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Intervista a Camilla Ciminelli dei SeinInLove

Intervista a Camilla Ciminelli dei SeinInLove

In occasione dell’uscita di “Hey You? Have you found God?” abbiamo intervistato Camilla Ciminelli, frontman e cantante del gruppo SeinInlove.

Parto con una domanda banalissima: chi sono SeinInlove? Da che universo arrivano e come si sono incontrati su questo pianeta?

SeinInlove sono da principio io, Camilla, con i miei testi, le mie melodie e la mia muta di pelle umana e artistica. Questo è diventato in nove mesi un corpo di una dozzina di song grazie alle armonie e alla collaborazione a distanza con un musicista eccezionale, Pierluca Proietti. Arriviamo da mondi musicali diversi, io dalla musica classica (ho studiato canto lirico in conservatorio) e dal teatro di ricerca (Ricci Forte, Emma Dante, Valdoca etc…); lui viene da un amore enorme per Bob Dylan e lo studio del jazz, confluiti poi in un suo linguaggio scarno e molto vicino allo slowcore americano. Poi abbiamo cercato alieni a noi affini per arrangiare chitarra e voce e sono atterrati Federico Pozzi (basso) e Alessandro Grande (chitarra) che avevano un paio di dischi all’attivo con il progetto degli OIL: una band indie molto elegante e corposa dai toni anglosassoni vicini ai Dream Syndicate. E infine il polistrumentista più creativo che io conosca, Strueia, immerso in un suo mondo indie più italiano e vintage di rara delicatezza e originalità, anche lui con tre dischi a suo nome, che per noi si spende come batterista (almeno per ora). Ci siamo semplicemente annusati e ritrovati in un pianeta che è quello della Ciociaria, da cui tutti proveniamo.

La scelta del modo in cui chiamarci è importantissima perchè definisce la nostra identità.
Nel caso del vostro nome “SeinInLove”, le letture sono sicuramente molteplici: il verbo “sein” in tedesco significa “essere” e quindi mi viene naturale pensare che si riferisca all’innamoramento con quell’ “in love” anglofono sul finale. Ma sono curiosa di conoscere quale è il vostro “essere”, come avete concepito questo appellativo Heideggeriano?

Il nome si è naturalmente assemblato mentre scrivevo i pezzi e leggevo Heidegger, riflettendo in particolare sulla domanda centrale, la Sein Frage, che lui sviscera in Essere e Tempo spronandoci a superare l’imbarazzo e a chiederci se nella nostra esistenza vogliamo Essere o Esserci. In love è arrivato perché in quel momento vivevo un amore gigantesco ma disperato, finito malissimo, e nel quale ho sperato con tutta me stessa di Esserci, di calarmi nella mia esistenza. Poi, banalmente, il suono avrebbe addolcito il tedesco e non ci avrebbe confuso con una band metal. Oggi probabilmente terrei solo Dasein (Esserci), nudo e crudo.

La i del vostro logo è rappresentata con un chiodo, un elemento di raccordo la cui funzione è quella di tenere uniti dei materiali, ma che nella coscienza collettiva potrebbe evocare anche un’immagine di dolore, come lo spillo ed altri oggetti acuminati. Come mai questa scelta peculiare?

Finalmente qualcuno chiede del chiodo da cantiere! Sì, è il tentativo di fissare l’esistenza in qualche modo, magari con la musica, magari con l’amore. E fissare, definire, mettersi confini, metterli all’altro, è un processo spigoloso, doloroso, tranciante: a volte esce tanto sangue e in questo caso per me è stata una copiosa emorragia sublimata nei pezzi. Inoltre, il cantiere e i trattori sono ambiti che mi appartengono per vie traverse, ambiti che sono in costruzione ma polverosi fino alla pulitura finale, alla registrazione e all’uscita del disco.

