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INTERVISTA A STEFANO CRISPINO, IN ARTE “STRE”

INTERVISTA A STEFANO CRISPINO, IN ARTE “STRE”

In occasione dell’ uscita del suo album “Carpe Die” abbiamo intervistato l’eclettico cantautore, producer e regista napoletano STRE.

Ciao STRE, benvenuto tra le pagine virtuali di Tuttorock! Sei un indie un po’ punk. All’ascolto le tue influenze risultano sicuramente molto variegate: canzoni che melodicamente ti conquistano, perfette per essere passate in radio ma al contempo ricche di una grande vena creativa e volontà di differire dal mainstream. Vuoi raccontarci chi è Stefano Crispino? Come hai iniziato a fare musica e quali sono le tue principali ispirazioni?

Non mi piacciono molto le definizioni, ma mi piace molto quella che mi hai dato, mi ci rivedo! Grazie mille per questi complimenti.
Sicuramente sono un ragazzo che fin da bambino aveva il sogno di fare musica. Ho iniziato a scrivere canzoni da giovanissimo: agli esordi mi occupavo di produzioni eurodance, poi sono passato per una piccola fase rap, ho militato come batterista in varie formazioni e per svariati anni sono stato il front-man e chitarrista di una band pop punk, fino a giungere al mio attuale progetto solista.
Nel frattempo ho imparato a dirigere e montare video musicali, per cui mi è rimasta questa “doppia professione” del cantautore/regista.
Per quanto riguarda le mie influenze nascono dalla spasmodica curiosità verso qualsiasi cosa mi dia emozioni: dal pop al metal, dalla dance al punk, dal rap alla musica classica, non ho assolutamente confini nei miei ascolti. Pertanto sono spesso inconsce.
Non scrivo una canzone pensando di voler assomigliare a qualcuno, quanto piuttosto di volerla sentire da qualcun altro.

Per il tuo ultimo album hai preso in prestito la famosa locuzione latina scritta dal poeta Orazio “carpe diem” che ha il significato di “cogliere l’attimo”: un’esortazione a vivere nel momento presente che però sottintende l’imprevedibilità del futuro. Mi viene in mente una citazione dalla Canzona di Bacco ad opera di Lorenzo De Medici: “Quant’è bella giovinezza / che si fugge tuttavia! / chi vuole esser lieto, sia, / di doman non c’è certezza.”
Tu però l’hai fatta tua, troncando la m finale e facendola diventare “die”, morte in inglese.
L’intento di “Carpe Die” è quindi palesemente canzonatorio e fa pensare a quanto spesso si abusi delle cosiddette frasi fatte, fino a privarle totalmente di un significato vero e proprio.
Sembra che tu non voglia accontentarti di “vivere l’attimo” ma addirittura di superare il concetto della morte. Mi vuoi raccontare come è nata l’idea di questo titolo e cosa rappresenta per te il “Carpe Die”?

Hai capito perfettamente il mio intento. L’idea è venuta fuori perché cercavo un titolo ironico che al contempo lasciasse un po’ di amaro in bocca.
Per me il carpe die rappresenta appunto una voglia di non fermarsi all’oggi; vivo di sogni e di obiettivi, si può dire che viva più spesso nel futuro che nel presente. Il concetto del “cogli il giorno” è stato nel tempo po’ esasperato e frainteso dai più, tramutandosi quasi in un “vivi come se dovessi morire domani”. La mia idea era anche quella di contrappormi a questa esasperazione.
Sicuramente c’è di mezzo anche una non accettazione della morte; superata, idealisticamente lasciando al mondo un “pezzetto” di me in vita, ovvero la mia musica.
Il titolo nasconde anche un ulteriore gioco di parole su “carpe” (cogliere), dai (pronuncia di “die” ma letta in italiano)”; ovvero un invito a cogliere tutto quello che la vita ci dona, a prescindere da quello che intanto perdiamo “cogli, dai”.
Nel disco infatti il filo conduttore di tutte le canzoni è la voglia di vita nonostante la morte; la voglia di vivere nonostante tutte le cose che col tempo perdiamo (amori, amicizie, persone care).
Di grande ispirazione per il titolo è stata sicuramente “Alzheimer,” una canzone che ha letteralmente cambiato la mia vita e il mio modo di scrivere.
Lì parlavo della mia perenne voglia di vivere ogni momento come se fosse il primo, con l’entusiasmo della prima volta.

Rimanendo nella tematica delle espressioni idiomatiche ne “Il problema non sei tu, sono io”, parli di dinamiche relazionali, smontando il cliché per eccellenza che spesso viene impiegato come appiglio per interrompere un rapporto che non funziona. Ne vuoi parlare?

Ho smontato il cliché del “il problema non sei tu, sono io” cantando nella seconda strofa anche l’esatto opposto. È un invito (implicito ed esplicito) ad assumersi ognuno le proprie colpe e responsabilità.

Proprio per il videoclip di questa canzone sei stato ripreso per la totalità dei 3.40 minuti di tre quarti, mentre canti all’interno di una bara. Che emozioni hai provato a vivere il tuo funerale?

