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VASCO BARBIERI – Intervista al cantautore e filosofo romano

VASCO BARBIERI – Intervista al cantautore e filosofo romano

VascoBarbieri 3 Ph Simone Impei

In occasione dell’uscita del disco di debutto “The Turtle”, ho intervistato il cantautore e filosofo romano Vasco Barbieri. Vasco nasce la prima volta il 6 agosto 1985, la seconda volta il 30 aprile 1993, dopo un coma, che lo riporta allo stato iniziale. A 7 anni torna a casa con gravi danni alla vista, si avvicina al pianoforte ed esegue ad orecchio “Caruso” di Lucio Dalla, senza aver mai suonato prima. Da quel momento la musica diventa per lui un luogo e rifugio sicuro che gli permette di conoscere se stesso e costruire il suo nuovo mondo. A 9 anni i genitori lo mandano a studiare in America in una Music School nell’Ohio, in cui scopre per la prima volta la musica classica.

Successivamente studia 3 anni presso l’Actor Studio di Roma, dove si convince che la realtà sociale, come il teatro, si compone di un gioco di ruoli e di maschere. Proprio per questo motivo si iscrive alla facoltà di Filosofia e nel 2013 consegue la laurea.

Nel frattempo lavora come Web Designer e si esibisce in numerosi locali della scena romana. Durante uno dei suoi live viene notato dalla regista Sibilla Barbieri che lo presenta a Maqueta Records. L’etichetta discografica decide di pubblicare i primi singoli “A little bit of present” e “Convert”.

Il 15 maggio 2020, dopo la quarantena forzata, è uscito “Love Remains”, brano che parla di emozioni vissute che diventano tatuaggi sulla pelle dell’anima.

Ciao Vasco, benvenuto su Tuttorock, innanzitutto come stai?

Ciao Marco! Ho fatto un concerto l’altro giorno e sto ancora sottosopra. È stato il lancio, finalmente, dell’album, un’emozione grandissima.

Parliamo di questo tuo album di debutto, “The Turtle”, perchè questo titolo?

La tartaruga è l’animale simbolo della costanza, della perseveranza e del fare le cose con attenzione. Era giunto per me il momento di lasciarsi andare e rompere quel guscio che mi divideva dalla realtà. Così sognai una tartaruga che non ce la faceva più di far parte di un branco e muoversi sempre lentamente un po’ per volta. Perciò la tartaruga decise di rompere il suo carapace per lasciarsi andare e spiccare il volo. Fu così che divenne una costellazione. Allora ho deciso di chiamare l’album The Turtle, perché racconta della mia trasformazione da ragazzo che cerca risposte e consigli a uomo che inventa nuove soluzioni e nuove strade.

Il primo singolo estratto è “Hey”, com’è nato questo brano e perchè l’hai scelto come singolo?

Hey è stato il brano che mi ha dato la forza di raccontare questa mia trasformazione. È arrivato da solo, per ricordarmi che era giunto il momento propizio. Non poteva che essere il singolo di lancio, perché rappresenta il momento di svolta che mi ha dato la forza e il coraggio necessari per lanciarmi e lasciarmi andare e dire “Hey, io sono questo”.

Gli altri brani del disco nascono da tue esperienze personali?

Ogni brano dell’album è arrivato come un suggerimento, come una chiamata a reagire. Così, ogni volta che perdevo le speranze o mi sentivo perso e confuso, mi arrivava una canzone a ricordarmi quello che per me era importante. Ogni canzone certamente comincia da esperienze particolari e si sviluppa in concomitanza a speranze e riflessioni che spontaneamente mi venivano alla mente. Ogni volta, quindi, mi conviene ascoltare quello che le mani hanno da dirmi. Così la musica e le parole, i pensieri, s’incontrano a metà strada dando vita a una canzone.

Quando scrivi un brano ti vengono in mente prima i testi o le melodie, oppure arrivano entrambe le cose nello stesso momento?

È un turbinio: pensieri che riescono a esprimersi meglio musicalmente e che hanno bisogno della voce per compiersi. Ci sono stati senz’altro pezzi che hanno avuto origini più intellettuali, ma alla fine il rapporto con le note portava le parole a levigarsi a tal punto da significare il controcanto di una ricerca fisica di maturazione. Vedo le mie canzoni come dei corpi composti di speranze e di carne. Non avrebbero potuto prendere vita se non insieme.

Come mai ti risulta più facile esprimerti in lingua inglese?

Queste canzoni sono state scritte in inglese perché in questa lingua si sono sviluppate le mie ricerche e desideri da ragazzo. Perché l’inglese è stata la mia prima lingua e perché in inglese pensavo, senza scivolare nella farraginosità intellettuale in cui cadevo ogni volta che provavo a esprimere sentimenti profondi in italiano. Ho scelto l’inglese per quest’album perché avevo voglia di essere più evocativo che descrittivo.

