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ELISA MONTALDO – Intervista alla tastierista del Tempio Delle Clessidre per parlare …

ELISA MONTALDO – Intervista alla tastierista del Tempio Delle Clessidre per parlare …

Nell’attesa del nuovo album del Tempio Delle Clessidre, una delle nostre migliori realtà di rock progressivo, abbiamo incontrato la tastierista Elisa Montaldo, per parlare principalmente di “Fistful Of Planet part 1”, suo primo lavoro da solista, un album magico, tra atmosfere folk, new age e progressive. Elisa ci ha raccontato molte cose e anche qualche anticipazione sul nuovo lavoro che uscirà del Tempio Delle Clessidre. Ciò che segue è un viaggio che noi di Tuttorock vi invitiamo a fare sulla visione dell’universo e dei pianeti, logicamente guidati da Elisa Montaldo.
 
Ciao Elisa, grazie di aver accettato l’intervista. Parlami di “Fistful Of Planets”, come sono nati i brani?
Ciao Fabio, grazie a te!
I brani sono nati durante questi due anni di continui spostamenti e trasferte lavorative, ma soprattutto dal desiderio di sperimentare con suoni, atmosfere e dal bisogno di esprimere certi miei stati d’animo. Stare per periodi più o meno lunghi in luoghi così diversi è un po’ come vivere su diversi pianeti; da qui l’idea del titolo, che “ridimensiona” i pianeti in oggetti di piccole dimensioni, una “manciata” microcosmica e molto personale.
 
Perché hai deciso di fare un disco da solista?
In realtà è un desiderio che ho da diversi anni. Soltanto ora ho potuto realizzarlo, vuoi per i progressi che ho fatto nell’”home recording” (piccoli ma efficaci), vuoi per il tempo che finalmente ho potuto dedicare a fare un po’ di musica solitaria e senza nessuna regola. Non è la raccolta di brani che ho composto da tempo immemore ad oggi, bensì sono “pennellate” di sensazioni tradotte in musica di questi ultimi tempi. Non è un mio disco rappresentativo, è semplicemente ciò che mi andava di fare qui ed ora.
 
E’ un lavoro diverso da ciò che fai solitamente, più intimista e anche un po’ folk. Perché questa scelta?
Più che una scelta è stata una strada spontanea. Le musiche sono nate sia sul pianoforte a coda che suono ogni sera nell’hotel dove lavoro durante la stagione invernale, sia su strumenti “portatili” come l’autoharp e il taisho koto, o ancora semplicemente sviluppando a mente idee melodiche durante escursioni nella neve o sui prati d’estate. Giunta a questo punto della mia vita ho comunque sentito un profondo bisogno di esprimere un lato più intimo e personale e questo linguaggio musicale è quello che nel mio caso meglio esprime tale condizione. Aggiungo che ho voluto immaginare come una sorta di “colonna sonora” che potesse in ogni momento accompagnare viaggi fisici o mentali di chi ascolta.
 
Da dove è nata la tua passione per la musica e principalmente per il rock progressivo, che ti ha permesso poi di dventare tastierista?
La mia passione per la musica è nata in modo spontaneo fin da quando ero una bambina: mi sono avvicinata in modo naturale al pianoforte e ho poi intrapreso gli studi. Ho sempre avuto un orecchio particolarmente buono e sento la musica con il cuore, ma cerco anche di codificarla. Purtroppo ho parecchie lacune teorico/didattiche, ma il mio istinto mi pone sempre in posizione di esploratrice e ricercatrice di suoni e melodie e le loro implicazioni cerebrali/emotive.
Ho scoperto il rock progressivo all’età di 17 anni, casualmente. Ero appassionata di hard rock e metal in primis e mi è capitato di ascoltare “In The Court Of The Crimson King”: è stato un colpo di fulmine! Già componevo musica che si poteva descrivere come “progressive”, senza saperlo. Dunque ho trovato il linguaggio musicale a me più vicino: scoprire tutti quei suoni di tastiera e cercare di riprodurli e interpretarli è diventata poi la mia “ossessione”.
 
