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IL MURO DEL CANTO – “COMETA” E’ IL NUOVO INTENSO SINGOLO

IL MURO DEL CANTO – “COMETA” E’ IL NUOVO INTENSO SINGOLO

Incontriamo Il Muro del Canto che ci presenta il nuovo singolo dal titolo “Cometa”, brano pregiato che anticipa il quinto album della band, in lavorazione. Una vera poesia, parole e musica di grande intensità. Un brano profondo, pieno delle emozioni e sensazioni che stiamo vivendo in un momento storico non facile (non poteva che uscire il 24 dicembre).
Il cielo ha da sempre influenzato e catalizzato l’attenzione dell’uomo, uno spazio misterioso in continua mutazione tra giorno e notte, con le sue nubi, i pianeti e le stelle. Da sempre ha affascinato scrittori, artisti, musicisti e filosofi ed è al cielo che ci rivolgiamo e guardiamo nei momenti di difficoltà. Il Muro del Canto avvolge da 10 anni ormai la nostra anima e cuore con uno stile inconfondibile, un sound mixato tra poetica e dialetto romanesco.
La band è composta da Daniele Coccia Paifelman (voce), Alessandro Pieravanti (voce narrante e batteria), Eric Caldironi (chitarra acustica), Ludovico Lamarra (basso elettrico), Franco Pietropaoli (chitarra elettrica) e Alessandro Marinelli (fisarmonica).  Con uno stile inconfondibile e dal suono ruvido, profondo, il gruppo capitolino unisce tradizione e modernità  davvero senza tempo.
Il singolo Cometa ha la voce e il testo di Alessandro Pieravanti – lo abbiamo intervistato per Tuttorock –  la musica: Daniele Coccia Paifelman, Eric Caldironi, Ludovico Lamarra, Alessandro Marinelli, Alessandro Pieravanti, Franco Pietropaoli.  Il brano è stato registrato, mixato e masterizzato da Franco Pietropaoli presso Ermes Records di Roma, etichetta FioriRari

 

Il lavoro de Il Muro del Canto è sempre corale, abbiamo raggiunto e intervistato Alessandro Pieravanti voce e autore del testo:

Una perfetta fotografia dei nostri tempi. Come nasce Cometa e qual è l’idea creativa e narrativa?
“Il singolo Cometa nasce sul piano testuale da un’idea che avevo da molto tempo, ossia cercare di raccontare la malinconia in una chiave sia onirica che urbana; in questo momento mi piaceva ancora di più l’immagine, in un momento di sconforto serale, di un qualcosa che ci portasse via, qualcosa che arrivasse dal cielo a salvarci, l’ispirazione, l’idea di cercare una via d’uscita alzando gli occhi al cielo. Ed è arrivata dunque questa storia, insieme a temi a me molto cari quali l’amicizia e le relazioni interpersonali, il tema del successo anche, di come sia effimero – in un momento si ha successo e un attimo dopo non lo si ha più. Ho messo insieme tutti questi pezzi, confrontandoci in sala insieme con la band anche perché il lavoro del Muro è sempre stato un lavoro corale.  Abbiamo quindi sviluppato idea e lavoro in questo modo sperimentando per la prima volta il fatto che io potessi cantare il ritornello e non solo recitare le strofe – come accade normalmente – e nello sviluppo delle voci corali ci fossero anche le voci di Daniele e Franco perché tutto l’impianto e la versione narrativa nell’insieme doveva dare una sensazione di libertà”
(Il coro, in tal senso, è un momento davvero alto ed emblematico, Ndr).

