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RONNIE JONES – Intervista al grande cantante e dj americano

RONNIE JONES – Intervista al grande cantante e dj americano

Ronnie Jones 3

Ho intervistato un mito della musica, ovvero il cantante americano Ronnie Jones, che sarà impegnato nel musical Ghost che partirà dal Teatro EuropAuditorium di Bologna il prossimo 25 gennaio e attraverserà tutta l’Italia.

Buonasera Ronnie, benvenuto sulle pagine di Tuttorock, è un enorme piacere per me poter intervistare un mito della musica come lei, come va in generale?

Ciao Marco, il piacere è mio! Va tutto bene, sono felice di essere di nuovo in teatro, sono in ansia in attesa della prima dello spettacolo.

Lei è nato in America ma ben presto si è trasferito in Europa, se potesse tornare indietro rifarebbe questa scelta?

La rifarei ma non per così tanto tempo. Il mio desiderio era di venire in Italia da quando avevo 7 anni, ascoltavo i cantanti italiani ed ero affascinato da loro, pensavo che i migliori cantanti del mondo fossero lì, poi ho scoperto che non era veramente così (ride, ndr).

Si ricorda la prima volta in cui ha pensato di voler lavorare nel mondo della musica?

Ero a Londra, negli anni ’60, avevo fatto già un paio di assaggi di palcoscenico in un locale sotterraneo che si trovava nella Shaftesbury Avenue e si chiamava Flamingo, dove ho conosciuto alcune rockstar di oggi che ancora non erano famose, si stava lì fino alle 6 del mattino e ci si alternava sul palco. Lì ho avuto le prime occasioni di esibirmi davanti al pubblico ed un giorno, il proprietario di Radio Caroline, che rompeva le scatole alla BBC, mi disse, guarda, vorrei fare il tour manager, sei disposto a tornare a Londra quando finisci il servizio militare? Perchè io mi trovavo lì in una base americana a svolgere il servizio militare e sarei tornato in America una volta finito.

Tra i tanti artisti che ha conosciuto, c’è un certo Mick Jagger, mi vuol dire qualcosa di lui?

Aveva 17 anni, ero più vecchio io di lui, ho tantissimi ricordi, lo vidi la prima volta insieme a Rod Stewart, al Flamingo, c’era una band già formata e, quando arrivai, mi annunciarono come una new entry. C’era Mick Jagger che cantava, mi chiesero cosa sapessi della musica blues, io conoscevo solo Ray Charles mentre Mick Jagger era un’enciclopedia vivente di musica blues, feci una figuraccia. Chiesi di cantare una canzone e mi presero come cantante della band, Mick ci rimase un pò male. Poi siamo diventati amici, una volta, quando lui era già diventato una grande rockstar e io facevo il dj in un locale molto chic a Monaco, venne improvvisamente a trovarmi, verso l’una di notte, mi chiamò ad alta voce, bloccammo la musica e ci abbracciammo in mezzo alla pista, la gente rimase allibita.

Lei è stato un grande interprete della disco music negli anni ’70, come vede la situazione musicale oggi?

Beh, guarda, come noi quando eravamo giovani sceglievamo un certo tipo di musica, oggi i giovani scelgono altri generi. Non sono d’accordo perchè mi lascia un po’ perplesso il fatto che oggi ci sia tanto rumore e poca fantasia, allora la musica disco era molto più ricca di arrangiamenti, c’erano parole di gioia e di amore che oggi sono scomparse. Purtroppo è così, il digitale ha aiutato la scomparsa della musica vera. C’erano tanti musicisti che vivevano grazie alla disco music, oggi chi ci guadagna sono Apple e Microsoft con le macchine che fanno tutto ciò che chiedi loro. Ai miei tempi, quando facevo il dj, trasmettevo il mio umore attraverso la musica che sceglievo, oggi non è più così, per questo ho smesso di farlo, non c’è più soddisfazione.

Lei, nel mondo della musica ha fatto di tutto, dal dj nei club, nelle radio e nelle tv, al compositore, dal cantante all’interprete nei musical come ad esempio Hair, qual’è il ruolo che le ha dato più soddisfazioni?

Sì, ho fatto una parte anche nel musical Dirty Dancing, le soddisfazioni più grandi le ho avute però come dj. Ho avuto la possibilità di avere un nome, di conoscere tanti artisti, poi ho fatto un anno di tv nel programma Pop Corn e lì è stato il massimo.

