Now Reading
EMANUELE COGGIOLA – Intervista al cantautore e polistrumentista toscano

EMANUELE COGGIOLA – Intervista al cantautore e polistrumentista toscano

A circa un mese dall’uscita del suo nuovo disco solista “Dopo la Pioggia”, ho avuto il piacere di intervistare il cantautore Emanuele Coggiola.

Batterista e membro storico dei Luciferme, gruppo fiorentino prodotto da Gianni Maroccolo con cui pubblica 5 album, comincia a scrivere canzoni proprie e nel 2004 incontra Rodolfo Banchelli con cui collabora per realizzare il primo album solista. Emanuele arrangia e pre-produce l’intero lavoro, suona molte parti di batteria, chitarra, pianoforte, tastiere e realizza le programmazioni. La collaborazione determinate per il progetto è quella con Giovanni Gasparini (Bugo, Litfiba, CSI, Cristina Donà e molti altri) che ne cura il missaggio e ne co-firma la produzione artistica. Nel settembre 2010 esce Quiete Apparente (Nuovi Mondi/EcoProd).

Dal 2009, per 10 anni, Emanuele è impegnato in vari progetti musicali come il gruppo acustico Errori di Saggezza, che propone il repertorio di Fabrizio De André, che comprende Giacomo Guatteri (Luciferme) alla chitarra acustica e Fausto Billi, stupefacente reincarnazione vocale dello stesso De André.

Con Gianni Salamone e Giacomo Guatteri ha fatto parte del trio acustico I.Numerouno, dedicato a Lucio Battisti, e Basel’una, dedicato alla musica d’autore italiana.

Nel 2019 dà vita ai Discanto, gruppo semi-acustico tributo a Ivano Fossati.

Nel 2016 realizza 2 EP con il gruppo Freigeist, in qualità di batterista, co-autore e produttore. Collabora con Rodolfo Banchelli in vari progetti musicali tra cui, in qualità di direttore musicale, allo spettacolo “Sognando” che vede la collaborazione di Don Backy. Dal 2013 al 2016 collabora con Massimo Altomare nell’Orkestra Ristretta del carcere di Sollicciano a Firenze.

Nel 2020 arrangia, produce e suona il disco di esordio di David Iozzi, Coriandoli di Neve (Harem Sound/EcoProd – 2020).

Ciao Emanuele, benvenuto su Tuttorock, parliamo di questo tuo nuovo album, “Dopo la Pioggia”, uscito lo scorso 9 settembre, come sta andando a livelli di ascolti e recensioni?

Ciao Marco, grazie per avermi ospitato! Devo dire che l’accoglienza da parte degli “addetti ai lavori” e le riviste di settore è ottima, quasi inaspettata. Ricevo plausi e articoli molto lusinghieri, il lavoro è molto apprezzato. Le visualizzazioni Youtube del primo singolo a oggi sono buone e il secondo sta partendo bene. Gli ascolti sono buoni, senza arrivare a grandi numeri, ma questo lo sapevamo. Se le cose vanno così, servirà un po’ di tempo ma siamo fiduciosi.

14 brani scritti in quale lasso di tempo?

Molto lungo. Le prime idee risalgono a una decina di anni fa. Io e Francesco Milo (il co-autore di parte dei testi) ci trovammo in una condizione sentimentale simile e per gioco buttammo giù qualcosa insieme. Col tempo le idee si sono definite meglio e abbiamo pensato che avremmo potuto raccontare una storia su un unico fil-rouge. Ne uscirono fuori una manciata di canzoni e i primi arrangiamenti, poi tutto si interruppe. Ho ripreso quell’idea nel 2018, l’abbiamo sviluppata e definita nel giro di un paio d’anni. Poi, la produzione del lavoro è cosa recente.

La domanda ricorrente in questo album è: “Si può sopravvivere all’amore?”. Tu che risposta puoi dare?

Di amore si vive, soprattutto. Si può – e si deve! – sopravvivere al dolore della fine di un amore. “Dopo la Pioggia” è un concept che racconta l’elaborazione di un lutto, in questo caso sentimentale. Si svolge in due parti: la prima parte narra lo sprofondamento nella depressione e nella tristezza del protagonista in seguito alla separazione. Questa separazione è comunque dovuta al suo stato mentale e psicologico che si trova in un momento molto basso. Si passa attraverso sentimenti come l’odio, la delusione, il rancore, la malinconia, l’apatia, il rifiuto di sé e la chiusura totale verso gli altri. La seconda parte dell’album narra la lenta ripresa psicologica attraverso varie situazioni, amori idealizzati, malati, “semplici” storie di sesso o frivolezze disinteressate. Il protagonista arriva, infine, ad una riappropriazione di sé, fino ad accettare un nuovo amore senza aspettative né costrizioni. Non c’è, comunque, un “lieto fine”, ma un nuovo inizio: una riapertura al mondo e agli altri. Che è il finale migliore in cui si possa sperare…

L’idea della copertina è tua?