Quello è più un “visual video” che un video ufficiale. Ci tengo a specificarlo perché sui secondi tendo ad essere spesso maniacale nella cura delle cose. Diciamo che volevo dare un contenuto visivo anche per le due uniche canzoni che non sono “singoli”.
È stato girato con un green screen quindi purtroppo (o forse, dato il contesto, dovrei dire per fortuna) non ho vissuto davvero quella situazione.
Posso solo dirti che le emozioni provate sono state sicuramente quelle di noia e dolore alla gambe. Dovevo restare immobile e mi risulta molto difficile, soprattutto quando devo cantare.
Sono iperattivo, da piccolo ero l’incubo di tutti i barbieri (forse lo sono ancora).

A questo proposito cosa seppelliresti della tua esistenza, in senso anche figurato?

Penso che tutto serva, anche le brutte esperienze, perché se non avessi sofferto non avrei scritto determinate canzoni e non sarei  divenuto quello che adesso sono. Ma se dovessi proprio scegliere ti direi alcuni anni del liceo, quelli sono stati un vero incubo.

Incise nel lato “A” abbiamo altre canzoni che giocano con il significato delle parole, ad esempio in “A pezzi” la tua testa viene metaforicamente tagliata da un boia e poi servita in tavola…

Si, quella è una delle canzoni a cui sono più legato, il senso è sempre quello dell’essere vivi “nonostante tutto”.

A questo proposito mi chiedo cosa ne pensi del concetto spesso divisivo del politicamente corretto, che potrebbe sfociare in una sorta di conformismo linguistico?

Qualche volta sono stato frainteso, ma solo da persone che non hanno ascoltato bene le canzoni, solo da qualcuno che non si era soffermato realmente sui testi. Non fa nulla, è una cosa che ho messo sempre in conto. Sono spesso sarcastico, il fatto di non venir sempre capiti fa parte del gioco.

In “La terra è piatta” parli di un amore finito ma al contempo scocchi una freccia anche ai complottisti. Anche se falsificata dalla scienza la teoria della terra piana ha molto seguito online e viene difesa strenuamente da vere e proprie associazioni che ne difendono la veridicità. Cosa vuoi dirci in merito?

È una canzone che parla della perdita delle certezze legate alla mancanza di una persona; ho voluto quindi smontare una delle certezze più storicamente e scientificamente “verificate” per farne anche in questo caso un’allusione, una metafora. E quindi “Divento complottista perché senza di te, la terra è piatta”.

La tematica decadente della morte ripercorre tutto il disco a partire dalla copertina in cui appari ritratto in un cimitero, tuttavia in una posizione gioiosa e quasi di danza. Una contrapposizione curiosa, che ne anticipa i contenuti visto che poi il tuo album è un vero e proprio inno alla voglia di vivere, che nulla ha a che vedere con tematiche “macabre”.
Ne parli in Vivo: “anche se forse non so più il motivo / vivo, sopravvivo, sempre vivo” cito queste tue parole che mi sembrano un messaggio molto positivo che esprime resilienza…

Assolutamente sì! Del resto, bisogna sempre imparare a danzare sotto la pioggia! È una foto vera (in tempi di AI meglio specificarlo) che mi hanno fatto in Scozia, durante quel viaggio mi colpì molto il rapporto che avevano gli abitanti di Edimburgo con la morte: cimiteri nelle città, bar a ridosso di questi ultimi, tour macabri di notte con gente che ride e si diverte.
Mi ha affascinato molto questo concetto di vita nonostante la morte, aiuta a combatterla (come l’amore, come la musica) e si avvicinava molto al “format” del disco.
È stata quasi una scelta obbligata; poi adoravo il fatto che si trattasse di una foto vera, l’importante è che le cose abbiano un significato per me e per la mia vita.

La tue canzoni riescono a cogliere nel segno come una pallottola nel cuore, in “Pistola ad acqua” carichi il testo di significati spesso ambivalenti che l’ascoltatore può divertirsi a trovare…

Anche in quel caso c’era un significato ambivalente, la “Pistola ad acqua” infatti metaforicamente era un “offesa” che non colpisce, che non ferisce ma che anzi, rinfresca.

Il lato “B” con “Alzheimer” / “Un Motivo C’è” e “Remake” contiene materiale più datato rispetto al più recente lato A del disco. Come credi che sia cambiato nell’arco di quei 2 anni circa, il tuo modo di comporre musica e di interpretare il mondo che ti circonda?

Il mio modo di fare musica è cambiato tantissimo. Quando ho iniziato a fare le prime produzioni per questo “nuovo” progetto (ovvero quelle che dopo sarebbero finite nel LATO B del disco), non mi preoccupavo che risultassero “nuove”, ma solo che risultassero “belle” (o almeno che incontrassero il mio giusto per quel periodo).
Credevo che la ricerca della “novità” fosse la cosa più vecchia al mondo.
Col passare del tempo, ho capito poi che, più della “novità”, era interessante cercare nelle produzioni la “particolarità” o comunque l’unione del “vecchio” col “nuovo” e quindi ho cambiato diametralmente approccio alle produzioni. Adesso ho solo una regola: non averne.

Qual è la tua canzone preferita in Carpe Die?
Forse se la giocano “Vivo” e “A pezzi”

Ti ringrazio per il tuo tempo e ti auguro un in bocca al lupo per il tuo bellissimo album!
Grazie a te e grazie di cuore per queste belle parole!

SUSANNA ZANDONÀ