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Intervista Beppe Facchetti – Superdownhome

Intervista Beppe Facchetti – Superdownhome

Sei l’artista che più di tutti negli ultimi anni si è messo in discussione stravolgendo completamente le proprie certezze. Cosa ti ha spinto a farlo?

– Ci sarebbe innanzi tutto da chiarire cosa voglia dire essere “artista” e da capire, poi, se io appartenga o meno alla categoria. Diciamo che sono un batterista di medio livello con qualche idea in testa.
Detto ciò, e’ vero che mi sono sempre messo in discussione… le motivazioni sono, innanzi tutto che ho avuto la possibilità di farlo (e non tutti sono così fortunati) e poi l’aver considerato che, nell’arte molto più che nella vita, di vere certezze non ce ne sono… se poi ci vogliamo aggiungere che la vita dura molto meno di quanto crediamo, ecco il perché ho sempre provato a creare e reinventarmi situazioni e progetti e mondi paralleli… anche un modo per dare sfogo al mio desiderio di una realtà che, proprio per questo suo essere caleidoscopica, mi apparisse più intrigante.

Com’è nata l’idea di creare i SuperDownHome?

– I SDH nascono dall’aver visto suonare un personaggio come seasick steve. Gli strumenti auto-costruiti che usa, il genere di musica che fa, l’aver registrato il suo primo disco a tipo 50 anni, tutto ciò mi ha fatto vaneggiare di poter aver ancora del tempo per provare a sognare. Ho incontrato henry sauda e anche lui e’ un grande sognatore come me, un vero appassionato di musica, un chitarrista e autore talentuoso e che si e’ dimostrato subito disponibile a mettersi in gioco provando e riprovando a farsi customizzare e suonare strumenti che sono davvero insuonabili per mille motivi. Alla fine però, si sono anche rivelati gli strumenti che ci hanno permesso di dare una linea coerente e un suono caratteristico alle canzoni che abbiamo pian piano cominciato a scrivere una volta trovato il bandolo della matassa.

Lo hai capito subito che “SuperDownHome” era una creatura che poteva darti soddisfazioni?

– Devo dire che, una volta trovato il suono, le cose hanno cominciato a rotolare molto velocemente.
Nel giro di quattro anni scarsi (considerando poi cosa e’ stato il 2020) abbiamo fatto tante di quelle esperienze che rimango sempre sorpreso quando ci penso. Essere stati apprezzati quasi subito da tutta una serie di personaggi del nostro circondario, notoriamente non appassionati di blues, e’ stato il primo segno che mi ha fatto pensare si potessero continuare a investire energie su questa creatura.
L’aver trovato quasi subito il supporto di un’agenzia di booking specializzata in blues come slang music e’ stata un’altra spinta morale e pratica notevole: Giancarlo Trenti (che e’ a tutti gli effetti il terzo membro del gruppo) ci ha permesso di cominciare velocemente a calcare palchi prestigiosi e a collaborare con personaggi di rilievo del panorama blues internazionale. Ecco, possiamo quindi dire che i veloci feedback positivi iniziali sono stati la fiammella da cui ci siamo fatti condurre… fortunatamente il supporto ha continuato ad esserci nel tempo e ha coinvolto anche tante altre persone e artisti, di mondi anche parecchio diversi rispetto al nostro. Queste sono state ulteriori conferme che il progetto non era campato per aria.
I SDH sembrano continuare a piacere, a non ristagnare, a rinnovarsi costantemente.
Sono contento, molto contento.

Sono molto curioso di capire come hai conosciuto Popa Chubby e come ha contribuito alla crescita della vostra band.

– POPA CHUBBY l’abbiamo contattato tramite il nostro booking agent giancarlo trenti.
Gli abbiamo chiesto un feat. Su alcuni brani del nostro disco “Twenty-four days” e un feat. In un video di una di queste canzoni, “Stop breaking down blues” di rRobert Johnson.
Sappiamo bene che la presenza di un artista del suo calibro all’interno di un brano richiama parecchia attenzione (e’ anche uno dei motivi per cui si fanno i feat.).
Detto ciò, la collaborazione e’ continuata e abbiamo aperto parecchie date dei suoi tour italiani. Ha prodotto il nostro secondo disco “Get my demons straight” e ci ha portato in Germania ad aprire dieci date del suo tour europeo. E’ stata un’esperienza estremamente positiva, in primis per il successo notevole – anche nostro – dei concerti.
In secondo luogo abbiamo imparato cosa voglia dire essere un team funzionale e preparato ad affrontare situazioni comunque non facili, sia fisicamente che psicologicamente che organizzativamente.
E siamo tornati a casa con un bel fardello di cose su cui meditare e lavorare.
Ted aka Popa Chubby e’ comunque una persona non sempre facile da gestire e gratificare, un po’ come un genitore molto severo che, da una parte stimola i caratteri forti a fare meglio ma dall’altra può portare quelli deboli ad arrendersi subito.