Hai lavorato quasi in piena autonomia, a parte qualche collaborazione. Perché?
Per diversi motivi: uno pratico, ovvero stando praticamente due anni lontana da casa e da tutti ho vissuto lunghi periodi di isolamento: non avendo possibilità economiche mi sono dovuta rimboccare le maniche e cercare di cavarmela da sola in quasi tutte le fasi della produzione del disco. E’ stata per me molto dura, non è facile registrare nelle stanze d’hotel, spostarsi sempre con tutta l’attrezzatura, cercare di risolvere i frequenti problemi informatici che per mancanza di esperienza non so ancora affrontare in modo efficace. L’altro motivo è stato quello di voler creare qualcosa il più possibile da sola, senza darmi regole e scoprendo passo dopo passo la forma che l’esperimento musicale avrebbe preso. Fare qualcosa di davvero sincero e personale come se volessi donare una parte di me stessa a chi volesse condividere le mie emozioni e il mio mondo (anzi, i miei pianeti!). D’altro canto so bene quanto sia importante una produzione valida e professionale e in questo ho avuto la fortuna di essere aiutata da Giacomo Castellano che ha migliorato moltissimo i suoni e ha messo a disposizione la sua bravura per l’ottenimento di un mix efficace e di alta qualità (oltre a qualche cameo di chitarra e ukulele!). Ho voluto fortemente che il disco, per quanto semplice e senza pretese, suonasse “come un disco”, con le frequenze che vibrano nei bassi e tutto ben bilanciato.
 
Sei anche una brava cantante, preferisci però essere definita tastierista?
Direi di sì, perché di fatto non mi sento una cantante. Mi piace cantare e ho cercato di costruirmi le basi necessarie per poterlo fare in modo professionale, ma non ho l’indole della cantante: sono troppo timida e preferisco “nascondermi” dietro un muro di tastiere, habitat in cui mi sento meglio. Molte persone però mi dicono che quando canto riesco ad esprimere qualcosa, e ne sono contenta.
 
Parlami anche dei testi.
I testi dei due brani cantati non sono molto “impegnati”, sono volutamente semplici e brevi. Ho cercato di approfondire altri aspetti in questo disco e di inserire testi “leggeri”. “To Gather” è stato scritta di getto, testo e musica composti su un prato con l’autoharp poco prima di una tipica tempesta di alta montagna, mentre weeping willow ha un testo senza un senso preciso, come una sorta di filastrocca infantile, che cerca di essere evocativo: è la musica che comanda qui.
 
Perché hai anche inserito due brani del Tempio Delle Clessidre?
Essendo un cd promozionale cerco di venderlo negli hotel in cui suono, dunque mi è sembrato sensato inserire due bonus track del mio progetto principale in modo da “spargere il verbo”. Ho scelto “Danza Esoterica Di Datura” perché è stato il primo brano che ho composto per il Tempio e “Notturna” perché è l’unico cantato da me ed entrambi hanno un forte valore affettivo.
 
“Fistful Of Planets part 1”, ci sarà quindi anche un seguito?
Direi proprio di sì, tempo e possibilità permettendo! Questo disco è breve, non ho voluto sviluppare le idee compositive per lasciarle allo stato più “sincero e schietto”: ho preferito lavorare molto sui suoni e curare i particolari. Spero proprio di riuscire a realizzare la seconda parte presto, ho già diverse idee abbozzate.
 
Cosa mi dici del progetto VLY?
VLY è una band formata da persone provenienti da diverse parti del mondo: Karl Demata, il chitarrista, mi propose di entrarne a far parte come tastierista: ho accettato con entusiasmo perché si tratta del primo progetto internazionale a cui prendo parte. Il cantante Keith è americano, il bassista inglese (anche lui come Karl ex Crippled Black Phoenyx), io ho proposto a Mattias Olsson (Anglagard, White Willow, Necromonkey) di registrare per noi le batterie e alcuni dei suoi spettacolari suoni vintage dal suo studio a Stoccolma. Ero già in contatto con lui per una possibile collaborazione con me (infatti è presente in “Fistful Of Planets”) e adoro la sua creatività musicale. Abbiamo registrato per lo più a distanza, ma finchè ho potuto ho voluto seguire periodicamente il lavoro recandomi di persona a Oxford e ho aiutato Karl nella post produzione, imparando molto sulle fasi di editing. E’ stata un’esperienza davvero bella e utile per me. Ci siamo incontrati tutti insieme soltanto a luglio per le foto ed il videoclip, ma è come se ci conoscessimo da tempo. Il disco “I/Time” è uscito a settembre per la Laser’s Edge e si può catalogare a grandi linee come un disco “post rock/progressive”, ma con diversi spunti atmosferici e folk.
 