Le dico un nome, Ray Charles, cosa significa per lei?

Per me era ed è un mito, chiunque faccia musica blues il primo nome che salta in mente è Ray Charles, poi vengono tutti gli altri. Volevo fare anche un tour facendo solo la sua musica, perchè lui era un artista che trasmetteva tantissime emozioni quando cantava. Ho avuto l’onore di presentarlo in Italia ed ero così emozionato che ho fatto un casino (ride, ndr).

In Italia c’è qualche personaggio al quale si sente particolarmente legato?

Mah, direi Renzo Arbore. Mi ha dato la possibilità di essere quello che ero, io cantavo in radio nel programma Bandiera Gialla ma, non essendo un comico, e non essendo malleabile, sono stato escluso da altre cose, tipo in Quelli della Notte, perchè non volevo essere sbeffato da nessuno. Sono molto grato a lui comunque perchè mi ha chiamato con Franco Bracardi e Claudio Lippi per il programma Rai in radio Musica In,  che è durato un anno intero mentre erano solamente 25 le puntate previste.

Lei è stato uno dei primi uomini di colore ad arrivare in Italia, come vede il razzismo ancora dilagante che c’è nel 2020?

Prima di me c’erano Rocky Roberts e altri, la casa discografica mi disse che c’era già un cantante di colore, quindi mi hanno escluso. Purtroppo siete troppo esterofili in Italia. Riguardo al razzismo, non siete un Paese abituato ad avere così tanti stranieri. Quando io sono arrivato a Roma eravamo circa 5mila americani di colore, non c’erano molti africani, eravamo una novità, nessuno ci ha detto negli USA che in Italia ci avrebbero dato quello che avremmo voluto, tanto le leggi sono deboli e puoi fare quello che vuoi tanto dopo poco esci dalla galera. Le leggi sono troppo deboli, bisogna insegnare a chi arriva che, se non si comporta bene, deve andare via. La Polizia deve proteggere i cittadini, con le buone o con le cattive, noi in America siamo troppo duri, voi siete troppo buoni, ci vorrebbe una via di mezzo. Ci vuole educazione, se io sono educato, chiunque dovrebbe esserlo. Il bello di essere vecchio è che posso dire quello che voglio senza che qualcuno mi dica di non poterlo fare. Chi sta alle nostre regole può rimanere tranquillamente, chi si comporta male deve essere rispedito indietro subito.

Se non ci fosse stata la musica cos’avrebbe fatto Ronnie Jones?

Guarda, avrei sicuramente continuato a lavorare con la radio, una cosa che ho imparato nel servizio militare. Nel 1955, quando sono andato in Corea dopo la guerra, parlavo con i piloti degli aerei, a mezzogiorno facevamo una specie di radio che facevano divertire molto la gente, era un passatempo che mi piaceva molto.

Lei sarà impegnato nel ruolo del fantasma dell’ospedale nel musical Ghost che parterà il 25 gennaio dal Teatro EuropAuditorium di Bologna e attraverserà tutta l’Italia, ci vuol presentare un pò quest’avventura?

Si tratta di una compagnia teatrale composta da un gruppo di giovani che volevano a tutti i costi me in quel ruolo, mi coccolano e mi vogliono bene, spero di essere all’altezza. Mi sto divertendo molto, mi sono arrabbiato solamente un po’ con la produzione ma con i ragazzi mai, li chiamo “i miei pulcini”. Purtroppo nel contratto è scritto che la canzone “Unchained Melody” non potrà essere cantata dal vivo e sarà registrata.

Dopo questo musical che programmi ha?

Ci sarà sicuramente un altro disco che cercherò di fare, ho dieci pezzi nuovi, ho scritto una bella canzone che si intitola “Talking”, purtroppo la mia non è musica di moda ed è difficile trovare qualcuno che sia interessato. Speriamo che riesca a far breccia da qualche parte.

La ringrazio moltissimo per l’intervista, vuole salutare i lettori di Tuttorock e coloro che verranno a vedere il musical Ghost?

Grazie a te che mi hai fatto riposare un po’, stavo facendo le prove di Ghost e mi stava andando in fumo il cervello! Venite a trovarmi così posso stringervi la mano, ciao a tutti!

MARCO PRITONI