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RICKY PORTERA – Intervista al grande chitarrista

RICKY PORTERA – Intervista al grande chitarrista

In occasione dell’uscita del suo nuovo disco solista “Perche’ io so’ io … e voi non siete un cazzo” (Videoradio), ho avuto il piacere di intervistare Ricky Portera, storico chitarrista degli Stadio e di Lucio Dalla, nonché di Ron e altri autori italiani come Eugenio Finardi e Loredana Bertè.

Ciao Ricky, benvenuto su Tuttorock, ti chiedo subito quando e come sono nati i brani del tuo nuovo album solista “Perche’ io so’ io … e voi non siete un cazzo”.

Ciao Marco, questo album è nato nel momento del lockdown. Dopo aver consumato Netflix, Inifinity, Prime Video, mi sono ritrovato in una sorta di depressione che è sfociata in una specie di composizione/sfogo, ho provato a pensare a tutte le emozioni che provavo io rapportandole alla gente che stava vivendo questa tragedia.

Come mai hai scelto quella frase, citazione de “Il Marchese del Grillo” di Alberto Sordi, come titolo del disco?

Ringrazio il Marchese del Grillo nel nome di Alberto Sordi o di chi per lui ha scritto questa fantastica citazione che a Roma è di casa. Mi sono reso conto, anche grazie a dei suggerimenti avuti da vicino, che non vuole essere una presunzione artistica, io non mi confonderei mai con la massa musicale che c’è adesso e lo dico bonariamente. Parlo di una presunzione umana che va al di sopra della mancanza di valori che vediamo intorno a noi, parlo di chi approfitta delle tragedie, delle guerre, parlo della gente che non guarda in faccia a nessuno, della violenza, la mia citazione è rivolta ad un potere che non ha un briciolo di umanità. Io ho scoperto invece di avere conservato o acquisito, grazie anche ai miei genitori, dei grandissimi valori.

Ho apprezzato moltissimo tutti i brani, ma se dovessi sceglierne uno tra tutti, ti direi “Mettiamo il caso”. Riascoltandoti, c’è un brano in particolare che ti ha fatto dire: “questa mi è venuta proprio bene!”?

Mi fa molto piacere che tu abbia apprezzato “Mettiamo il caso”. Voglio dire una cosa molto importante, ogni cosa che ho scritto, ogni frase, l’ho messa al vaglio di Lucio Dalla. Pensavo a come l’avrebbe vissuta lui, se avrebbe potuto accettarla o meno, se queste cose avessero avuto un senso o meno, se quello che stavo scrivendo sarebbe appartenuto alla poesia o no. Se dovessi scegliere il brano che mi rappresenta di più ti direi “Dammi la fede” o “Un giorno normale” perché rispecchiano il momento di pensare, il primo perché è la ricerca di qualcosa di valore. In mezzo a questa melma vado a chiedere di darmi la fede alle persone che ho vicino perché rischio di perderla. L’altro brano perché, finito questo lockdown, ho scoperto il piacere di fare le cose più normali del mondo, che dovrebbero avere un valore molto più alto rispetto a quello che gli diamo solitamente.

Dopo alcuni anni ti sei rivolto nuovamente all’etichetta Videoradio di Giuseppe Aleo, per amicizia, per stima, per cosa?

Questo album non avrei voluto farlo, come non avrei voluto fare gli altri, non per il fatto che io non creda in quello che faccio ma perché non credo in chi ascolta. Oggi non si ascolta la musica, si recepisce quello che ci dà una base caraibica, sudamericana, e il testo, che abbia o no un messaggio, scorre dritto senza essere ascoltato. Ci provai una volta dopo che mi avevano convinto dicendomi che quella roba non doveva restare dentro ad un computer ma che dovevo lasciare qualcosa di reale e solido anche a chi mi stava intorno e mi amava. Ho ricontattato una casa discografica con la quale collaboravo anni e anni fa che sembrava avesse interesse ma non sono stato preso in considerazione. Attenzione però, ci tengo a dire che Beppe Aleo non è una seconda scelta, è un amico che fa le cose per il piacere di farle e le fa senza chiedere niente in cambio, ho grande rispetto per lui e per l’amore che ha nel fare le cose.

Ti ricordi il primo momento esatto in cui hai preso in mano una chitarra?

