVD che documentava alcuni dei loro concerti, Joji Hirota e Geoffrey Oryema per alcuni concerti. Amighetti ha inoltre prodotto “A Distant Youth“, un album del virtuoso suonatore cinese di guzheng Wu Fei con il chitarrista inglese Fred Frith, e “Mississippi to Sahara“, un album di Faris Amine che ha vinto il premio fusion della rivista Songlines. Ha anche suonato nei Fermi Paradox con David Rhodes, Roger Ludvigsen, Paolo Vinaccia e Jeff Coffin in collaborazione con gli astrofisici del JPL NASA e con Daniele Durante, rimanendo attivo nella scena della world music fino ad oggi. Quando è iniziato il periodo Covid e si è trovato chiuso in Italia per diversi mesi, ha approfondito la sua collaborazione con musicisti italiani, tra cui Moreno “il biondo” Conficconi, diversi musicisti di pizzica salentina e il chitarrista e compositore Luca Nobis. È stato con Nobis che ha iniziato quel dialogo musicale che li ha portati a registrare allo studio Esagono di Rubiera “Play@Esagono” con ospiti Valerio “Combass” Bruno, Petit Solo Diabate e Jeff Coffin e il recente “E-Wired Empathy” con Gabin Dabire, in uscita a maggio 2023. In queste opere, Amighetti ha perfezionato la capacità di creare brani strutturati al momento, legati alle sue radici nella musica folk europea e classica ma sapendo dialogare in modo profondo con i musicisti e le musiche di diversi paesi.

 

Ciao Giovanni, piacere di averti sulle pagine di Tuttorock. Vogliamo fare un passo indietro e inizi a raccontarci come ti sei avvicinato alla musica?
Mio nonno era un compositore che lavorava soprattutto in Germania e aveva quindi questo pianoforte in casa; durante le malattie infantili, tipo il solito morbillo, mi invitò a suonarlo, “Impara l’arte di Strauss”, mi diceva. In seguito, presi lezioni da quella che sarebbe poi diventata la Direttrice del Conservatorio di Parma. Non mi iscrissi al Conservatorio, ma durante le superiori mi diressi musicalmente verso la sperimentazione, musica psichedelica e cose del genere. Entrai in contatto con la Real World Records, la casa discografica di Peter Gabriel. 

Quali sono stati i tuoi primi ascolti musicali?
In casa mia si ascoltava solo musica classica, al limite delle marce italiane che diventavano quasi pop, e negli anni ’70 c’erano anche le sigle dei cartoni animati giapponesi. Di musica italiana sapevo davvero poco, fino alle medie, dove un mio amico, con cui avevamo fatto assieme un club di Subbuteo, aveva un fratello che ascoltava tanta roba tipo i Deep Purple, quindi, dai 14 anni in su, ho iniziato ad ascoltare non solo musica classica. 

Canzone e video di Bemebeya, con Gabin Dabiré, sono una meraviglia, peccato che Gabin se ne sia andato così presto.
Pochi giorni fa mi ha contattato un organizzatore estero entusiasta, che voleva organizzare qualcosa di grande, innamorato di questo progetto con Dabiré, non sapendo ancora che non è più tra di noi. Gabin era comunque ospite nel disco, in quanto il progetto E-Wired Empathy è composto da me e Luca Nobis, Direttore del CMP di Milano. L’idea ci è venuta scoprendo come ci troviamo molto meglio creando musica assieme, piuttosto che ognuno porta i suoi brani, non è una jam session, ma un modo di creare assieme. 

