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INTERVISTA AI BALTO – GRINTA, PASSIONE, ROCK E RADICI TRA BOLOGNA E LA ROMAGNA

INTERVISTA AI BALTO – GRINTA, PASSIONE, ROCK E RADICI TRA BOLOGNA E LA ROMAGNA

BALTO

Intervista ai Balto, grintosa e talentuosa band romagnola che vive attualmente tra Bologna, Ferrara con le radici a Misano monte, gruppo nato artisticamente nel 2017. Furono i vincitori dei Giovani Talenti della Terra di Romagna, si esibirono alla Milano Music Week a cura del MEI-Meeting Etichette Indipendenti, una carriera giovane e in ascesa, ricca di sfumature e costellata di verità, profondità, grinta. La loro terra, le origini, le profondi radici, il rock, la voglia di creare, la quotidianità, il lavoro, la creatività, l’amicizia, il talento. I Balto sono: Andrea Zanni (voce e chitarra), Manolo Liuzzi (chitarra), Marco Villa (basso) e Alberto Piccioni (batteria).
Ricordiamo il video di Mac Barnen, terzo estratto dal primo album, regia di Lorenzo Santagada – Egg Creative Stuff

Abbiamo incontrato Andrea, voce e testi: rispetto ai vostri inizi, come e quanto siete cambiati con “Quella tua voglia di restare” eMac Baren”?
Sono due brani che faranno parte dello stesso disco, il nostro primo album. A livello cronologico “Quella tua voglia di restare” è stata scritta dopo “Mac Baren”, quando ormai le canzoni del disco erano già tutte “fissate”; Mac Baren invece è una delle prime che abbiamo scritto, ormai due anni e mezzo fa. Queste due canzoni parlano entrambe di incertezza da due punti di vista differenti, in Mac Baren forse più collettivo, in Quella tua voglia di restare più intimo e personale, essendo una sorta di lettera ad un padre, scritta immaginandosi dal futuro.

Quali sono le vostre “radici” musicali, provenite da diverse esperienze di gusti e stili?
Ci siamo conosciuti ai tempi delle superiori, ascoltavamo un sacco di indierock inglese e americano, è la musica che ci ha formati, quindi Arctic Monkeys, Strokes, Franz Ferdinand, ma anche Incubus e Biffy Clyro. Ora abbiamo ascolti abbastanza eterogenei e ognuno ha le sue preferenze, spesso anche molto divergenti dagli altri. Manolo (il chitarrista) ad esempio è appassionato di musica da cinema, e tra l’altro sta intraprendendo anche un inizio di carriera come compositore di colonne sonore.
Per quanto riguarda la Romagna, gli inizi artistici, le nostre radici sono importanti: sia io che Alberto, il batterista, ci conosciamo fin da bambini, siamo tutti di Misano monte o frazioni vicine, la Romagna è la nostra terra: abbiamo fatto tutte le scuole insieme, dall’asilo alle superiori e e successivamente ci siamo iscritti all’università, siamo andati a Bologna vivendo insieme nello stesso appartamento. Con gli altri amici e colleghi della band, ci conoscevamo fin dai tempi della scuola perché prendevamo lo stesso pulmino ma anche stessa scuola di musica.

“Mac Baren” è il vostro terzo singolo, brano dedicato alla città di Bologna. Quanto è rappresentativa e cosa significa per voi la città di Bologna? E la Romagna?
Direi che senza Bologna questa canzone non sarebbe mai nata, e comunque tutto questo primo disco sarebbe stato completamente diverso. “Mac Baren” è la sintesi delle nostre vite in questa città, nel periodo dell’ Università, della spensieratezza e dell’incertezza. In questa canzone e nel videoclip ripercorriamo i momenti in cui ci trovavamo in appartamento per comporre e lavorare alle nostre cose, un po’ sempre di corsa, tra una lezione dell’università e un aperitivo con gli amici. Era bello, c’era sempre un’energia forte, a volte lavoravamo fino a tardissimo e poi ognuno tornava a casa sua, ci salutavamo sotto ai portici fra strada maggiore e via Guerrazzi, nella Bologna vecchia. Vivevamo tutti in case diverse ma vicine. Naturalmente la Romagna è la nostra prima casa, e lo sarà sempre. Siamo nati al mare, nella provincia, sono sentimenti che rimangono.

“Quella tua voglia di restare”, il primo album, è uscito a maggio 2020, in questo periodo di grande difficoltà per la musica e la cultura in generale, per la musica dal vivo, per le arti, lo spettacolo, in piena emergenza sanitaria. Ti chiedo, come è nato il vostro album e qual è l’idea comune? C’è un filo conduttore?
Noi lavoriamo a questo disco da più di due anni, ci abbiamo messo tantissimo tempo a trovare la nostra “identità”, abbiamo lavorato sia in sala prove che al computer, in appartamento, su un treno regionale, un po’ ovunque, raccogliendo da tante fonti e cercando di gettare tutto in un unico fiume più grande. A livello di testi direi che c’è assolutamente un filo conduttore e che è quello che lega le nostre vite di 25enni a metà fra l’Università e la “vita vera”, il lavoro, le responsabilità. Questo disco parla delle nostre incertezze e paure, è intimo nel rapporto con i protagonisti dei testi, ma condivisibile per ciò che rappresenta da ragazzi della nostra età, o per lo meno dalle persone che abbiamo conosciuto e incontrato sul nostro cammino. Non è un disco nichilista, anzi, in qualche modo c’è una ricerca di speranza di fondo e credo che nell’ascolto per intero del disco si potrà cogliere, o almeno ce lo auguriamo.

