Now Reading
SOUNDGARDEN – DOWN ON THE UPSIDE

SOUNDGARDEN – DOWN ON THE UPSIDE

Ci sono album che rappresentano una storia, e ce ne sono altri che ne rappresentano la fine.
Molte volte la fine della storia di un gruppo, altre volte di un genere, o di entrambe le cose.

​Il disco che vi proponiamo oggi rappresenta tutte queste cose, e  forse anche di più.

Down on the upside è il disco che sancisce la fine della “storia” dei Soundgarden ( non ce ne voglia il recente ma quasi già dimenticato King Animal ) , e per alcuni anche dell’epoca d’oro del grunge.
Dopo due lavori impressionanti come Badmotorfinger e il capolavoro Superunknown la band di Seattle tira fuori dal cilindro un prodotto molto complesso e ricco di sfaccettature.
“Down on the upside” è un diamante ancora grezzo, mostra i segni di un nuovo percorso che però mai verrà intrapreso fino in fondo. L’atmosfera, anche se in maniera diversa, è cupa come nel disco precedente, e gli ammiccamenti acustici non rendono l’aria più leggera. Kim Thayil e Matt Cameron tirano su l’asticella dei tecnicismi portando la band a raggiungere una complessità maggiore nella composizione. Fra i vari brani degni di nota, due spiccano maggiormente: Blow up to the upside world e Tighter & Tighter. Il primo è un pezzo oscuro, inizialmente pacato e dall’incedere ipnotico ma che poi erutta in un rerfrain rabbioso e spasmodico, con un Cornell sugli scudi. Il secondo è il vero e proprio canto del cigno dei Soundgarden old style, quelli grunge, cattivi, che negli anni passati avevano spazzato via tutto facendolo sembrare vetusto, fuori dai tempi.
Ora però era il grunge ad essere ai titoli di coda, a non trovarsi al passo coi tempi. La rabbia era diventato altro, spesso rassegnazione, e quelle sonorità ruvide e graffianti stavano per lasciare il passo ad altre più morbide, maggiormente ricercate, ma non per forza meno genuine.
“Down on the upside” racconta questo: il cambio dei tempi, dei suoni, e delle strade, quelle dei Soundgarden.  Pronti a dividersi e a non essere più ciò che erano stati.    

di Francesco Vaccaro