Now Reading
PUNKREAS – Intervista al chitarrista Noyse

PUNKREAS – Intervista al chitarrista Noyse

In occasione dell’uscita del nuovo album “Electric Déjà-vu” (Virgin Music LAS Italia / Universal Music), ho avuto il piacere di intervistare Noyse, chitarrista della storica punk band italiana attiva dal 1989.

Ciao Noyse, benvenuto su Tuttorock, a circa 3 settimane dall’uscita del vostro nuovo album “Electric Déjà-vu” che riscontri state avendo visto che avete fatto anche le prime date dal vivo?

Ciao Marco! Siamo molto contenti proprio per il riscontro che stiamo avendo dai nuovi brani dal vivo nel senso che, dopo tanti anni, abbiamo delle pietre miliari come “Acá toro”, “La canzone del bosco”, “Voglio amarmi”, “Sosta”, e le canzoni nuove ci mettono un po’ a farsi largo in mezzo a questi colossi mentre abbiamo visto che da subito, nelle prime tre date che abbiamo già fatto, i nostri fan le stanno cantando e stanno ballando accogliendole molto bene. Questo ci dà un’ulteriore conferma di aver azzeccato l’album a questo giro e siamo molto contenti.

Ascoltando i brani si sente benissimo il marchio storico dei Punkreas, marchio che siete riusciti benissimo a trasportare ai giorni nostri.

È proprio questo il punto fondamentale, siamo riusciti a mettere insieme la freschezza, la leggerezza e anche l’ingenuità dei primi album unendo il tutto alla capacità di produzione, di arrangiamento, di raffinatezza. Prima c’erano gli album giovanili, poi quelli più maturi e ci sembra di essere riusciti questa volta a mettere insieme queste due cose in maniera molto efficace e questa è la cosa che ci rende più contenti.

10 brani inediti più la versione “electric” de “Il prossimo show”. So che c’è stata una genesi dei brani particolare, soprattutto quando si parla di punk, prima i testi e le voci e poi la parte strumentale, spiegami da dove è nata quest’idea.

È una cosa nata da chi ci ha aiutato nella produzione, ovvero Roberto “Rhobbo” Bovolenta, che ha suggerito questo metodo che, detto da lui, utilizzavano i Beatles. Non ti so confermare questa cosa ma te la riporto pari pari visto che lui ne era convinto. Registrando al contrario partendo dalla voce per poi passare alle chitarre ci ha permesso di mettere l’atmosfera e la potenza del racconto al centro della canzone. Pensa che con lui non si partiva ad arrangiare il brano senza che prima non fosse finito il testo perché per lui questa è la caratteristica principale dei Punkreas. Siamo molto contenti di questa collaborazione con Rhobbo perché ha questa capacità incredibile di entrare nel mondo Punkreas nella maniera giusta, pensa che a volte proprio lui ci ha detto: “Questa cosa non è Punkreas al 100%”, andrebbe fatta in un’altra maniera”. Tutto è nato durante la pandemia quando abbiamo fatto l’album acustico, perché si poteva suonare solo seduti e fare un concerto dei Punkreas in elettrico con il pubblico seduto ci sembrava un ossimoro non sopportabile, abbiamo chiamato lui perché è l’ex chitarrista de Gli Amici di Roland e ci conosciamo da un sacco di tempo, intanto è diventato cintura nera di strumentazione acustica e da lì è nata questa collaborazione che è stata talmente efficace che abbiamo voluto replicarla.

A proposito della versione “electric” de “Il prossimo show”, troviamo la partecipazione di Francesco Moneti e Franco D’Aniello dei Modena City Ramblers che portano il loro tocco folk al brano, a dimostrazione che per voi le contaminazioni musicali sono sempre un punto di forza. Contaminazioni musicali che troviamo anche in “Disagio”, dove Raphael porta il suo reggae, come sono nate queste collaborazioni?

Pensa che li ho davanti ora, siamo appena arrivati a Parma perché volevamo fare una collaborazione al loro nuovo disco e non li ho ancora salutati, se vuoi te li passo (ride – ndr).

Le collaborazioni con noi sono efficaci perché sono spontanee, non c’è mai un ragionamento commerciale fatto a tavolino. Noi conosciamo delle persone, ci piacciono, stiamo bene insieme, troviamo delle affinità e facciamo qualcosa insieme.

Riguardo a “Il prossimo show”, quando l’abbiamo fatta in acustico, prima di pubblicarla la mandammo ai Modena per chiedere il loro parere. Siamo in un territorio vicino anche al loro e quando l’abbiamo fatta in elettrico ci è venuto spontaneo chiedere a Fra e Franchino di mettere quattro cose con i loro strumenti visto che sono i numeri uno in quel tipo di atmosfere.

Rapahel l’abbiamo conosciuto a Genova a Music for Peace, un’associazione che fa delle serate per raccogliere beni materiali per zone che hanno bisogno e lui è una delle voci reggae più importanti in Italia.

Com’è nata invece la collaborazione con Giancane, presente in “Dai Dai Dai (Die Die Die)”?

