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MASSIMO COTTO – Intervista su ROCK IS THE ANSWER

MASSIMO COTTO – Intervista su ROCK IS THE ANSWER

Massimo Cotto è DJ radiofonico, autore televisivo e teatrale, giornalista professionista, scrittore (ha al suo attivo oltre 70 libri), direttore artistico di numerosi festival e rassegne, presentatore e “narrattore”.

Ciao Massimo, piacere di risentirci, un nuovo libro “Rock is the answer”, a che quota siamo arrivati?
(risate) Dovrebbe essere il numero 72. 

Quando ho letto il titolo, mi è venuto subito in mente quello che mi raccontasti in una intervista di qualche anno fa, nella tua conduzione dello spettacolo in Piazza Maggiore, quando Papa Wojtila, rivolgendosi a Bob Dylan, gli disse “La risposta la trovi nel vento”.
Per fortuna non esistono delle risposte definitive alle domande della nostra vita, altrimenti risolveremmo tutto, ma poi ci annoieremmo a morte per il resto della nostra vita. Le risposte che ti può dare l’arte sono provvisorie, ti consentono di avanzare di qualche metro, e giungere così alla domanda successiva. Quindi il tuo aggancio è giusto, nel senso che le risposte sono nel vento, noi le prendiamo, ma allo stesso tempo continuiamo a farci delle domande. Pensa che proprio Bob Dylan, autore appunto di “Blowin’ in the wind”, è quello che ha messo più punti interrogativi e domande all’interno delle sue canzoni. A me piace molto interrogarmi sulle cose del passato, non sul futuro perché di quello non sappiamo nulla, ma delle piccole e grandi cose della vita sì. A volte mi capita di prendere spunto dalle parole di persone più intelligenti di me, per trovare delle risposte, ed è per questo che ho scelto questi 150 artisti che ho intervistato in questi anni. Da loro ho estratto le dichiarazioni più universali, quelle che meglio si possono adattare a tutti quanti noi. 

Questo nuovo libro esce dal filone delle pillole rock con cui ci hai deliziato in tanti libri, ma sono più pensieri, giusto?
A me piace raccontare storie, stavolta volevo fare qualcosa di diverso, nel corso degli anni incontri persone, non necessariamente famose, che ti lasciano dentro qualcosa. A distanza di tempo ti capita di ricordare queste frasi, e le parole degli artisti, anche italiani, anche se stavolta assenti, mi sono rimaste in un angolo della mente. Mi sono andato quindi a riascoltare le interviste che ho fatto, e ho scelto quei brandelli di parole che ho trovato particolarmente significativi. 

Un artista che intervistai anni fa mi disse che il rock non deve dare risposte, ma fare pensare, questo si concilia con il tuo pensiero?
Sì, il rock ti può suggerire il percorso, ma poi l’ultimo passo lo devi fare tu. Il rock è il profumo della torta, ma poi il dolce lo devi creare tu. Non può esistere nessuno, un compagno, un dio, un genere musicale, che ti possano risolvere i problemi della vita. Possono darti gli strumenti per realizzare la felicità, ma poi te la devi costruire da solo. 

Leggendo il tuo libro, mi pare di avere inteso che le risposte possono anche cambiare nel percorso temporale della vita. Le domande e le risposte che ti poni a 20 anni possono essere diverse rispetto quelle che ti fai a 50 o 60?
Sicuramente, è un esercizio che mi piace fare, e che metto in opera quando intervisto gli stessi artisti a distanza di anni. Gli pongo la stessa domanda, e vedo se la risposta è diversa. Il tempo è una diagonale impazzita che altera le percezioni, influendo quindi sia sulle domande che nelle risposte. 

Anche il momento direi, l’ambiente, le domande che ci facevamo negli anni ’60 sono concettualmente diverse rispetto quelle che ci siamo posti, ad esempio, durante la pandemia?
Le domande negli anni ’60 erano indirizzate principalmente a capire come il rock poteva cambiare il mondo. Oggi ritengo che ci si concentri più a livello individuale. Non credo ci sia oggi qualcosa che può cambiare il mondo, può rispecchiarlo, rifletterlo, anticiparne i nuovi fermenti, interpretarlo, ma nemmeno la politica, un leader, un Papa, può cambiare il mondo oggi. Pensare lo possa fare il rock è perlomeno ingenuo, più facilmente possiamo cambiare noi all’interno del mondo. 

Altro aspetto che esprime il tuo libro è la positività del rock, anche quando affronta e racconta versanti scuri e inquietanti. Abbiamo sentito spesso accuse di satanismo o di istigare a violenza o peggio, ma non mi pare sia un’interpretazione corretta.
Il problema del rock è che spesso ne parla chi non ne capisce nulla, in passato ci fu chi arrivò a dire che ascoltando i dischi al contrario, potevi ascoltare messaggi satanici. E’ purtroppo vero che il rock ha avuto grandissimi artisti, che sono stati cattivi maestri nella vita. Negli anni ’60 si pensava che, come diceva Jim Morrison, le droghe potessero portarti oltre la soglia della percezione, per cui abbiamo perso grandi musicisti, come il “Club dei 27”, che avrebbero potuto regalarci altre grandi cose nella vita. Certamente il rock non incita alla violenza, al demonio o all’uso smodato di droghe, o addirittura a distruggerci. 

L’idea di raccogliere tutti questi pensieri tenuti da parte, come ti è nata?
Avevo fatto il precedente libro Rock Therapy, che aveva avuto un buon successo, e Marsilio Editore mi ha chiesto di farne un seguito. Io non avevo voglia di fare un libro uguale a quello, mi annoio a fare le stesse cose. Mi sono detto che, se è vero che la musica ha un effetto taumaturgico, le parole di chi, quella canzone ha scritto, possono avere lo stesso effetto terapeutico. Visto che tengo sempre tutto nel mio archivio, sono andato a pescare quelle frasi che ho ritenuto più interessanti e significative. 

A chi possiamo consigliare questo libro? Io potrei dire a tutti, dai felici ai depressi.
Il libro è come un coltellino svizzero multiuso, che puoi usare per tagliare o per aprire una bottiglia, piuttosto che scrivere un messaggio d’amore sulla corteccia di un albero. Io dico sempre, “Se potete compratelo, se non potete rubatelo!”. 

(risate) Beh, già le tue pillole rock sono fra le cose più usate e copiate nel mondo.
(risate) Nel mondo non lo so, sicuramente in Italia vengono utilizzate le mie cose nelle trasmissioni radiofoniche, a volte citandomi, altre volte no. Ma alla fine penso che l’importante sia cibarsi di rock e parlarne in ogni maniera. 

MAURIZIO DONINI

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