Come procedono i lavori del nuovo album del Tempio Delle Clessidre?
Direi piuttosto bene nonostante le difficoltà logistiche e personali. Io sono praticamente lontana da Genova da oltre un anno, e lo sarò ancora, pertanto abbiamo dovuto affrontare questa non piccola difficoltà e cambiare modo di lavorare. Proprio in questo periodo stiamo registrando le parti dei brani per il nuovo disco. Abbiamo ultimato quasi tutte le composizioni e siamo entusiasti, anche per la new entry del batterista Mattias Olsson!
 
Puoi darci qualche anticipazione?
Per ora non abbiamo ancora deciso titolo né copertina, stiamo cercando di capire quale strada si sta delineando, tutto nasce in modo spontaneo senza premeditazioni. Ci saranno canzoni tipicamente progressive nei suoni e negli arrangiamenti ed altre più “sperimentali”, conseguenza della mia ricerca sonora e voglia di sperimentare. In questo disco saremo tutti coinvolti in prima persona nella composizione.
 
Quali sono le tue influenze musicali?
Il mio primo amore musicale è stato Elton John, soprattutto gli album degli anni ’70. Poi sono passata dall’hard rock dei Deep Purple e Uriah Heep al country folk di Eagles, Jacksone Browne etc, poi il doom e l’heavy metal, ascoltando parallelamente musica classica e jazz. Le maggiori influenze nell’ambito progressive sono state per me i Genesis, i Jethro Tull, il Banco del Mutuo Soccorso, i Gentle Giant, ma l’elenco potrebbe essere molto lungo!
Ultimamente ascolto anche molta musica orientale e mi sono innamorata della musica da colonna sonora di Joe Hisaishi.
 
Farai un tour di supporto?
Eh, magari! Mi piacerebbe. Ora sono “bloccata” in Trentino fino ad aprile, lavoro come musicista in un hotel suonando ogni sera all’aperitivo (in cui suono e canto) e durante la cena con il bel pianoforte a coda del ristorante (improvvisazione, musica di tutti i generi reinterpretata in chiave pianistica…prog compreso!). Purtroppo la parola “tour” nel mio caso (e in quello del Tempio) è un po’ utopica. Non si riescono a trovare concerti da fare, se non sporadicamente e spesso il cachet basta a malapena alle spese di spostamento. E’ più che altro un lusso che pochi si possono permettere, secondo me, perché per vivere di musica è necessario scendere a compromessi, come ho fatto tre anni fa e continuo a fare. Comunque sarei contenta di conoscere qualcuno interessato a farmi fare un tour!!
 
Hai un sogno nel cassetto?
Ho avuto tanti sogni perché ho una indole da romantica sognatrice. Ultimamente cerco di non farne troppi per non rimanere delusa, ma il mio sogno sarebbe quello di essere conosciuta e apprezzata per la musica che faccio e che le persone capiscano il significato di questa Arte, che è per me la vita come per tanti altri artisti che hanno accettato questa vocazione. Vorrei poter far capire alle persone quanto potere si ha dentro di noi, quanta meraviglia ci può essere intorno e come gli esseri umani possano cambiare il mondo ascoltando il respiro della Terra che risuona nella loro anima. Questo è spesso il messaggio che cerco di trasmettere con la mia musica.
 
Ti lascio un po’ di spazio per invitare chi leggerà quest’intervista ad entrare nel tuo mondo musicale.
Caro lettore, se hai voglia di scoprire paesaggi musicali sottili e colorati, se vuoi una sorta di “pozione magica” con cui fermare il tempo e riuscire a chiudere fuori tutto e rilassarti, concedendo alla musica di vibrare e raccontarti storie sottovoce, se vuoi scoprire i miei pianeti e magari trovare dentro essi anche qualcosa che avevi perso o semplicemente dimenticato, allora cerca il mio disco, aprilo, ascoltalo e segui il “planetario” sul libretto, cerca i luoghi in cui questa musica è nata seguendo le coordinate per ogni brano e se qualche emozione arriverà a te io ne sarò felice perché tutto questo avrà un senso.
 
FABIO LOFFREDO

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