Sì, me lo ricordo perfettamente quel momento perché non volevo prendere una chitarra in mano, fu una decisione presa da mia madre. Io avevo un amore incondizionato verso la batteria ma faceva troppo rumore, abitavamo in un piccolo condominio allora lei ripiegò verso un insegnante di sax, anche quello strumento però faceva troppo rumore. Poi andai a finire, grazie ai miei cugini, in una scuola di canto e mia madre mi disse: “suona anche la chitarra così quando andiamo in spiaggia ci canti le canzoni”. Detestavo quello strumento che mi faceva venire le vesciche alle dita. Partiamo dal presupposto che io sono nato morto, ho avuto qualche secondo o magari anche un minuto di ipossia cerebrale, per cui un buco nero ci sarà da qualche parte, inoltre mia madre mi spaccò sulla schiena una chitarra fortunatamente cartonata che mi prese anche la testa e da lì ci fu la trasformazione. Non ho mai avuto un grande amore per questo strumento fino ai 12 anni quando iniziai a vedere che la gente mi apprezzava, quindi, probabilmente per un principio narcisistico, ho cominciato a goderne i benefici.

33 anni al fianco di Lucio Dalla cosa ti hanno portato sia dal punto di vista umano che da quello artistico?

Sono stati tanti anni, più o meno rappresentano la metà degli anni totali della mia vita. Lucio mi ha dato tanto, mi ha insegnato tanto. Ti racconto un piccolo aneddoto, stavamo registrando l’assolo di “Sole domani”, io ci stavo provando perché avevo ancora le velleità di far vedere quanto fossi bravo e volevo consacrare questa bravura, e dopo 8 o 9 prove, Lucio mi urlò: “Ricky, hanno telefonato, sta morendo tua madre!”. Ho capito subito che si trattava di una solenne stronzata ma allo stesso tempo ho provato un’emozione tale che ho capito come si doveva suonare, non dimostrando ma cercando di trasmettere le emozioni che si provano in quel momento. Quello fu il più grande regalo da parte di Lucio. Cominciai con lui nel 1977 quando non sapevo nemmeno chi fosse, mi ricordavo bene o male “Bisogna saper perdere” perché uno dei miei primi amori furono i Rokes, poi piano piano ho iniziato ad amarlo e, quando ho iniziato anche a cantarlo dopo la sua scomparsa, ho cominciato a provare delle grandi emozioni e ho capito l’importanza di quello che è un racconto che fai. Ovviamente non mi metto alla stregua di Lucio, ma in tutto questo disco ho raccontato bene o male ciò che sono e questo è un grande insegnamento che mi ha lasciato lui, anche perché mi ha sempre fatto capire che prima esiste l’uomo e poi l’artista, mai il contrario.

Il più grande pregio e il più grande difetto di Lucio?

Il più grande pregio di Lucio penso di avertelo appena raccontato, era un grande stimolatore, mi faceva salire sul palco e mi diceva: “Fai quello che vuoi”, aveva quella fiducia artistica in me, in quella inventiva che avevo a livello naturale della quale lui si cibava. Il più grande difetto? Non bisognava farlo incazzare, quando era incazzato riusciva ad essere l’uomo più cattivo del mondo, insomma, si trattava di emozioni nel bene e nel male.

Mi racconti i dettagli della genesi di “Grande figlio di puttana” degli Stadio, davvero Lucio la scrisse riferendosi a te?

Sì, Lucio Dalla e Baldazzi dedicarono a me questa canzone, nonostante qualcuno si ostini a fuorviare questa cosa. Non che per me sia un fatto vitale il fatto che sia stata dedicata a me, anche perché sono più di 30 anni che mi porto dietro frasi come “ah ma sei tu il figlio di puttana!”, ma per un fatto di correttezza della notizia, perché spesso e volentieri hanno fuorviato la cosa riferendola al povero Giovanni Pezzoli, del quale porto nel cuore un pezzo, e dicevano: “guarda come suona bene la batteria quel grande figlio di puttana”, poi l’hanno riferita al chitarrista, poi al pubblico di quei tempi, poi Vasco disse che Lucio Dalla era un genio figlio di puttana, ne hanno dette talmente tante che venne sminuito l’amore che Lucio aveva per me. Lucio, è innegabile, aveva un grande amore professionale per me. A quei tempi stavamo registrando il primo disco degli Stadio e io in contemporanea stavo facendo un tour con Eugenio Finardi, ogni tanto capitavo in studio, mi facevano sentire un po’ la melodia e io buttavo giù delle cose. Una volta Lucio, uscendo dallo studio, disse: “ma guarda quel gran figlio di puttana che anche quando non c’è ci lascia delle cose su cui lavorare”. Allora Baldazzi e lui presero la palla al balzo e scrissero questo testo che mi riguardava. Lucio, però, ebbe la delicatezza di chiamare casa mia, visto che mio padre è un maresciallo dei Carabinieri e la mamma una sgallettatina siciliana, e disse loro che quel brano voleva solamente essere un grande complimento.

