Now Reading
LITTLE BOYS – Intervista al duo Power Rock

LITTLE BOYS – Intervista al duo Power Rock

In occasione dell’uscita del nuovo album “Ricordati che devi morire”, ho avuto il piacere di intervistare i Little boys, duo Power Rock nato nell’inverno del 2020 in Giappone, dopo una scommessa su un volo aereo: Elle (Laura) alla chitarra/voce ed Esse (Sergio) alla batteria.

Dopo aver sperimentato in altre band e progetti e aver collaborato con affermati artisti italiani si sono fusi nell’attuale formazione a due, proseguendo incoraggiati dal fascino della sottrazione musicale.

Ciao e benvenuti su Tuttorock, parliamo subito di questo vostro nuovo album, “Ricordati che devi morire”, come sta andando?

Sergio: Sorprendentemente bene.

Little boys: Suoneremo live il 26 gennaio al Circus Rock Club di Firenze e ci hanno chiamato per una data aggiuntiva in Giappone: eravamo già entusiasti del fittissimo programma di Tokyo, ma questo ci spinge a dare ancora di più. Faremo uscire un nuovo singolo a fine marzo, proprio mentre saremo in tour, per poterlo anticipare dal vivo al pubblico giapponese, che abbiamo realizzato con un altro produttore giapponese basato oggi a Berlino. Al pari della titletrack, “Ricordati che devi morire”, sta andando molto bene anche “Satsugai” che è peraltro la nostra prima e unica traccia in lingua giapponese: vorremmo realizzare un videoclip in stile manga, per celebrare il mondo che ci affascina da sempre, che è stato motore scatenante del nostro incontro artistico (perché ho conosciuto Elle su un volo aereo verso il Giappone) e che ci sta dando anche tante soddisfazioni, insieme ad un pubblico che è diventato in certi casi fatto più di amici che di fan, che ci aspettano anche per farci da ciceroni nei posti meno usuali del loro Paese.

Come nasce solitamente un vostro brano, da una parola, da un riff, da un tema, oppure ognuno di esso ha una propria differente genesi?

Little boys: Ogni canzone ha uno sviluppo differente nel processo compositivo ma la scintilla da cui nascono tutte le canzoni è un’idea, una massa informe che si tenta di modellare, un momento di frenesia, poniamo molta attenzione alla creatività e cerchiamo di vincolarla e soffocarla il più possibile proprio per darle sfogo.

Ho apprezzato tutto l’album dall’inizio alla fine, ed ho percepito varie influenze, anche voi la pensate come me? Ovvero che esiste la musica buona e la musica non buona, senza distinzioni di generi o sottogeneri.

Little boys: Siamo d’accordo sul fatto che indipendentemente dai generi e sottocategorie la musica si divida primariamente in musica di consumo e musica che vuole trasmettere qualcosa, noi ovviamente facciamo il tifo per la seconda.

Il concetto di buono e cattivo è relativo, forse oserei dire che la musica “cattiva “ è proprio la musica buona e viceversa una musica che vuole essere “buona” è in partenza una musica cattiva, noi non siamo condizionabili al momento e viviamo abbastanza fuori dal tempo quindi la nostra scelta testuale estetica comunicativa e musicale mi piacerebbe rientrasse in quel filone dei cattivi maestri quindi  “ musica cattiva” qualcosa a cui avvicinarsi con attenzione, non siamo marmellata a buon mercato.

Parlatemi un po’ della scelta coraggiosa e molto efficace di registrare l’album in presa diretta.

Little boys: La registrazione in presa diretta è un po’ come voler cogliere l’attimo nella sua vera esternazione energetica, L’artificialità si coglie c’è poco da fare, quindi catturare la spontaneità nel suono e nella performance ha lo stesso valore di una fotografia scattata senza che il soggetto se ne accorga, cerchiamo di non alterare o di farlo il meno possibile.

Quando e com’è nato il progetto Little Boys?

Laura: È nato su quel fatidico volo aereo verso il Giappone a cui accennava Sergio (dove a breve torneremo per un Tour e non stiamo nella pelle), dove galeotto fu – nel bene e nel male – l’essere seduti vicini.

Quell’incontro è stato qualcosa di straordinario che ha cambiato le nostre vite, eravamo entrambi in viaggio, ed entrambi stavamo vivendo una crisi interiore che ci ha portato a rifiorire nel migliore dei modi.

Uno scherzo del destino che si è fatto necessità.

Il progetto si è sviluppato e ha iniziato a prendere forma tornati in Italia, venivamo da realtà musicali molto più complesse, band da 4 persone, molta strumentazione e uso di elettronica: è stato tutto troncato e ridotto ai minimi termini proprio come la filosofia orientale; less is more, concentrarsi sull’ essenziale, non eccedere, l’eleganza passa anche attraverso la scelta consapevole e l’eliminazione del superfluo.

Sono nati i Little boys e si sono evidenziati sottraendosi.

Lo stesso “Ricordati che devi morire” è un mantra per spendere meglio il tempo che si ha a disposizione. Noi stiamo consumandolo intensamente ma, soprattutto, esattamente come desideravamo consumarlo.

Questo ci fa stare bene a prescindere dal risultato.

Il Giappone, cosa significa per voi?

Little boys: Il Giappone per noi significa “base creativa”, “sogno erotico”, immersi in un posto totalmente diverso possiamo sentire la sfida e non possiamo che esserne completamente attratti.

Qual è il vostro più grande sogno artistico?

Little boys: Il nostro più grande sogno artistico è portare la musica in missione con noi alla conquista del mondo, come Alessandro Magno, così ci sentiamo.

Dopo le date live in Giappone previste a marzo vi concentrerete sulla scrittura di nuovi brani?

Little boys: Dopo le date del Giappone ci concentreremo su qualche live in Italia ma abbiamo già delle canzoni per il terzo Album da registrare che aspettano e altri posti esotici da invadere.

Grazie mille per il vostro tempo, volete aggiungere qualcosa per chiudere l’intervista?

Little boys: grazie mille a te e certamente, Ricordati che devi morire!

MARCO PRITONI