Now Reading
“IL TEMPO DELL’INVERSO” – IL NUOVO ALBUM DEI TWANG – INTERVI …

“IL TEMPO DELL’INVERSO” – IL NUOVO ALBUM DEI TWANG – INTERVI …

Oggi vi parliamo di un progetto artistico raffinatissimo, uscito il 2 aprile scorso, dal titolo “Il tempo dell’Inverso”, nuovo album dei Twang, disponibile su tutti i digital store per Avio Music Records. Un sound molto bello, fresco, raffinato e che sa diventare tagliente al punto giusto, andando a mixare sapientemente le numerose esperienze di studio e professionali – con un tratteggio interessantissimo – che i cinque membri della band torinese hanno alle spalle, sia a livello nazionale che internazionale.
Twang sono una band di Torino nata verso la fine del 2015 dall’incontro di Bartolomeo Audisio (Chitarra e Flauto) con il compagno di liceo Simone Bevacqua (Voce e Chitarra) e con il fratello Moreno (Basso e voce). Successivamente, entrano in squadra il chitarrista Federico Mao e il batterista Luca Di Nunno.
Li abbiamo raggiunti e intervistati.

Parliamo de Il tempo dell’inverso, l’album di debutto:
Molto bene, partiamo con un riassunto veloce!
Dieci tracce fondamentalmente riconducibili a Stoner, Psych Rock e Western, atmosfere cinematografiche e testi in italiano.
Interamente realizzato presso gli Imagina Production di Torino, ad eccezione dei due singoli Attacco e Il Tempo dell’Inverso, mixati ai Real World Studios di Peter Gabriel e masterizzati presso gli Abbey Road Studios, il tutto sempre supervisionato dal nostro produttore Alessandro Ciola. Pubblicato grazie ad Avio Music Records e a Imagina Production, il nostro primo album è disponibile su tutti gli store digitali e presto arriveranno CD e vinili.

Come nasce l’album, qual è l’idea creativa del disco? C’è un’idea comune, un filo conduttore?

Il Tempo dell’Inverso era destinato alla nascita fin dal primo istante in cui abbiamo cominciato a suonare insieme, ma dovessimo individuare un momento nel tempo in cui l’idea dell’album si è concretizzata, potremmo dire verso la fine del 2018.
Di colpo, ci siamo resi conto di avere a disposizione un buon numero di composizioni caratterizzate da sound e tematiche coerenti: le dinamiche del potere e le sue sfaccettature, il concetto di “branco” come metafora sociale (ricorrente all’interno dei brani), la crudeltà e la manipolazione come strumenti di controllo personale e/o collettivo.
A livello puramente “estetico”, erano in ballo diversi pezzi basati su chitarre acustiche, percussioni e alle volte un pianoforte, ma abbiamo deciso di tenere solo le 10 tracce più vicine al nostro amato “three guitars sound”, ad eccezione dell’epilogo Il Pirata.
Inoltre, eravamo determinati a liberarci di un giudizio ricorrente riguardo la musica del nostro primo Ep Nulla Si Può Controllare, riassumibile con “bello e promettente, ma suona un po’ troppo datato”, fatto certamente alimentato dalla registrazione e il mix lo-fi. Per questo, era imperativo avvalersi di una produzione potente, pulita e moderna, che strizzasse l’occhio più a The 2nd Law dei Muse che a Villains dei QOTSA, per citare due esempi.