Trovo interessante l’associazione tra il nome della vostra band in “essere” e il titolo del vostro album di esordio: “Hey You? Have you found God?” in quanto mi ricorda un passaggio biblico, nell’ Esodo (3,14) Mosè chiese a Dio come dovessero chiamarlo gli Israeliti, la risposta in ebraico fu: “ehyeh asher ehyeh” ovvero “io sono colui che sono”, anche se la traduzione letterale potrebbe essere “mostrerò di essere” o ancora “io sarò ciò che sarò”, che è praticamente la dichiarazione ultima di autodeterminazione. Tuttavia mi viene da pensare che il vostro Dio sia in realtà una metafora che figura la ricerca di qualcosa di ben diverso dalla religione…

Perfetto, ho cercato una autodeterminazione attraverso una spiritualità laica in cui la sacralità è solo nel contatto autentico con noi stessi, un allineamento all’anima, in modo da proteggerla e farla fiorire.
Dio è unicamente dentro di noi, ma cercarlo è complicato e occorre volerlo fermamente.

Ti chiedo dunque quale è il tuo personale Dio e credi di averlo trovato durante la realizzazione di questo album?

Io credo di aver trovato la mia identità artistica più autentica e completa, Dio a tratti. Ma ho perso tanto che probabilmente facevo fatica a lasciar andare.

Parti dal teatro per arrivare alla musica, che esigenza si cela dietro al passaggio da un mezzo comunicativo più “visuale” ad un linguaggio diverso che è quello della musica, dell’esprimersi non più con il corpo ma attraverso la voce?

La voce è corpo. E l’ho sempre usata: l’opera lirica è recitar cantando, il teatro è spesso tanta voce e tanto testo. Io in realtà ho sempre e solo lavorato con la musica, preparavo i personaggi e scrivevo sempre partendo da musiche che trovavo stimolanti in quella circostanza. Filtro il mondo attraverso l’udito e il suono. Ho solo aggiunto, con estrema gioia, la mia melodia e la mia visione del pezzo.
Il passaggio è stato naturale. Infatti, i pezzi sono storie che canto sempre e solo in base a ciò che raccontano.

Nella presentazione del tuo album parli delle difficoltà di essere una donna in un Paese patriarcale, ma ragionavo sul fatto che il problema forse non è tanto quello di essere donna quanto di essere una donna pensante… quanto ha inciso essere donna, nel tuo percorso artistico e quali le complicazioni affrontate rispetto ad un collega uomo?

Anche su questo sono d’accordo, il problema è soprattutto essere una donna pensante. In realtà i problemi sono in tutti i campi, non solo in quello artistico. Anzi, forse in un momento in cui le cantautrici sono molto apprezzate, ho avuto anche qualche piccolo vantaggio in termini di considerazione. Di sicuro in passato ho avuto invece una marea di ostacoli per il solo fatto di essere una donna determinata in mezzo a tanti uomini che non lasciano mai la loro posizione di comando e di potere: parlo di aziende importanti legate al mondo della televisione o dell’università, dove ho conseguito un dottorato di ricerca e ho assaggiato l’inizio di una carriera di docenza.

Come è nato e cresciuto questo album e quanto tempo avete impiegato per la stesura delle canzoni?

Il disco è stato scritto tra il 2019 e il 2020, nel senso di avere una dozzina di tracce più o meno compiute chitarra e voce. Poi la pandemia e la difficoltà di trovare un produttore artistico adatto, la ricerca di musicisti affini e partecipi, ha portato a registrare tutto in due sessions, una nel 2022 e una nel 2023. È cresciuto in mezzo a difficoltà emotive enormi e grazie a tanta volontà e determinazione: se dovessi rifarlo adesso cercherei di soffrire di meno. Però forse i pezzi sarebbero meno autentici… è andata bene così.

Quali le incognite dietro alla realizzazione?

Ripeto, trovare musicisti giusti e un produttore adatto. E poi è un disco figlio di una magnifica, terribile e banale storia d’amore.

Vi ringrazio per il vostro tempo e vi auguro un in bocca al lupo per la promozione del vostro splendido album Hey You? Have you found God?

SUSANNA ZANDONÀ

Band:
Voce: Camilla Ciminelli
Chitarra: Alessandro Grande
Basso: Federico Pozzi
Batterie: Strueia

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