Enrico si è tuffato a capofitto con te in questa avventura…chi dei due era più convinto di farlo?

– Direi che siamo sempre stati entrambi molto convinti. La differenza e’ che abbiamo una situazione lavorativa molto diversa così come diversa e’ la nostra esperienza nella musica. Lui ha dovuto abituarsi al fatto che, a certi livelli, l’approccio all’arte deve cambiare parecchio e le priorita’ diventano altre. Ma e’ comunque una persona molto ricettiva e riflessiva e ci si e’ abituato velocemente.
Adesso siamo entrambi piuttosto consci del dove ci troviamo.

Raccontami le emozioni che hai vissuto nell’aprire i concerti di Fantastic Negrito e soprattutto dimmi che tipo di persona è.

– Devo dire che non mi sono nemmeno ben reso conto di cosa stavamo per andare a fare.
Le prime due date sold out alla santeria di milano sono state due dei più begli highlights di questi anni. Due palle di cannone vissute alla velocità della luce. Pam pam… e noi a rientrare nella realtà ancora trasognati.
Le successive quattro date, quelle del 2019, ci hanno trovati molto più pronti le abbiamo vissute molto meglio, un po’ perchè si e’ creato un bel team con i musicisti di Xavier (Negrito), e un po’ perchè sono stati cinque giorni di vero tour, per mezza italia, nel momento in cui Fantastic Negrito ha cominciato davvero a far parlare il mondo della sua apparizione.
Come persona l’ho trovato estremamente alla mano e un uomo saggio di quella saggezza che deriva dall’aver compreso quanto preziosa, delicata e fragile sia l’esistenza. (basta leggere la sua bio per rendersi conto di quante ne ha passate). E’ un cinquantenne che lavora costantemente ad stretchare i confini del blues alternativo, in continua sperimentazione e portandolo poi in giro per tutto il mondo.

Che tipo di amicizia ti lega a Omar Pedrini?

Omar l’ho conosciuto di persona piuttosto tardi.
Ho avuto l’occasione, grazie a Marco Franzoni, di partecipare alle registrazioni di alcune sue canzoni e da lì, a fasi alterne, ho sostituito il suo batterista quando non era disponibile (inizialmente suonando il cajon). Piano piano poi ho cominciato a fare qualche data alla batteria finchè un giorno, mi ha chiesto di entrare a titolo effettivo nella band. Un sogno che si realizzava.
Purtroppo, come a volte accade nella vita, passi anni senza che nulla accada e poi le due cose più importanti che stai facendo musicalmente vanno a succedere nello stesso periodo.
A quel punto mi sono trovato a dover prendere una decisione e, per una questione etica, ho preferito non tenere il piede in due scarpe finendo magari per far male entrambe le cose…
Fatto sta che, alla vigilia del tour per i 25 anni di “viaggio senza vento” (un tour che poi ha finito per essere un successo incredibile) ho detto a Omar che non avrei potuto proseguire con lui. Ha capito la mia situazione (anche lui ama molto i Superdownhome). Mi ha fatto i suoi più sinceri auguri e continua a supportarci costantemente (ci siamo anche promessi di suonare presto insieme).
Mi e’ spiaciuto moltissimo da tutti i punti di vista dover abbandonare ma mi sono guardato allo specchio e mi sono voluto togliere l’ultimo sfizio artistico della mia vita (leggasi: ho voluto fare una cazzata colossale). Ci sono stati giorni che mi sono chiesto davvero se avevo fatto la cosa giusta… e quando poi ho visto il live di chiusura tour al fabrique ho pensato più volte che sarebbe stato bello coronare la mia collaborazione con Omar suonando su quel palco ma la vita e’ fatta anche di queste cose. Tenere entrambi i progetti sarebbe stato davvero impossibile e molte delle cose che sono successe ai SDH non sarebbero potute succedere.

Tu ed Enrico avete fatto una tournée a New Orleans, strappando anche qualche contratto live, che ambiente avete trovato? Che differenza c’è tra loro e noi?