Il vostro è sempre stato un lavoro corale di poesia e profondità, con uno stile riconoscibile che ha presente anche un forte sentimento di speranza:
“Sì, questo avviene sia per nostra caratteristica e sia per la circostanza di raccontare aspetti di rilevanza profonda, eventi e avvenimenti di un certo peso nella vita delle persone. Vogliamo sempre dare, nel nostro lavoro, una chiave di speranza e una lettura di un certo tipo. Il brano Cometa narra una storia di sconforto urbano, soprattutto in un momento storico e sociale non facile quale quello che stiamo vivendo. Come spesso accade, la soluzione la cerchiamo alzando gli occhi al cielo e in questo caso sperando proprio di essere portati via da una Cometa. Nel finale del brano infatti, diciamo “e mo che dall’arto hai visto tutto voresti sartà e ritornà de sotto abbraccia la prima persona che passa de là guardalla nell’occhi e dije che je la potemo fa!”. E come spesso avviene, anche in questo caso, la soluzione dei problemi arriva dalla comunità, dallo stare insieme”

Questi due anni ci hanno cambiato moltissimo, abbiamo perso la condivisione sociale, l’abbraccio, lo stare insieme, ci siamo quasi disabituati all’abbraccio:
“Assolutamente e infatti la frase del brano “abbraccia la prima persona che passa”, è emblematico: abbracciare uno sconosciuto è follia oggi. E’ già tanto abbracciare qualcuno che conosciamo, un amico, figuriamoci uno sconosciuto. Il testo e la frase volevano racchiudere quel tipo di energia, con questa affermazione. Questo è quello che ci sta accadendo nella contemporaneità”

Quanto è importante la narrazione per te, per Voi?
“E’ fondamentale perché, a prescindere che lo strumento sia la canzone o il “recitato”, per noi avere un forte impianto narrativo è tutto. Forse è la nostra cifra stilistica più riconoscibile; c’è sempre una storia dietro alle canzoni del Muro del Canto, sempre una storia riconoscibile. Dall’Ammazzasette in poi (primo album ufficiale della band, 2021, Ndr) la volontà era quella. Non a caso scegliemmo un’Ammazzasette che è una figura, una favola, un immaginario popolare, un qualcosa di poco chiaro. Ci piace sconfinare tra qualcosa di definito e indefinito, realtà e immaginario e questo solo la narrazione lo consente”

Ci puoi anticipare qualcosa sulla lavorazione dell’album?
“Siamo sempre molto sinceri con chi ci segue: ora abbiamo fatto uscire due singoli e abbiamo diversi brani pronti: probabilmente, se non ci fosse stata la situazione pandemica, il disco sarebbe già uscito. Ci dispiace farlo uscire in un momento come questo in cui i concerti live sono in perenne mutamento, a causa dell’emergenza sanitaria. Quindi stiamo tenendo “in caldo” l’album, proprio perché vorremmo farlo uscire in un momento di pseudo-normalità. Se le cose dovessero andare bene, l’orizzonte per noi potrebbe essere quello della fine del 2022”

C’è un’idea comune che unisce i vari brani, nel disco?”
Essendo noi in osmosi e scrivendo, suonando insieme il nostro sentire è un sentire comune; sia sulla parte testuale che riguarda me e Daniele Coccia sia sulla parte musicale che riguarda tutti. Alla fine siamo tutti abbastanza allineati su un feeling che poi dona al disco una coerenza che è una coerenza che si è trovata anche nei dischi precedenti. Anche questa volta sarà così”

Una lunga carriera che tocca ormai i 10 anni. I cambiamenti sono stati tanti, anche nell’ultimo periodo, cambiamenti culturali, sociali, storici, di emergenza con la musica e lo spettacolo in sofferenza. Ti chiediamo: quanto siete cambiati e come siete cambiati in questi anni? E quanto ti senti cambiato?
“Nella relazione rispetto a ciò che facciamo, quindi il nostro lavoro, la musica, i live, il palco, la scrittura, in realtà siamo cambiati poco. Questo vortice del fare musica ed esibirsi dal vivo ti trascina e ti ritrovi dopo 10 anni senza neanche accorgerti. Quindi siamo cambiati poco rispetto ai nostri inizi, siamo rimasti gli stessi degli esordi; dall’altro lato, forse, sarebbe mettersi le bende sugli occhi se dicessimo che questi ultimi due anni non ci abbiano cambiati. Io ho una teoria molto personale rispetto alla fruizione della musica e dell’arte in generale: mi sembra che le emozioni delle persone, che fruiscono dei contenuti artistici, siano molto più controllate rispetto a prima. Non c’è più quell’attenzione di una volta. Nell’andare in giro, nell’estate scorsa 2021, paradossalmente abbiamo visto molto pubblico in più, rispetto a prima. Ma in relazione alle nuove uscite – dischi, mostre, eventi – mi sembra che il coinvolgimento delle persone probabilmente sia inferiore, giustamente troppo distratti da una situazione ben più grave”