Il primo contatto che hai avuto con la musica, vuoi raccontarmelo?

La musica è stata sempre una valvola di sfogo importante per la mia famiglia, sin dalla mia bisnonna che suonava l’arpa. Personalmente ho incontrato per la prima volta la voglia di fare musica quando, dopo essere tornato a casa da un coma di 20 giorni in ospedale, mia madre aveva comprato un pianoforte. Sentii suonare Caruso di Lucio Dalla da un suo amico e, forse, quell’ascolto deve avermi fatto rendere conto di quali esperienze potesse farti fare la musica. Allora non ho più smesso di viaggiare grazie alla musica.

Puoi farmi qualche nome degli artisti del passato e del presente che più ammiri?

Penso di poter trovare degli esempi in molti generi diversi: da Beethoven, Morricone e Einaudi, a Xavier Rudd, Stevie Wonder o Benjamin Clementine. Ognuno ha intrapreso una ricerca della sostanza in maniera diversa e, quindi, sto sempre con la radio accesa alla scoperta di nuove vie di fuga, o di arrivo, che meritano di essere approfondite.

Nella tua biografia ci sono due date di nascita, vuoi spiegare meglio questa cosa?

Per ora ce ne sono solo due, una all’anagrafe, quando mia madre mi mise al mondo, e la seconda quando rinvenni dal coma e dovetti ricominciare tutto da capo perché avevo totalmente dimenticato i miei primi anni di vita. Fu grazie alla seconda rinascita che iniziai a dedicarmi alla musica, perché mi permetteva di far affiorare l’esperienze di altri compositori così da ridare senso alla mia realtà e, in questo modo, riuscire a tornare ad esprimermi personalmente. Sebbene mi stia rendendo conto di come nelle fasi della vita si rinasca ogni volta quasi del tutto. Nella canzone “To be grabbed” ho espresso questa mia conclusione, quando cioè mi sono reso conto che alla fine i ricordi corrono troppo veloci per essere compresi fino in fondo e che, difatti, si tratta di una continua rinascita e rivisitazione di se stessi ogni giorno.

Tu sei anche laureato in filosofia, puoi darmi una tua definizione di questi tempi in cui la superficialità in ogni ambito dilaga? Siamo arrivati ad un punto di non ritorno o c’è ancora qualche speranza?

Speranza in cosa? In un passato che crediamo sia stato migliore? Penso che i nodi finalmente stiano giungendo al pettine, ovvero che le questioni insolute e trascurate in passato si stiano finalmente e necessariamente palesando nella loro paradossalità una volta per tutte e che la realtà si stia manifestando nella sua superficialità. Ci siamo resi conto che sono state tutte congetture sociali che sono servite per mantenere unite delle verità logore, comode, forse, soltanto per pochi. È senz’altro un momento cruciale e molto delicato per tutti e ognuno ha il diritto e il dovere di esprimere la propria prospettiva. È un momento, forse, in cui siamo più liberi che mai e abbiamo l’opportunità di scegliere chi essere e cosa vogliamo davvero. È l’occasione per fare finalmente i conti con se stessi e scegliersi… facendo attenzione e occupandosi di mantenere ciò che è importante per noi. Per cui conviene approfondire e approfondirsi, permettendo di reinventarsi ogni volta. È il momento di ricominciare.

Qual è il tuo più grande sogno musicale quale quello nella vita?

Da quando sono tornato dal coma e ho scoperto la musica ho sempre vissuto la mia vita come in un musical. Vorrei allora poter continuare a ballare, a sognare insieme agli altri e a scoprire nuove potenzialità e nuovi orizzonti della realtà. Vorrei poter perennemente sorprendermi e meravigliarmi, come diceva Aristotele, taumazein (stupirsi), mantenendo la possibilità di cambiare e creare incessantemente nuovi orizzonti e storie in cui sviluppare la mia immaginazione.

Nonostante i tempi non proprio buoni per la musica live hai qualche concerto in programma?

Venerdì scorso abbiamo fatto il lancio del mio album a Roma; sono venute persone diverse, fra cui sono comparsi volti nuovi. Sono in cantiere altre date di prossimi concerti anche in altre città, per ora in Italia, per incontrare persone sempre diverse e condividere questa ricerca. Le date precise saranno comunicate sulle mie pagine social che vi invito a seguire. Ho ancora tanto da raccontare e da cantare e questo lancio è solo l’inizio.

Grazie mille per il tuo tempo, vuoi dire qualcosa a coloro che hanno letto l’intervista fin qui e a chi ascolterà “The Turtle”?

Chiedo venia se non sono riuscito ad essere del tutto esaustivo in tutte le risposte e perciò v’invito a seguirmi sui social come vascobarbierimusic e  a raccontarmi le vostre ricerche e le vostre domande. Lì potremo scoprire insieme, tra l’altro, come proseguirà l’avventura della nostra tartaruga. Grazie Marco e a presto a tutti!

MARCO PRITONI