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“Io, Battiato e L’arca di Noè” – Intervista a Filippo Destrieri

“Io, Battiato e L’arca di Noè” – Intervista a Filippo Destrieri

Il 3 dicembre del 1982 esce L’arca di Noè, 12esimo album di Franco Battiato. Un lavoro che troppo spesso viene messo in secondo piano all’interno della discografia dell’artista siciliano. Forse anche a causa della sottilissima distanza temporale con la quale segue un predecessore fin troppo ingombrante come La voce del padrone
Le due opere però sono decisamente diverse l’una dall’altra.
Toni cupi, a tratti apocalittici, qui si schiudono. Con Franco che, come una vedetta ci racconta il mondo attraverso il suo punto di osservazione. Tra ironia, sarcasmo e polemica.
E poi i suoni, e che suoni! 
L’arca di Noè infatti fa da precursore per quanto riguarda l’utilizzo dell’elettronica digitale all’interno della musica italiana.
Per farci raccontare meglio questo disco, e non solo, ho fatto una chiacchierata con chi il disco l’ha realizzato, ossia Filippo Destrieri storico musicista di Franco Battiato.
 
Di seguito l’intervista integrale:

Sono già 40 candeline per L’arca di Noè, che uscì tra l’altro dopo poco più di un anno rispetto al clamoroso successo de La voce del padrone. Come mai le tempistiche sono state così brevi?

In realtà il disco era pronto già da un po’, circa 6 mesi prima rispetto alla pubblicazione, ma la casa discografica volle aspettare poiché La voce del padrone stava vendendo ancora tantissimo e non avrebbe avuto senso lanciarlo sul mercato prima che si placasse quell’ondata. Tant’è che solo il 17 Settembre si era tenuta, con il celebre concerto all’Arena di Verona, l’ultima tappa dello storico tour che ne era conseguito.

L’album si potrebbe dire che sancisca l’avvento dell’elettronica digitale nella musica italiana, con lo “sbarco” del mitico campionatore Fairlight CMI. Ce ne parli?

Facemmo arrivare questo meraviglioso strumento. Aveva una risoluzione a 8 bit, oggi farebbe ridere, ma all’epoca era assolutamente futuristico. Abbiamo comunque suonato tutto a mano, perchè i suoni erano sì digitali ma non c’era nessun computer che li eseguiva. Come per Patriots e per La voce del padrone le mani “viaggiavano”. L’arca Di Noè è tutto suonato a mano quindi. La differenza stava nella vastità della gamma di suoni che quello strumento ci permetteva di utilizzare. Per esempio quegli imponenti “strappi” di archi che si sentono in Radio Varsavia vengono da lì. Ed era la prima volta che si sentivano quei suoni in Italia perché non erano simulabili con gli strumenti elettronici precedenti. Con i campionamenti del Fairlight invece diventavano realtà. 

Come ve lo eravate procurato?

Lo affittammo tramite un amico di Milano. Ne facemmo arrivare anche un altro “scomposto”  dalla Germania per avere eventuali pezzi di ricambio. Acquistarne uno sarebbe stato folle visto il prezzo spropositato. Noleggiarlo era dunque l’unica soluzione. Fummo i primi in Italia a metterlo su un disco.

L’uso dell’elettronica digitale parte da qui dunque, e si fa più massiccio nei due lavori successivi ossia Mondi Lontanissimi e Orizzonti Perduti. Con quali differenze?

Sì, l’elettronica entra prepotentemente nei due dischi seguenti. Siamo stati al passo con i tempi, e quindi con la tecnologia. Ricordo ad esempio quando andammo a provare il Synclavier, che si potrebbe definire “l’antagonista” del Fairlight, nello studio di Peter Gabriel. Solo lui poteva averlo! Tornando ai due album che hai citato, anche lì tendenzialmente si suona con le mani però si inizia ad utilizzare il sequencer. Mi viene in mente l’atmosfera dance di La Musica è Stanca, sarebbe stato da pazzi riprodurla manualmente. Invece L’arca di Noè ha i suoni elettronici ma è tutto suonato alla vecchia maniera. Un punto di congiunzione tra il passato e il futuro che da lì a poco avrebbe bussato alla porta sotto forma di micro-composer e sequencer appunto.

Qual è il brano del disco a cui sei più legato?

Mi piace moltissimo Scalo a Grado. Ha un’atmosfera giocosa che secondo me riassume perfettamente lo stile e l’ironia di Franco. Per alcune cose lo collego a Sentimiento Nuevo.

Tutti e sette i brani li trovo affascinanti, L’esodo per esempio ha un tiro incredibile.

Tra l’altro li ho rifatti tutti e li porto in giro con il mio gruppo Equipaggio Sperimentale.

L’arca di Noè è un disco più “pesante” rispetto a La voce del padrone però lo considero parimenti un capolavoro.

Ci racconti il tour che ne è conseguito?