La musica e tutto lo spettacolo hanno vissuto due anni di grande difficoltà. Ti chiedo, perché non esiste in Italia ancora una Legge nazionale sulla Musica che tutelerebbe artisti e lavoratori?
“La risposta credo vada cercata altrove e non nella diretta conseguenza della problematica. Possiamo dire che l’Italia è un Paese che mostra grandi contraddizioni, da sempre. Da un lato abbiamo una enorme concentrazione di eccellenze, di arte, di capacità conosciute e riconosciute in tutto il mondo e dall’altro lato invece ci portiamo dietro il malaffare: usi e costumi legati al mondo della criminalità che hanno portato ad una compenetrazione tra le Istituzioni e ad aspetti che non dovrebbero avere a che fare nulla con le Istituzioni. Tutto questo ha portato a distorsioni e problematiche che si ripercuotono a cascata in ogni aspetto e settore: Roma è in piccolo lo specchio del nostro Paese…l’incapacità di gestire la cosa pubblica, compreso il sostegno agli artisti cosa che avviene invece in altre Nazioni, dove le proposte culturali vengono sostenute e difese, e dove viene data una grande importanza al lavoro dell’artista”

Le vostre impressioni ed emozioni sui live e il tornare a suonare dal vivo:
“Personalmente, noi abbiamo vissuto gli ultimi scampoli di normalità nell’estate 2021 in cui è stato possibile suonare, con le persone in piedi e in situazioni pseudo-normali, con i protocolli sanitari attivi, è stato davvero molto bello e abbiamo fatto un tour con varie date, in tutta Italia. Tutte situazioni molto molto belle, viviamo infatti ancora di rendita di quella che è stata l’estate scorsa. Siamo alla finestra, come tutti, per capire quale sarà l’evoluzione della situazione: se dovesse migliorare, faremo ancora qualcosa in primavera se invece la situazione resterà questa, se ne riparlerà in estate. Per ora non stiamo programmando niente, sfrutteremo questo tempo di attesa per concludere la lavorazione del disco. Questa è la situazione che stiamo vivendo”

L’ultima domanda, sulla musica in senso lato. Ora va molto di “moda” il termine resilienza, applicato al periodo che stiamo vivendo. Secondo la tua opinione, la musica è stata ed è “resiliente”, “resistente” oppure entrambe le cose?
“Hai detto bene, “moda” è un termine che non mi fa impazzire, perché quando le cose diventano troppo di dominio pubblico e quindi di moda è come voler andare a prendere concetti belli, profondi ed elevati e sistemarli in un #resilienza, le cose perdono il loro valore. Per quanto riguarda noi del Muro, sicuramente il termine “resistenza” è un termine che ci riguarda molto più da vicino e lo abbiamo mutuato da chi la resistenza l’ha fatta veramente, lo abbiamo trasformato per esempio ne “L’amore mio non more” (quarto album del 2018 con una forza intensa, di poetica squisitamente popolare e pura, Ndr), disco di amore e resistenza. Una resistenza non soltanto politica, culturale e sociale ma resistenza anche sentimentale; dire che l’amore mio non muore è dirlo non soltanto verso altre persone ma verso situazioni e battaglie condivise. Quindi questo è il nostro approccio, continueremo sempre ad usare questo termine perché lo sentiamo particolarmente vicino, nostro”.

Ringrazio per la bella intervista, Alessandro Pieravanti e tutto Il Muro del Canto. La condivisione, il sentimento, la poesia diventano essi stessi un paradosso, spunti di vita vera e vissuta, si potrebbe dire enfaticamente che diventano la massima libertà nel minimo spazio. Tutto può trovarvi posto e l’umana e profonda poetica del Muro del Canto ce lo dimostra ad ogni uscita di un singolo e un disco. La vera poesia, infatti, non deve essere spiegata ma solo “essere”.   

Alessandra Paparelli