Sì. La cover e tutto lo sleeve design vuole suggerire che mente e corpo (anche come carne) sono legati. Questo è inteso metaforicamente con la rappresentazione “anatomica” di nervi, vene, intestino, cuore, cervello… Faccio tuttora il grafico di mestiere, e sia l’idea che la realizzazione sono mie.

Tornando alla collaborazione con Francesco Milo, quando e com’è nata?

Con Francesco siamo amici di lunghissima data. Come accennavo prima, la cosa è nata per caso. Lui è uno scrittore di professione ma non si era mai confrontato con la forma canzone. All’inizio per lui è stato un approccio curioso e stimolante. Lui ha scritto di proprio pungo alcune canzoni, altre sono state scritte insieme. Altre ancora sono state scritte solo da me o con diverse collaborazioni, anche fuori dal progetto stesso. Francesco ha comunque supervisionato tutti i testi per adattare meglio il flusso narrativo e renderlo coerente con il concept e la storia narrata.

Sono presenti vari ospiti in questo album, immagino scelti per amicizia e per stima, è così?

In linea generale sì. Alcuni, come Gian Filippo Boni (piano) e Andrea Beninati (violoncello) sono professionisti che mi sono stati suggeriti. Altri, come Giacomo Guatteri (chitarre, bouzuki) e Alessandro Cresci (basso) sono i vecchi compagni di viaggio dei Luciferme. Poi ci sono i camei di Francesca Torre e Margherita Zavelle De Louvigny, bellissime voci femminili in due canzoni, e altri amici come David Iozzi (a cui ho prodotto il primo album), Mark DiFlorio, bravissimo batterista e musicista e Renato Valente (basso). Con Iacopo Fallani (basso, chitarre, suoni) c’è stato un discorso più collaborativo a livello musicale; ha arrangiato due canzoni ed è stato presente per suggerimenti, critiche costruttive e cavia da ascolto! Ad ogni modo la maggioranza degli strumenti (eccetto i bassi) sono stati suonati da me.

Parlando un po’ del tuo passato, non posso non citare l’esibizione con la tua band, Luciferme, al Festival di Sanremo del 1998 con quel bellissimo brano, “Il soffio”. Come fu quell’esperienza?

Direi estremamente divertente e assolutamente formativa. All’epoca di Sanremo eravamo al secondo album e molta strada percorsa con i live. Quegli anni nono stati il periodo in cui io (e tutti noi) ci siamo formati come musicisti “veri”. L’approccio con l’esperienza “equestre” Sanremese è stato vissuto da tutti noi con estrema serenità e goliardia. Non c’era un particolare stress e non ci sentivamo “arrivati”. Anzi, lo abbiamo preso come un punto di partenza, ovunque fossimo andati.

Per qualche anno partecipaste a trasmissioni radiofoniche e televisive oltre che esibirvi su importanti palchi, poi cosa accadde?

Dopo il secondo album iniziò la cosiddetta “crisi discografica”. Con l’arrivo della veicolazione digitale ci fu un periodo di grande mutazione delle dinamiche di mercato. Abbiamo fatto due dischi da indipendenti, culminati con la raccolta del decennale “Venti Occidentali”, poi le cose si sono un po’ fermate. Io sono uscito dal gruppo alla fine degli anni 2000 e loro hanno fatto qualcosa per un altro po’ di tempo. Non c’è stato uno scioglimento ufficiale, ma allo stato attuale non credo ci siano progetti particolari.

Sei soddisfatto di ciò che la musica ti ha dato?

Assolutamente sì. Oltre ai lavori solisti e con le Luciferme, ho fatto alcune produzioni, gruppi tributo a De André, Fossati e Battisti e altre collaborazioni qua e là.

Hai in programma un tour per la promozione di questo tuo album solista?

La volontà c’è. Dobbiamo capire come e quando. Non è molto facile oggi se non hai qualche “milione” di visualizzazioni. Funziona così, le agenzie di booking e i promoter guardano quello. Comunque ci stiamo organizzando per fare un minitour, forse in inverno.

Grazie mille per il tuo tempo, vuoi aggiungere qualcosa per chiudere l’intervista?

Grazie a voi per avermela concessa. Potrei solo aggiungere che questo ultimo lavoro mi sta dando belle soddisfazioni. Il tempo e le energie che ci ho messo, sono ripagate. Non ho aspettative particolari, vivo tutto questo con serenità e soddisfazione. Poi, come si dice, se son rose…

MARCO PRITONI