Siete una band di Torino, cosa portate della città con voi, nella vostra musica e come state vivendo la crisi della musica, i live fermi? Manca in Italia una Legge Nazionale sulla Musica che tutelerebbe artisti e lavoratori dello spettacolo, un vostro pensiero su questo.
Ci scusiamo in anticipo, sarà una risposta un po’ lunga.
Torino è sempre stata una città particolarmente vivace dal punto di vista musicale e, durante la breve parentesi di semi-normalità durante quest’ultima Estate, c’è stata un’ulteriore conferma di tale verità; non solo grazie ai pochi, fortunati eventi (organizzati con criterio e in piena sicurezza) che si sono tenuti, come Sofa So GoodStock a Spazio 211, o il fantastico Lucio Corsi all’Hiroshima Mon Amour.
Abbiamo vissuto una dimostrazione di unità della scena musicale torinese nel momento in cui si è tornati a misure più cautelative. Ricordiamo una riunione a cielo aperto, verso inizio Autunno in una piazza del centro cittadino, a cui ha partecipato praticamente ogni artista e formazione torinese, esponendo il proprio pensiero riguardo la situazione attuale e, più in generale, sulla considerazione della categoria musicale/artistica da un punto di vista lavorativo.
E’ facile inciampare nel populismo quando si cerca di parlare per una macro-categoria, ma siamo felici di poter vantare una certa maturità da parte della nostra generazione e una linea di pensiero comune, semplice e abbastanza lucida. Artisti e tecnici dell’arte sono lavoratori a tutti gli effetti, e qualsiasi lavoro necessita leggi e regolamentazioni per poter essere svolto al meglio. E’ innegabile che una soluzione ancora non sia stata trovata, nonostante gli incentivi finanziari proposti per gli addetti ai lavori.
Nel nostro caso, la crisi attuale ha un doppio risvolto, in quanto due di noi lavoravano come tecnici del suono, ed è inutile dire che abbiamo dovuto affinare le nostre capacità di adattamento in moltissimi modi, ma con molta più fortuna rispetto ad altri.
Per concludere, Torino è casa nostra. La meravigliosa atmosfera di collaborazione e sana competizione che anima la scena emergente è un’eterna fonte di ispirazione, una costante spinta al miglioramento. E’ come se ci fosse un enorme progetto comune, quasi come la febbre dello Skiffle a inizio Anni ‘60 in Inghilterra (a detta di Jimmy Page, almeno).

Quanto mancano il suonare dal vivo e l’approccio con il pubblico per un artista, per una band che come voi ha una bella e solida reputazione live?
Fortunatamente, si possono trovare alcune soluzioni, in extremis, per mantenere vivo il rapporto con il pubblico anche fuori dal palco.
Ad esempio, a giugno siamo riusciti ad organizzare uno Streaming Live presso gli Imagina Production Studios (dove abbiamo registrato Il Tempo dell’Inverso) che è stato accolto benissimo, e ci ha dato una meravigliosa carica per tutto quello che abbiamo fatto dopo.
Insomma, un’ottima esperienza, ci siamo sentiti come i Radiohead in un “From The Basement” di Nigel Godrich, ma, nel caso ci fosse qualche dubbio a riguardo, nessun artista potrebbe vivere solo di live da remoto. Non solo per il vitale ritorno di entusiasmo del pubblico, la cui assenza risulta inevitabilmente alienante, ma anche per la sensazione stessa di stare sul palco, sentire gli amplificatori che gridano dietro la schiena, la bellissima difficoltà di dover controllare i feedback e gestire limitati spazi senza tirare palettate in faccia ai colleghi.
Per non parlare della fase di preparazione dei concerti, sempre fonte di dramma e divertimento!
Insomma, i live ci mancano terribilmente, ma dalla loro mancanza potremmo anche trarre un risvolto “positivo”: nel momento in cui ricominceremo a suonare dal vivo, probabilmente ci godremo anche il più rocambolesco dei concerti, anche se ci trovassimo su un palco gonfiabile in una palude, come se ci stessimo esibendo al Reading Festival in pompa magna!

