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GIORGIO MASTROCOLA – Chitarrista, ci presenta il suo EP d’esordio On the Rope

GIORGIO MASTROCOLA – Chitarrista, ci presenta il suo EP d’esordio On the Rope

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Intervista a Giorgio Mastrocola, chitarrista raffinatissimo, produttore e session-man per alcuni dei nomi più grandi e autorevoli della musica italiana.
Ricerca, cura, passione per la musica, introspezione: ci presenta l’EP d’esordio dal titolo “On the Rope”: sei brani inediti di sola chitarra “fingerstyle”, suonati da lui con la produzione di Raffaele Stefani, tecnico del suono in studio con Morgan, Gianna Nannini e Le Vibrazioni, dal vivo con Adriano Celentano, Paola Turci, Bugo.
L’EP è pubblicato dalla neonata etichetta indipendente LeMacchieSulVestitoBuono e distribuito da iMusician, fondata con uno spirito “ribelle”.

Come nasce l’EP “On the Rope”? Qual è l’idea comune o filo conduttore che unisce i brani musicali?

On The Rope nasce dal desiderio di raccontare delle suggestioni attraverso il linguaggio della musica. L’ ispirazione principale, che ritengo possa essere il filo che lega tutti i brani, è sicuramente la musica da film. Ho immaginato i brani come colonna sonora di momenti specifici della mia vita o, come nel caso di Plaza de Mayo, di vicende umane che mi hanno particolarmente toccato l’anima.

Ogni azione della nostra vita tocca qualche corda, le corde di qualcuno: è questo il senso a cui pensavi?

In realtà il titolo nasce nella fase più embrionale del disco, quando ho voluto fortemente proporre i brani dal vivo, prima di aver trovato una struttura ed una forma definitiva.
Mi piaceva l’idea di salire sul palco e lasciare che l’emozione di suonare davanti ad un pubblico decidesse la vera sintesi del brano, dondolando come un equilibrista tra ciò che era già scritto e l’improvvisazione.
Comunque cercavo un titolo che potesse essere anche curioso, nel senso di creare degli immaginari e delle aspettative…la tua interpretazione mi rende felice, mi dà la sensazione di aver centrato l’obiettivo!

Ho avuto modo di ascoltare l’album, raffinatissimo. Definisci questo tuo progetto un vero e proprio “viaggio”. Un viaggio verso dove e via da cosa?

Il viaggio di cui parlo attraversa tutta la musica che ho amato e che mi ha influenzato fino ad oggi, sia come ascoltatore appassionato che come musicista.
Sicuramente parte dalle prime fascinazioni da ragazzo, fugge dalla musica costruita solo su tecnicismi e dove mi porterà è ancora tutto da scoprire.

Ascoltando il tuo album ho ripensato alle “corde” dell’altalena, da bambini. Abbiamo perso per sempre creatività e il fanciullino che è in noi, nel nostro Paese?

Diciamo che viviamo un momento storico in cui questo approccio alla musica e all’esistenza in generale, sembra particolarmente sopito.
Non credo però si possa perdere, quello di cui parli ritengo sia la spinta principale di ogni forma artistica…quando sembra non esserci è soltanto in ombra rispetto a qualcosa di espresso con minore sincerità.

Un lavoro pregiato, con una ricerca accurata: chitarra acustica, Banjitar e Ukulele, in cui il folk si fonde al rock e al progressive. Il prog è una scelta raffinata e di ricerca profonda, ti chiedo: quando hai iniziato questo tuo viaggio e cosa ti offrono queste mescolanze, ricerche, sperimentazioni?

Grazie mille davvero, ho sempre apprezzato la musica progressive per la sua naturale tendenza alla contaminazione tra generi, trovo stimolante l’idea di contrapporre scenari molto diversi all’interno di un brano.
E’ un approccio che mi ha aiutato moltissimo nella scrittura, soprattutto mi ha salvato dal pericolo di scelte scontate che generalmente mi annoiano molto.
Inoltre è una passione che condivido da anni con l’amico Raffaele Stefani, fonico e co-produttore del mio Ep, la sua capacità di intercettare al volo i miei riferimenti e la sua maestria nel creare ambienti sonori ha regalato ai miei brani qualcosa di inaspettato e magico.

Alle sei tracce dell’EP si aggiunge una “bonus track” che hai realizzato con il Maestro Feyzi Brera: raccontaci di questa collaborazione.

L’amicizia e la collaborazione con Feyzi è iniziata anni addietro, abbiamo partecipato a progetti comuni e suonato insieme moltissime volte.
Mi è sempre piaciuto il suo modo di scrivere, gli ho chiesto di scegliere un brano che lo stimolasse e gli ho lasciato libertà totale; il risultato mi ha commosso profondamente, è una scelta che rifarei ad occhi chiusi senza pensarci due volte.

“La corda più silenziosa è quella dei versi”, scriveva Alda Merini. Il titolo del tuo Ep mi ha fatto pensare a lei. Sei d’accordo, è quella dei versi?

Se avevo dei dubbi sul titolo, devo dire che sei riuscita a disintegrarli, grazie mille!
Perdonami ma ho un po’ di timore nel commentare una poetessa come Alda Merini, parliamo di un lascito eterno per la nostra cultura, nei confronti del quale non posso che considerarmi umilmente un guitto.
Quello posso dirti è che la musica, che Alda Merini amava profondamente, ha la capacità di risvegliare la nostra interiorità, di mantenere vigile la nostra parte migliore.
Per me è sempre stato un rifugio accogliente, dove rigenerarmi e ritrovare me stesso, cosa che mi succede spesso anche con la poesia e la letteratura.

Un tuo pensiero sul momento difficilissimo per la musica, la cultura in generale, le arti. Cosa ti aspetti dalle Istituzioni? Perché equiparare i teatri alle sale bingo?

Equiparare le sale da bingo ai teatri credo sia una cosa che si commenta abbastanza da sola. Certo fotografa con chiarezza una palese mancanza di rispetto delle Istituzioni nei confronti di un settore dove moltissime persone lavorano con passione e dedizione.
Quello che mi aspetto, al di là di polemiche sulle misure specifiche, è il riconoscimento dell’importanza delle attività culturali sia come cibo per l’anima che come settore lavorativo.

Regalaci un nome, un chitarrista che ami (nel mondo), un artista di riferimento italiano e uno internazionale.

Come amante della musica sono molto libertino, faccio sempre un po’ fatica a mettere qualcuno sul podio. Sicuramente come chitarrista non posso non citarti John Fahey, un vero pioniere nella musica per chitarra sola, è stato un riferimento fondamentale per il mio disco. Un artista italiano a cui sono particolarmente legato è sicuramente Franco Battiato: ho avuto la fortuna e l’onore di suonare con lui, un’ esperienza indimenticabile che mi ha arricchito e formato, sia come musicista che come essere umano.
Per quanto riguarda un artista straniero, posso dirti che sulla famosa isola deserta in cui puoi avere solo pochi dischi a disposizione, sicuramente quelli di Nick Drake non possono mancare.

Alessandra Paparelli