Se dovessi definire World Music a un profano, che parole useresti?
Come ero partito io con Real World, c’era una sostanziale differenza tra la World Music e la musica etnica; quest’ultima è, sostanzialmente, quella delle varie etnie e culture e molti dischi fatti in questo modo si trovavano nei loro cataloghi. Quello su cui ho iniziato a collaborare io è qualcosa di nuovo, dove ognuno portava la propria cultura, facciamo un esempio, se prendo un cinese, un giapponese, un kazako, e gli faccio suonare del blues, benché provengano da tre paesi così diversi e lontani, il risultato sarà blues. Se viceversa, tutti e tre portano la loro musica viene fuori qualcosa di diverso, senza un unico imprinting. Facendo molta produzione con l’estero, ritengo che un musicista italiano che suona i flauti cinesi come un cinese, non sia World Music, è uno che cerca di imitare qualcosa, di solito non riuscendoci benissimo, malgrado abbia una buona tecnica, ma gli manca la vera autenticità culturale. 

Una cosa che sicuramente appartiene alla musica.
Diciamo che “Si cerca un dialogo musicale tra persone che potrebbero non avere nessun dialogo, avendo lingue diverse, ma tramite la musica si trova questo punto di contatto comune, come si scopre facendo concerti assieme.” 

Bene, torniamo a bomba al progetto E-Wired Empathy che ti vede protagonista con Luca Nobis.
Io e Luca abbiamo fatto un disco assieme uscito due anni fa, usando strumenti acustici, lui la chitarra classica e io pianoforte e clavicembalo, con vari ospiti. In questo nuovo disco abbiamo inserito la voce di Gabin Dabiré, che ha portato anche quattro brani suoi. Abbiamo tolto il pianoforte per essere ancora più sperimentali, io ho usato del synth in stile anni ’70, cose strane con le chitarre, e ancora più strano, che abbiamo usato anche live, in due brani uso solo il jack, ovvero, invece di usare la chitarra elettrica toccavo il jack con una mano usandolo come input espressivo. 

In un periodo in cui spesso si fanno solo EP o singoli, avete creato un disco da 13 tracce, complimenti.
Lavorando in questa maniera siamo in realtà molto veloci. Abbiamo fatto due tracce con Gualdi molto complesse, quasi progressive, ci abbiamo messo tipo quattro ore in studio. Altri tre brani ci hanno impegnato per cinque ore, per dire. 

Un bel rocker Gualdi.
Lui è molto contento di venire a suonare con noi, si sente libero di creare senza limiti, noi siamo molto democratici in questo. Questo piace a tutti gli artisti che vengono con noi, sia chi viene dal liscio come Moreno, chi arriva dalla classica, abbiamo inserito anche le cornamuse di Giulio Bianco del Canzoniere Grecanico Salentino. 

Avete seguito un’idea precisa nel pensiero che guida il disco? Un concept? Un fil rouge?
L’idea direi sui musicisti, che magari ce l’ho di più io. La scelta di chiamare uno è pensando a cosa suona e come, questo porta poi a come nascono i brani in studio. 

Il processo creativo come è organizzato? Ognuno porta una sua idea e ci lavorate?
Andiamo in studio, quasi sempre senza un’idea precisa, poi lavoriamo lì; il tutto è più vivo e funziona meglio. 

Adesso lo porterete live il disco?
Abbiamo avuto un poco di difficoltà a causa dell’improvvisa scomparsa di Gabin, con cui avremmo dovuto fare le prime date, alcune sono rimaste, altre no. Dopo l’inaugurazione del tour a Milano, abbiamo fatto varie date e anche una assieme ad un astrofisico della NASA. Siamo al lavoro su un album che non è ancora uscito, con dei testi su cui ci hanno aiutato proprio i tecnici della NASA. Di date ne abbiamo varie, un poco a pezzi per via di quello che è successo, poi vedremo anche di riuscire a riposarci un attimo.

MAURIZIO DONINI 

Band:
Giovanni Amighetti
Luca Nobis
Guests live:
Jeff Coffin della Dave Matthews Band (una delle jam band protagonista assoluta della scena americana a partire dalla seconda metà degli anni ‘90) e Valerio “Combass” Bruno e sarà accompagnata dal batterista Roberto Gualdi (già con PFM, Vecchioni, Dalla, Jannacci e molti altri) e da GASANDJI, una delle più importanti cantanti congoloesi.

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