Come vi siete conosciuti, incontrati, come avete deciso di fare musica insieme?
Sempre grazie ai palchi!
Simone e Moreno sono fratelli ed eterni compagni di band, Federico ha spesso suonato con loro tramite la scuola The House Of Rock, Luca e Simone si sono conosciuti a un corso di teatro nel 2007 ed entrambi, anni dopo, hanno frequentato lo stesso liceo artistico assieme a Bartolomeo. Quest’ultimo è stato il vero catalizzatore per la nascita della band, e il tutto può essere racchiuso in una semplice telefonata, nel maggio del 2015 : “Ueiiii Simo, come va? E’ da un po’ che non ci si vede! Ti va di incontrarci al concerto dei Blues Brothers in Piazza San Carlo stasera, che ho una proposta da farti?”
Ufficialmente, la band è nata quindi a un concerto dei Blues Brothers!
L’idea iniziale era molto diversa: un progetto molto rilassato come live-band di standard Blues e Rock’n Roll, formazione mutevole, possibilmente con una voce solista femminile.
Vi concediamo un momento per metabolizzare quest’ultimo dettaglio.
All’inizio del 2016, dopo un processo molto graduale ma pazzescamente naturale, la band era esattamente quella che si sente ne Il Tempo dell’Inverso, con una direzione musicale ancora grezza ma ben definita, e in cinque anni non abbiamo mai avuto motivo di rimpiangere i piani iniziali. Anche se la voce solista femminile poteva essere un elemento molto interessante, ma ci accontentiamo di Simone e Luca.
Il vostro esordio discografico è datato al 2017 con l’EP auto-prodotto Nulla Si Può Controllare e proprio nel 2017 il singolo La legge del più forte vince il premio come Miglior Band per il concorso nazionale Senza Etichetta, presieduto da Mogol. Cosa ricordate di quella esperienza ma soprattutto, che tipo di esperienza è stata?

Più che un’esperienza musicale è stata un’esperienza di vita per tutti quanti!
Due round in un giorno solo e il secondo è stato uno dei live migliori che abbiamo mai fatto. Siamo stati noi a dare inizio alle danze come primo atto della serata (per via del batterista mancino, eh eh), ci è toccato il compito di acclimatare un pubblico numerosissimo e ricordiamo la baraonda di applausi dopo l’assolo di flauto de La Legge del Più Forte.
Dopo qualche ora e moltissimi artisti, al momento della premiazione per il miglior gruppo, sentimmo il nome “Twang”! Tempo di metabolizzare un mezzo mancamento, saltammo sul palco per stringere la mano dei giudici e del Maestro Mogol, che ci prese da parte a microfoni spenti e, nel mezzo di un silenzio assordante, espose la sua opinione sul brano, sul metodo di scrittura dei testi, e ci fornì dei consigli per il nostro futuro lavorativo.
Di più non possiamo dire, se non che siamo increduli di aver ottenuto un tale risultato grazie ad uno dei nostri primissimi brani, registrato perlopiù in un garage con mezzi di fortuna.

Resistenza o resilienza della musica, oggi?
Perché non entrambe?
La resilienza è una caratteristica fondamentale della musica sin da quando è possibile commercializzarla.
Ogni evoluzione dei supporti, ogni cambiamento delle modalità di fruizione è un potenziale trauma per la creatura chiamata “musica”, ma questa trova sempre modo di adattarsi, anche se certe volte riesce meglio di altre. C’è un libro che tratta proprio questo argomento, “How Music Works” di David Byrne, decisamente illuminante.
Al momento, i cambiamenti non sono solo dovuti ad un’evoluzione naturale già in corso, ma anche e soprattutto ad una crisi profonda; in più sono troppi e condensati in un lasso di tempo troppo breve perché l’adattamento sia semplice, o perché si possano individuare con chiarezza delle modalità di resilienza o resistenza.
Pertanto, in attesa di nuovi sviluppi che possano chiarirci le idee, continueremo a lavorare con il massimo dell’impegno e della professionalità, e aiuteremo i nostri colleghi che vorranno fare altrettanto. Questa è la nostra resistenza, e il metodo tramite il quale otteniamo la resilienza.

Alessandra Paparelli