Giancane l’apprezzavamo già molto artisticamente, ci piacciono un sacco le canzoni che fa, soprattutto lo stile, riesce a parlare di cose anche intelligenti con un taglio spesso ironico che ricorda un po’ il nostro. Poi ci siamo conosciuti a Roma in occasione di una giornata a sostegno del popolo curdo e lì è scoppiato l’amore e ci siamo ripromessi di fare una canzone insieme. C’era questa canzone che ci piaceva molto, dal taglio Punkreas/Giancane e l’abbiamo chiamato.

Le collaborazioni nascono in questo modo, con gente con cui abbiamo delle affinità.

A proposito di quel brano, avete voluto dare visibilità ad uno degli esempi più lampanti del continuo degrado del mondo del lavoro nel nostro paese. Avreste mai pensato, dopo più di 30 anni di carriera, voi che guardate da sempre ai problemi della nostra società, di avere ancora così tanto materiale sul quale poter scrivere dei brani?

No, avremmo sperato di averne di meno ma, in realtà, funziona così, è il tema del disco, si chiama “Electric Déjà-vu” proprio perché ci sembra che certe dinamiche continuino ad inseguirsi avendo la sensazione di vivere questo eterno déja-vu e anche se a volte cambia lo strumento, la tecnologia, le dinamiche tornano sempre uguali. Ti faccio un esempio, ogni epoca vive la sua rivoluzione, c’è stata la rivoluzione industriale che si è proposta e magari è anche riuscita ad aumentare la capacità di produzione ma quanti problemi hanno dato la catena di montaggio, l’alienazione del lavoratore? Ci sono voluti anni per cercare di ripristinare una serie di diritti dei lavoratori che, tra l’altro, recentemente abbiamo deciso di smantellare rendendo il lavoro sempre più precario. Oggi abbiamo la rivoluzione digitale che forse ha un impatto ancora più grosso, lo scopriremo nel tempo, non c’è la catena di montaggio ma ciò che incatena il lavoratore è un algoritmo, diventa una cosa digitale ma non per questo meno violenta. Questo algoritmo ti obbliga a tempi di lavoro disumani sennò perdi il posto di lavoro, sei sempre lì sul filo di lana e ti tocca correre sennò perdi tutto e questo “dai dai dai” si può trasformare in “muori muori muori”.

“Tempi distorti” invece l’ho vista come un omaggio alla musica vista come un sogno.

Fa parte anche questo di quello che dicevo prima, questo non è proprio un concept album ma ci si avvicina molto, i temi si rincorrono, parlavo prima della rivoluzione digitale, ogni rivoluzione lascia sul campo le proprie vittime, per quanto riguarda il mondo della musica abbiamo preso ad esempio i negozi di dischi che sono quasi scomparsi, e quei pochi che sono rimasti combattono in prima linea. La canzone parla dei tempi che cambiano, certe cose ritornano uguali ma alcune cose nei cambiamenti del progresso tecnologico scompaiono per sempre. Si parla del sogno che avevamo noi, e i tempi di oggi forse non sono così diversi dai nostri, semplicemente cambiano le dinamiche ma non per questo gli sforzi dei giovani di oggi di fare musica sono meno importanti. Abbiamo voluto fare questo video in cui i noi guardiamo quei giovani di oggi con aria distaccata ed enigmatica, un po’ come dire: “siamo invidiosi di voi e noi stiamo diventando dei vecchi di merda, un po’ siamo curiosi, un po’ scettici, fateci vedere cosa riuscirete a fare”.

Il tour prevede ancora due date primaverili, e in estate?

In teoria non si potrebbe dire ma è un po’ un segreto di Pulcinella, abbiamo un tour estivo meraviglioso con già un bel po’ di date e tra un po’ ve le faremo sapere.

La copertina da chi è stata realizzata?

Da Marcello Gatti di Myoopia, è il nostro super grafico di fiducia da tanti anni, ci facciamo fare da lui tutte le copertine. Anche questa è partita da un’idea sua, il gatto nero ricorda un po’ il film Matrix dove, quando c’è l’effetto déja-vu si vede appunto un gatto nero. Qui lo vediamo prendere una scossa elettrica molto forte, questo vuol significare che siamo tornati all’elettrico dopo il disco in acustico, e a questo gatto si ribalta un po’ il cervello e ha questo sdoppiamento della personalità, questo disorientamento che si ha quando si prova la sensazione di déja-vu.

Quando le cose iniziano bene poi tutto si incastra bene, e anche per la copertina siamo molto soddisfatti, insomma, questo album ha avuto un impatto molto positivo.

Grazie mille per il tuo tempo, ti lascio piena libertà di chiudere l’intervista come vuoi.

Grazie a te! Veniteci a vedere perché, come ho già detto, le canzoni nuove si inseriscono perfettamente nella scaletta con quelle vecchie e quindi assisterete a dei bellissimi concerti!

MARCO PRITONI

Photo credits: Le foto di copertina e di spalla ai link sono di Riccardo Spina. La copertina del disco è opera di Marcello Gatti – Myoopia

Band:
Cippa – voce
Noyse – chitarra
Endriu – chitarra
Paletta – basso
Gagno – batteria

https://punkreas.net/
https://www.facebook.com/punkreasofficial
https://www.instagram.com/punkreas_official/