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FRANCESCO “FUZZ” PASCOLETTI – Intervista al caporedattore di Classix e Classix Metal …

FRANCESCO “FUZZ” PASCOLETTI – Intervista al caporedattore di Classix e Classix Metal …

L’editoria è cambiata, specialmente quella che riguarda la musica, ma senza dilungarmi in lunghe prefazioni, ho avuto il piacere di parlare con Francesco “Fuzz” Pascoletti, in passato caporedattore di Metal Shock e anche creatore di altre realtà editoriali come Psycho!, Classix e Classix Metal, lascio quindi la parola a lui in questa lunga intervista.

Ciao e benvenuto su Tuttorock. Iniziamo subito  con il parlare del nuovo corso di Classix e Classix Metal, c’è stata un forte cambiamento, racconta come e perché.
Ciao Fabio e grazie del tempo e dello spazio che vorrai dedicarmi. Più o meno mi conosci, sono 34 anni che faccio questo mestiere, di cui 30 come caporedattore, gestore e soprattutto inventore di riviste. Sicuramente in questi anni io e i miei collaboratori abbiamo fatto comprare uno o due dischi (forse molto più di uno o due…) a tanti ragazzi che poi hanno proseguito il loro percorso nella musica, ma abbiamo anche cercato di fare, lo dico fra virgolette, “cultura” e di raccontare tante storie di rock. Sono assolutamente convinto che, per evitare la definitiva morte di questa musica, serva a poco tramandare le solite gesta di Queen, Hendrix, Maiden o dei Doors, ma piuttosto ricordare anche i dimenticati, i pazzi, i geni minori del r’n’r. Perché concentrarsi su un nome quando ce ne sono ancora milioni da scoprire? E questo è stato anche il nostro obiettivo editoriale, fin dall’inizio, con Classix e Classix Metal. Certo, un bel po’ di anni fa le energie erano di più, le edicole ti offrivano grosse soddisfazioni e quindi avventurarsi in nuovi progetti, aveva tutto un altro valore. Negli ultimi tempi invece mi sono ritrovato a camminare su quella sottile linea che separa il “vorrei tanto fare questo…” dal “ma chi me lo fa fare?”. Chi fa informazione si trova davanti ogni giorno ad uno scenario diverso, a un evento nuovo, quindi questo non è un lavoro che può diventare routine o che deve seguire certe regole. Eppure, lentamente mi sono trovato ad affrontare una frustrazione crescente, perché vedevo il ripetersi continuo di alcune situazioni che cominciavano a starmi strette. Vuoi la pressione di certe case discografiche interessato a proporre a tutti lo stesso artista o le stesse interviste, mettendo in gioco l’obbligo morale di mantenere certi rapporti commerciali e personali, ma di fatto impedendo la libertà totale di una rivista. Vuoi anche per un certo cambiamento dei gusti del pubblico, che ormai è diviso fra la micro-nicchia di coloro che sono ancora mossi dalla curiosità, dal piacere della lettura, dalla voglia di scoprire e gli “annoiati”, i distratti, quelli che vogliono i soliti nomi e, paradossalmente, rileggere ancora e ancora di cose che magari già conoscono. Insomma, quel tipo di lettori che ti obbligano a mettere in copertina per l’ennesima volta i Maiden o i Queen. Noi abbiamo semplicemente scelto di fare una follia, pur se frutto di un preciso calcolo: abbiamo continuato a produrre riviste di carta, investendo ancora di più sul cartaceo, con più pagine, un formato più grande, carta più lussuosa, un’attenzione spasmodica alla grafica (che già era un nostro punto forte), uno sviscerare certi argomenti anche per 20 pagine, ma per fare tutto questo abbiamo abbandonato l’edicola, il buco nero della distribuzione e gli obblighi delle solite copertine. Restiamo assolutamente difensori e produttori di splendidi prodotti cartacei, ma oggi li vendiamo esclusivamente attraverso gli abbonamenti e il nostro webStore, www.sayyespublishing.bigcartel.com