Cosa significa oggi, secondo la tua/vostra esperienza, essere un “cantante alternativo” e fare musica “indie”?
Non saprei, davvero. Anni fa questo tipo di discorso era all’ordine del giorno, al bar la sera con gli amici, al centro sociale dove andavamo a provare o in qualunque occasione in cui c’era gente “come noi”. Oggi noi Balto non ci stiamo ponendo più in questi termini; vogliamo fare musica e la stiamo cercando di fare nel modo in cui piace a noi. Le dinamiche ed i meccanismi sono cambiati; le major guardano al mondo indipendente perché il mondo indipendente ha partorito “musica bella”, musica con un senso e che è arrivata alle persone. “Alternativo” per me vuol dire essere se stessi, trovare la propria identità, il proprio percorso; così sei “alternativo” perché nessuno al mondo potrà fare esattamente quello che fai te, in bene e in male. Il nostro mood è un po’ questo, senza essere snob chiaramente; stiamo facendo quello che ci piace meglio che possiamo, con tanto impegno e tanto rispetto verso la musica e le sensazioni buone o cattive che questa può dare.

Il termine indie non identifica un genere ma dovrebbe comprendere tutti gli artisti che non sono associati alle grandi major ma a etichette indipendenti:
Vero, ormai anche il concetto di genere è abbastanza superato nel mondo indie. Per esempio, sarebbe bello per noi fare dischi tutti molto diversi tra loro, e riconoscibili a livello di “identità” del disco. Ma anche il concetto di disco è ormai superato, quindi, non so.

Otto brani, otto tracce. Come nascono le vostre canzoni, i vostri testi? Sono tutti autobiografici?
Nel nostro primo album ci saranno 9 canzoni. Per ora abbiamo “fuori” i 5 brani di È tutto normale, il nostro primo EP del 2017, e tre canzoni nuove che sono appunto i tre singoli anche anticipano il disco. I testi nascono da sensazioni personali, mescolati alle vite delle persone che incontriamo. Di fondo, le canzoni nascono tutte da piccole o grandi crisi, in maniera istintiva e intima, poi le propongo agli altri e quasi sempre va bene, ogni tanto (per fortuna) scartiamo qualcosa che magari non “arriva” al vero, alla pancia, come altre.

Sei la voce della band, scrivi tu i testi o c’è un lavoro comune, di gruppo, sulla scrittura?
Le canzoni nascono chitarra e voce da me, poi ci lavoro un po’ con Logic, e le passo agli altri, a volte passo direttamente anche un provino registrato con il cellulare. Successivamente ognuno ci lavora in maniera individuale e ci confrontiamo di settimana in settimana, lavorando anche, appunto, insieme fino a che il brano non è “perfetto” per tutti e quattro. A volte in dieci giorni è fatta, a volte è capitato di lavorare per qualche mese ad una canzone che poi non entrerà nemmeno nel disco.

Un tuo pensiero sulla crisi dello spettacolo e della musica, sulla chiusura dei luoghi di cultura:
Penso che la cultura si meriti molta più attenzione, naturalmente. È stata fermata completamente una macchina che alimenta i sogni, la gioia di vivere e la necessità dell’incontro con la bellezza. È stato fermato un settore lavorativo in cui ci sono centinaia di migliaia di Persone che Lavorano con la Cultura (rigorosamente in maiuscolo, Ndr). È stato imposto agli utenti della cultura, a chi di cultura ne ha bisogno, di non averne più accesso. Tutti abbiamo bisogno di un concerto, di incontro, di bellezza, di cinema e di quadri, ma non sul computer, dal vivo, perché dal vivo c’è una ragazza giapponese che sta scattando una foto davanti a un Monet e tu devi aspettare il tuo turno e ai concerti c’è quello alto con sopra alle spalle la ragazza che ti impedisce di vedere (perché non basta ascoltare) il tuo cantante preferito, e allora devi sgomitare (gentilmente) per esserci anche tu. Certo, in questo momento, da diversi mesi, sarebbe impensabile chiedere di poter pogare tutti “appiccicati”, però credo che durante l’estate le Istituzioni avrebbero dovuto prospettare un piano differente per i mesi a venire. La sensazione è quella di essersi trovati davvero impreparati come a marzo scorso, e chi ci ha rimesso di più è proprio il settore della cultura e dello spettacolo, gli artisti, i tecnici, i fonici, i baristi, i ballerini, il cinema, ma anche gli spettatori, le persone che vanno ai concerti, al cinema e nei bar.

Alessandra Paparelli