La musica, il denaro, le donne, ti hanno portato più gioie o più dolori nella tua vita?

Non lo so se abbiano portato più gioie o più dolori, sono tutte armi a doppio taglio, il nostro lavoro porta tante cose belle, ti porta denaro, soddisfazioni musicali, donne, ma ti fa fare tante rinunce. Nella vita ho avuto pochissime amicizie, nei tempi in cui lavoravamo noi stavamo via anche sei mesi ogni anno, anche se magari non continuativi. Vivevi più all’estero che a casa con la tua famiglia e con le tue conoscenze, quindi ho sempre considerato davvero la musica un’arma a doppio taglio che ti dona soddisfazioni da una parte ma dall’altra ti toglie le cose normali della vita.

Il sogno di andare in tour con Vasco è ancora vivo?

Sì, è ancora una cosa viva anche se è impossibile, Vasco ha già dei bravissimi chitarristi e non vedo perché dovrebbe scegliere me. Forse in passato sarei stato una prima scelta, adesso si tratterebbe di una cosa forzata e non avrebbe più senso. Poi, sai, io e Vasco, conoscendoci da bambini, abbiamo vissuto una grande amicizia che poi si è trasformata anche un po’ in gelosia, non so di che cosa ma evidentemente qualcosa di me lo infastidiva. Non può succedere quindi, rimarrà il mio sogno, tanto mi chiamano sempre un sacco di tribute band a suonare i pezzi di Vasco, con tanti sosia che parlano come lui e sembrano lui, va bene, ben venga tutto quanto.

So ciò che pensi dei musicisti di oggi, soprattutto quelli italiani, ma non c’è proprio nessuno in tutto il mondo che ti abbia incuriosito?

Dei musicisti italiani penso benissimo, quando faccio delle critiche mi riferisco al fatto che loro non mi stupiscono, mi annoiano, questo è il grande problema, non riesco a provare lo stimolo che provavo una volta, sarà l’età, sarà che ho vissuto un periodo musicale in cui c’era una creatività incredibile. Adesso, dieci pezzi che sentiamo di questi ragazzi, te li posso fare io in un giorno con basi già programmate, sappiamo tutti benissimo come funzionano i computer, inserisci 4 accordi con testi incomprensibili che passano continuamente di palo in frasca e hai pronti i brani. Non è questione di non apprezzare, è questione del non sentirsi interessato e coinvolto. Noi italiani, dopo aver inventato il liscio, abbiamo inventato ben poco, siamo molto bravi a scimmiottare gli altri, quando arriva la novità arriva sempre dall’estero e ci sono tante cose davanti alle quali bisogna levarsi il cappello. Evviva la musica da qualsiasi parte venga, oggi, però, della musica italiana non ne farei una questione di cultura, la musica italiana di oggi è tutto tranne che cultura. Io, dico purtroppo tra virgolette, ho collaborato con quelli che sono stati i veri poeti, parlo di Dalla, De Gregori, e non riesco a fare nemmeno un paragone con i brani di oggi. L’emozione che mi danno “Cara” o “Stella di mare” di Lucio, per esempio, non me la può dare una canzone che non ha né capo né coda.

Quali sono i tuoi progetti musicali per il 2023?

Non ho progetti per il 2023, non faccio mai progetti perché la mia vita dipende da come mi sveglio al mattino, quando mi sveglio dritto mi viene qualche idea carina, quando mi sveglio storto mando a fanculo tutto. Non riesco a fare progetti perché non sono costante nelle mie scelte e perché, come diceva quel mio amico sardo, oggi ci sei e domani non ci sei più. I progetti sono cose che rimangono in un cassetto e dipendono da una decisionalità di persone che magari non le capiscono e non le apprezzano, che pensano che non sia il momento giusto, che dicono: “oggi va la trap, oggi vanno gli amici della De Filippi”, non mescolo queste cose, ricorda, io so’ io … e voi non siete un cazzo, questa è la frase che bisogna sempre ricordare! (ride – ndr)

Grazie mille per il tuo tempo, vuoi aggiungere qualcosa per chiudere l’intervista?

Per chiudere, come ho scritto nei credits del mio cd, voglio ringraziare il Covid-19 perché mi ha fatto scoprire che so scrivere dei testi e soprattutto voglio ringraziare tutte le persone alle quali sto sui coglioni perchè mi hanno dato la spinta per fottermene di tutti, che Dio ci benedica!

MARCO PRITONI