Partì a Giugno dell’anno seguente. Eravamo un pullman di persone tra musicisti e coro, C’erano infatti con noi sul palco anche i Madrigalisti di Milano, che sono presenti sul disco ovviamente. Riempivamo gli stadi, un successo incredibile, ricordo una data molto bella al San Paolo di Napoli (attuale Stadio Diego Armando Maradona ndr.).

In questi giorni è in sala il docu-film “La Voce del Padrone”. Qual è tuo pensiero a riguardo?

L’ho visto un paio di volte, sono stato anche a Taormina per l’anteprima. Beh il mio pensiero, senza voler fare troppa polemica, è che sia stato dato molto spazio anche a persone che Battiato non lo conoscevano e che non lo potevano conoscere. Diciamo che fanno colore. Gli unici, secondo me, superstiti, a poter raccontare Franco siamo io e Donato Scolese. Che 40 anni fa, trentenni, eravamo lì a suonare La voce del padrone. Gli altri non possono raccontare la fatica che abbiamo fatto agli inizi. Anche andando a suonare gratis.

Io che ero con lui dai tempi del Cinghiale Bianco ricordo date di quel tour in cui c’erano 50 persone a Milano, 50 persone a Roma, e addirittura solo 20 a Genova. Con i tecnici che non si spostano per così poca gente e tocca fare tutto a te. Quel periodo lì fu veramente difficile perché il vecchio pubblico di Franco, abituato ai suoi dischi prog e sperimentali, gli girò le spalle quando uscì L’era del cinghiale bianco, temendo che avesse iniziato a fare musica commerciale. Le vendite non furono buone e la casa discografica tentennò parecchio prima di farci fare Patriots. Che fortunatamente andò meglio, e poi venne La voce del padrone.

Franco quindi ha dovuto conquistare da zero il suo pubblico ancora una volta.

Queste cose le può raccontare solo chi era presente. Tante persone sono arrivate solo quando c’era già la tavola imbandita, e adesso risultano come gli amici di una vita. Dimenticandosi di noi che quella tavola l’abbiamo apparecchiata, dopo aver fatto la fame.

Sempre recentemente un noto settimanale ha fatto uscire in edicola i dischi delle opere liriche di Battiato. Ci racconti un po’ com’è stato realizzare quei lavori?

Genesi ad esempio è stato un progetto che ho portato avanti gomito a gomito con Battiato tutti i giorni a casa sua, è stato molto bello. Un’opera mastodontica, tra  proiettore gigante, attori, cantanti lirici, i dervisci e l’orchestra. Mancavano solo gli elefanti di Moira Orfei. La Rai registrò tutto con delle telecamere pazzesche, ma i video non sono mai usciti dai loro archivi: che peccato! Una cosa simile è successa per Il cavaliere dell’intelletto  (terza opera lirica firmata da Battiato ndr.) che abbiamo registrato in uno studio a Roma, ai Parioli, e che non è mai stato stampato su nessun disco. Si trova nella “cassaforte” di qualche etichetta  Sempre riguardo Genesi, un anno fa sono stato contattato da Alessandro Nidi, il direttore d’orchestra di quell’opera, e da Franco Masotti (fratello di Roberto fotografo de La voce del padrone, tra le altre cose ndr.) direttore del Ravenna Festival. Mi chiesero se avessi conservato tutta la parte elettronica, con l’idea di riportarla in scena a Ravenna appunto. La cosa non andò più in porto ma ho deciso comunque di portare in giro una versione elettronica di Genesi, arricchita di alcune chicche inedite risalenti a quel periodo di lavorazione con Franco, che custodisco nel mio archivio. Sarà un lavoro lungo ma mi entusiasma moltissimo l’idea.

A proposito di portare in giro progetti, è da più di un anno che stai facendo su e giù per l’Italia con “Il Padrone della Voce”, uno spettacolo in cui tra brani e aneddoti racconti Franco. Puoi parlarcene?

Sì, il sottotitolo potrebbe essere “Battiato story”, ma chiamarlo “Il Padrone della Voce” riassume quello che è il mio intento. Celebrare la sua voce, che è qualcosa di miracoloso. Aveva appunto una padronanza che non ha eguali secondo me. Cantava in maniera assolutamente naturale. Nello spettacolo propongo i brani appartenenti ai suoi primi quattro dischi, ossia Fetus, Pollution, Sulle corde di Aries e Clic. La parte strumentale l’ho tutta rielaborata. Per quello che concerne la voce utilizzo sia la sua da ventenne, sia quella relativa a Giubbe Rosse, che sarebbe il live album dell’89 nel quale avevamo suonato molti di questi pezzi appartenenti al suo periodo prog. E lì aveva raggiunto una maturità vocale incredibile, il picco della sua espressione canora a mio modo di vedere. Portare in giro questo spettacolo mi regala un’emozione incredibile.

Grazie mille Filippo, è stato un vero piacere!

Grazie a te Francesco, ciao! 


Intervista di Francesco Vaccaro

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