– Più che una tournée a new orleans, diciamo che abbiamo fatto un mese in u.s.a.
All’interno di questo mese abbiamo fatto parecchie cose: abbiamo registrato un disco a new orleans e abbiamo suonato a new orleans, a clarksdale e a memphis. Poi abbiamo girato e visto parecchie cose.
Non e’ facile affrontare discorsi così ampi però ti posso dire che abbiamo trovato comunque tante realtà diverse, alcune più serie e altre più commerciali e turistiche. Certo, in u.s.a. La musica ha un altro spessore rispetto all’italia. A new orleans essere musicista e’ una cosa che fa parte del dna. Ma in generale la musica la’ e’ un’attività costante, giornaliera, supportata dallo stato, dalle radio, dalla televisone, dal mercato.
E i lavori che noi consideriamo “seri” i musicisti (gente che fa 2/3 date al giorno) li fanno davvero part-time per potersi permettere di continuare a suonare.
Qui spesso la musica e’ un riempitivo, un’attività alternativa, come quando non si fa religione a scuola e allora ti fanno fare altro. Gli insegnanti di musica nella scuola dell’obbligo sono trattati alla stregua di quelli di ginnastica e di religione: una categoria b. Spesso e volentieri, tre anni di flauto alle medie e basta. Vedi che, alla fine, stiamo parlando di cose che nemmeno si possono paragonare.
Il viaggio in u.s.a. E’ stato comunque una grande esperienza che ha dato frutti insperati (ad esempio, avremmo dovuto partire di nuovo per gli u.s.a. Proprio in questi giorni perche’ siamo piaciuti a tal punto che ci hanno offerto un ingaggio davvero ben remunerato per ritornare al samantha fish cigar box guitar festival, cosa alla quale avevamo in programma di aggiungere date in florida e in illinois).
Purtroppo sappiamo bene cosa e’ successo. Pazientiamo e speriamo di riprendere presto con un’attività che si possa considerare normale.

Purtroppo avete saltato molti live lo scorso anno, come tutti del resto, ma nonostante tutto avete firmato un contratto con una nuova casa discografica, hai voglia di dirci com’è andata e quali sono le emozioni che hai vissuto?

– Nonostante l’annata terribile dal punto di vista musicale questo scorso 2020 si e’ rivelato comunque un anno incredibile per i sdh perché siamo riusciti a fare comunque dei bei concerti e l’annata e’ stata segnata da tre accadimenti davvero incredibili:
a gennaio negli u.s.a., come appena detto.
a giugno e’ uscito un nostro vinile per warner music italia.
e, come stavi sottolineando tu, a fine dicembre e’ arrivata questa bomba del contratto discografico per dixie frog, prestigiosa etichetta blues parigina.
la nostra booker francese aurélie roquet mi ha chiesto se ci interessasse mandare il nostro materiale a dixie – che aveva visto e apprezzato un qualche nostro video – e abbiamo accettato (assolutamente convinti che fosse una mossa troppo audace e che, molto probabilmente, nulla ne sarebbe uscito).
invece ci hanno richiamato dopo non molto tempo e ci hanno proposto di entrare nella loro label, piena di nomi prestigiosi.
e’ un sogno che diventa realtà.
ad aprile uscirà il primo disco e poi, per fine anno, c’è in programma il secondo. sembrano davvero entusiasti di averci con loro (cosa per me a tutt’oggi incredibile) e mi sono parse tutte persone estremamente entusiaste e ammodo. speriamo di riuscire a ripagare la loro fiducia, fiducia che, fra l’altro, arriva in un momento in cui puntare sulla musica e’ indice di notevole spirito sognatore… e noi, come loro, siamo dei grandissimi sognatori.

Vuoi ringraziare qualcuno Beppe o senti di più la voglia di toglierti qualche sassolino dalle scarpe?

– Voglio ringraziare mia madre e mio padre per avermi dato i mezzi che mi hanno consentito di poter fare musica e soprattutto la musica che amo. Sappiamo bene che, per poter fare il musicista (ma l’artista in genere), devi avere la possibilità di dedicare un sacco di tempo ad attività assolutamente non remunerative.. E, proprio per questo, se hai due lire da parte, può risultare meno difficile. Sassi nelle scarpe ne avrei anche tanti da togliermi ma li lascio lì, ché mi aiutano a tenere i piedi ben piantati per terra.