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ORCHESTRA DI VIA PADOVA – Intervista al fondatore Massimo Latronico

ORCHESTRA DI VIA PADOVA – Intervista al fondatore Massimo Latronico

Ho avuto il piacere di intervistare Massimo Latronico, fondatore e direttore artistico dell’Orchestra di Via Padova, ensemble multietnico milanese attivo dal 2006 che si esibirà il prossimo 18 luglio alla Triennale di Milano in un concerto inserito nella rassegna “La Musica Dei Cieli”.

Ciao Massimo, benvenuto su Tuttorock, innanzitutto come va questo periodo di ripresa della musica dal vivo?

È stato naturalmente un periodo molto complicato sia da un punto di vista lavorativo che, di conseguenza, da un punto di vista personale: ogni musicista ha bisogno di respirare il pubblico ed anche agli stessi spettatori è mancata l’emozione dei concerti live. Vi ricordate quando si rientrava dai concerti “pregni” di odori oltre che di emozioni?

La politica che si sta seguendo è quella di rendere fruibile la musica e lo spettacolo in generale solo attraverso lo streaming ma questo impoverisce sia gli artisti che gli spettatori, non certo i titolari delle piattaforme. In questo periodo è comunque uscito un cd LIVE con l’Orchestra di via Padova e l’Artchipel Orchestra nel concerto Batik-Africana suite eseguito per JazzMI 2019 al Teatro CRT dell’Arte di Milano.

A proposito di musica dal vivo, vuoi presentare ai lettori di Tuttorock il concerto che terrete il prossimo 18 luglio alla Triennale di Milano?

Il nostro concerto sarà eseguito con una formazione dimezzata per disposizioni sanitarie ed avrà una dimensione più intima. Oltre ad alcuni classici dell’Orchestra di via Padova (OVP), suoneremo canti arabi della tradizione Magrebina e Gnawa trasportati dalla voce del nostro “muezzin” Aziz Riahi, membro storico dell’orchestra col quale portiamo avanti da anni il progetto ALLAYALI. I canoni della musica tradizionale araba saranno rivisitati da nuovi arrangiamenti, come da tradizione OVP. Eseguiremo anche alcuni brani originali tratti dal nostro ultimo album “ACQUA” interpretati dalla voce poliedrica di Francesca Sabatino.

C’è un concerto vostro che ti porti nel cuore in maniera particolare?

Sicuramente quello del 2012 al Teatro dal Verme insieme alla Banda Osiris. Il teatro era stracolmo ed è stata una festa che ha raccontato con ironia piccole grandi tragedie quotidiane che ognuno di noi vive. Ci siamo confusi col pubblico andando a suonare in platea. Ogni concerto ha lasciato comunque un segno ed ha contribuito alla crescita di OVP.

Voi siete un bellissimo esempio di integrazione che sfocia nell’arte. Nel 2021, però, siamo ancora qui ad affrontare un tema molto triste come il razzismo, secondo te esiste un modo per estirpare questo male definitivamente?

Dopo più di 15 anni che vivo da diversi punti di vista questo progetto, mi sento di affermare che il razzismo è innanzitutto una conseguenza di un impoverimento culturale che stiamo vivendo da anni. Fare musica vuol dire anche fare cultura, incontrarsi, cercare nuove strade, avere spazi pubblici e, soprattutto, avere la dignità di un lavoro, ma questa è una criticità che tocca il sistema dello spettacolo in generale e le proteste di questi mesi da parte di tutti i lavoratori del settore ne hanno evidenziato le crepe. Per rispondere alla tua domanda, non penso sia un male da estirpare agendo solamente sul sintomo.

Tu, visto che sei il creatore di questo progetto nato nel 2006, hai incontrato delle difficoltà a mettere insieme culture così diverse?

Alcune difficoltà ci sono state ma più in relazione alle diverse “culture musicali”; immaginatevi un percussionista cubano che deve affrontare un pezzo balcanico in 7/8; oppure un cantante peruviano che impara una canzone ucraina. Il confronto nasce anche dalla curiosità reciproca ed ho cercato di alimentare questi processi all’interno di OVP. All’interno della formazione ci sono diverse religioni ed ognuna ha dei precetti da seguire; abbiamo cercato solo di rispettare alcune regole che ci hanno aiutato anche a capire l’altro. Ricordo con brividi di terrore i mesi seguiti all’approvazione della legge Bossi-Fini perché abbiamo vissuto quasi in clandestinità. In generale, sappiamo che i problemi più grossi ce li creiamo noi “Italiani”.

Tornando al discorso di prima, la musica in Italia è vista come un intrattenimento e non come una professione anche dalle autorità che siedono molto in alto, ricordo anche le parole dell’allora Presidente del Consiglio Conte che disse “I nostri artisti che ci fanno tanto divertire”. Gli artisti, però, devono comunque trarre beneficio economico per sopravvivere, cosa ne pensi di questa “deformazione” molto italiana?

Sì, è molto italiana ma anche molto “globalizzata”. Il pacchetto vendita di un’opera o di un artista in generale è all’interno di un mercato globale con le sue manipolazioni ed interessi che, vi assicuro, non garantiscono i piccoli autori. OVP è un processo continuo ed è composto da 17 persone; la visione dell’ex presidente del Consiglio Conte è quella di un “risultato” da fruire come intrattenimento e non come un processo creativo. Dico sempre che i tempi della politica e quelli di un artista non potranno mai coincidere perché noi rispondiamo ad impellenze necessarie alla nostra anima, non ad interessi di lobby.

C’è una città, un paese, un palco in particolare dove ti piacerebbe portare l’Orchestra?

Gerusalemme; ho avuto la fortuna di suonare in quella città ed è stata un’emozione enorme. Era marzo/aprile 2001 ed era appena scoppiata la seconda Intifada dopo la camminata di Sharon sulla spianata delle Moschee. La musica, in quell’occasione, ha aiutato tantissimo a stemperare il clima. Con OVP abbiamo arrangiato un Nigun, danza di matrice Yiddish/Ebraica incastonando un mawall, tipico canto arabo, a sottolineare quanto le culture musicali vadano oltre le barriere nazionali e politiche

Grazie mille per il tuo tempo, vuoi aggiungere qualcosa per chiudere questa intervista?

Faccio un appello anche attraverso le vostre pagine: l’Orchestra di via Padova sta ancora cercando una sede stabile in quartiere dove far sviluppare i progetti che sta seguendo da anni sul territorio.

MARCO PRITONI