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MOTTA – “SEMPLICE”, IL NUOVO ALBUM DEL CANTAUTORE TOSCANO

MOTTA – “SEMPLICE”, IL NUOVO ALBUM DEL CANTAUTORE TOSCANO

Parliamo del cantautore e polistrumentista Motta, al secolo Francesco Motta in occasione del suo nuovo progetto artistico, l’album “Semplice”, presentato in conferenza stampa ai colleghi giornalisti. Un progetto nuovo che guarda al presente ma che parla anche di futuro, immaginandolo, dopo un anno difficilissimo per molte categorie di settore tra le quali la musica. Nato a Pisa da famiglia livornese, nel 2006 è stato tra i fondatori del gruppo Criminal Jokers, band nata inizialmente con una matrice punk, focalizzata e improntata successivamente su una musicalità più vicina alla new wave, con un tratteggio particolarissimo.
Anche nel brano “Semplice” che dà il titolo all’album, un bellissimo tratteggio, recupero battistiano nella “coda” lunghissima , quasi tre minuti. Un brano eccellente, intenso come il resto dell’album. Un lavoro molto delicato, musicalmente raffinato, un song writing sempre molto chiaro, diretto ed attuale.
Il cantautore pisano ha presentato l’album nel corso di una conferenza stampa alla quale eravamo presenti anche noi di Tuttorock.

Il disco Semplice arriva a tre anni di distanza dal precedente Vivere o Morire, premiato con la Targa Tenco come Miglior Disco in Assoluto.
Tra i due album, c’è stata anche la partecipazione al Festival di Sanremo 2019 con la canzone Dov’è l’Italia. Il cantautore toscano ha iniziato a lavorare al disco ha cominciato a lavorare al disco esattamente tre anni fa: nel corso della conferenza stampa, Motta si è soffermato sul momento difficile e complesso che la musica vive – come altre categorie di settore spettacolo, cultura – e come l’emergenza sanitaria da Covid abbia influito su alcuni contenuti e temi del disco nati prima della pandemia.

Quando è iniziato il progetto artistico e qual è l’idea o l’esigenza creativa?
“ Questo è un lavoro iniziato ben tre anni fa, alcune canzoni le ho scritte durante il periodo di Dov’è l’Italia, prima di Sanremo 2019… ma mi sembrano passati 25 anni… Tutto è cambiato. Dopo un po’ di anni, per la prima volta, ho avuto tanto tempo per stare dietro alle canzoni. Alcuni brani sono nati prima della “fine del mondo”… Alcune canzoni invece non hanno retto il colpo, non ce l’hanno fatta ma non perché non fossero strettamente legate alla realtà; questo disco è nato come una voglia di arrivare all’essenziale, al semplice ma non al minimale. Non è un disco minimale, è un disco corposo. La cosa difficile nell’arrivare alle cose semplici è cercare di capire cosa togliere del superfluo. Mi sono concentrato sulle cose importanti. Poi, c’è stata una pandemia mondiale e abbiamo rimesso tutto in gioco. Ci sono canzoni in cui accetto di dire “qui va tutto bene”. Sono molto attaccato alle cose che vanno bene”.

Per questo nuovo disco, hai scelto di avvalerti di collaboratori fidati e importanti come Mauro Refosco a Bobby Wooten, Taketo Gohara e Carmine Iuvone:
“Nel 2020, a gennaio – ci dice ancora Motta in conferenza stampa – andai a New York a vedere un concerto di David Byrne. Lì incontrai Mauro Refosco, feci delle riunioni con lui nel suo studio: l’idea iniziale era fare una jam session con Bobby Wooten. Questa cosa non accadde ma portò un’organizzazione del disco di cui sono particolarmente contento. Rispetto a Vivere o Morire, Mauro ha lavorato molto di più sulle canzoni. Con Carmine Iuvone, ho trovato un modo di concepire gli archi in maniera diversa rispetto a quello che facevo solitamente. Sugli arrangiamenti, abbiamo dedicato molto tempo. L’album è come un racconto che ha un inizio, uno svolgimento e una fine. L’inizio con gli archi rappresenta una rinascita. La fine è un po’ “nera”, forse nel prossimo disco potrei ripartire da lì”.
E ancora “Lo scorso anno, ho sentito molto la mancanza delle persone, ho sentito la mancanza della band. Appena abbiamo potuto, a settembre, ci siamo rivisti e ritrovati. Questo è stato uno dei punti focali del disco. In questo album, le canzoni che ho realizzato sono molto simili a come le farò dal vivo. È difficile ricreare, in un disco, questo aspetto “da band”. Sulla scrittura, mi ha dato una mano Pacifico. Per la prima volta, in questo progetto, ho lavorato con persone con le quali avevo già collaborato, come Taketo Gohara”.

Alessandra Paparelli