Molte persone non hanno molto gradito questo cambiamento, cosa rispondi a loro?
Mah, è come quando, dopo l’ennesima rissa in un pub, al termine di una notte depravata e selvaggia, un medico per rimetterti a posto le ossa ti annuncia “questo ti farà male!”, capita a tutti ah ah ah… Insomma, ti prepari al peggio e noi eravamo preparatissimi, perfettamente consci e serenissimi davanti a questo malumore che lettori più o meno fedeli (vabbè, diciamo forse quelli un po’ meno fedeli) avrebbero dimostrato nei confronti di questa scelta. In sintesi: non c’è stata nessuna sorpresa. Però mi pare un po’ paradossale che abbia dato scandalo la scelta di continuare lo stesso tipo di percorso, anzi, direi addirittura di migliorarlo, ma farlo senza andare in edicola. Certa gente sui social ci ha quasi insultato per questo cosiddetto “voltafaccia”, boom! Intendiamoci, comprendo l’attaccamento alla rivista e il regalo più grande che un lettore possa farci è proprio la passione con cui ci segue, ma, chi ci conosce bene, saprà anche che, per ogni nostra scelta non solo c’è una ragione seria, ma probabilmente ci sarà anche un risultato al di sopra delle aspettative. “Chi è senza peccato scagli la prima pietra”: posso accettare una critica forte solamente da chi è purista al 100%, ovvero da chi non ha MAI acquistato online una qualunque merce, da chi non ha MAI comprato un disco su Amazon o su un negozio Discogs! Ecco, solo in questo caso avrebbe senso dire che è scandaloso comprare le nostre riviste online! Noi forniamo ancora un prodotto cartaceo che, in fatto anche semplicemente di “quantità” di carta, numero di pagine, qualità della carta, è migliore di quello che andava in edicola, in più ti arriva anche a casa! C’è un dato importante da tenere conto e che forse alcuni lettori non conoscono: i nostri venduti non sono certo solamente su Roma, Firenze o Milano, ma sono sparsi soprattutto nelle sterminate province e nei piccoli comuni italiani, dove ultimamente Classix e Classix Metal faticavano ad arrivare, vuoi per incomprensibili problemi di distribuzione (assurdi, perché noi stampavano sempre lo stesso numero di copie!), vuoi per la chiusura di moltissime edicole. In sintesi: io oggi sto fornendo e realizzando prodotti di grande qualità, degli oggetti da collezione, e non lo dice il Fuzz, lo dice chi le ha comprate, che le ha definite “dei volumi quasi enciclopedici!”, ma non potrei vendere questo tipo di prodotti in edicola! Guarda l’ultimo numero, Classix eXtra! – Speciale Cult Hard Rock, una rivista di oltre 150 pagine e 600 grammi di peso, che online costa 10 o 12 euro, ma in edicola ne costerebbe più di 16, tra l’altro con costi di produzione triplicati. Io sono sicuro che un certo tipo di carta stampata, soprattutto quella di nicchia come la stampa musicale, prima o poi seguirà la strada che stiamo battendo noi e troverà un modo diretto per parlare con i propri lettori. L’alternativa non è sempre solo il web, ma un prodotto fisico   venduto attraverso la spedizione postale. Al momento siamo in un periodo di grossissima confusione, come lo siamo stati le prime volte che abbiamo sentito parlare di Napster o di mp3, poi tutto quello che sembrava scandaloso o impossibile è diventato la norma. Ne riparleremo sicuramente in maniera diversa fra pochissimo tempo.

Pensi invece di poter coinvolgere i lettori più giovani?
No, è molto, molto difficile. E la capacità di coinvolgimento di una nuova generazione di lettori non dipende tanto da noi o dalle nostre capacità, ma dalla curiosità, dalla voglia di conoscere e ascoltare del lettore giovane. E quindi la domanda successiva sarebbe: esistono oggi lettori giovani di riviste musicali? La mia esperienza dice di no. Oppure che la percentuale è bassissima, ad esempio, fra le centinaia e centinaia di nostri abbonati saranno circa il 5%.

Il futuro delle due riviste è e sarà questo o potrebbe esserci qualche ripensamento?
Allarghiamo il discorso e parliamo del futuro di tutte le poche riviste musicali rimaste, non solo le mie. Il futuro non dipenderà solo dalle leggi di mercato, ma anche da chi le riviste le fa, dai cosiddetti giornalisti e dalla loro voglia (o forza) di continuare. E, considerato che, come detto finora, quello dell’editoria musicale “non è un paese per giovani”, che non ci sono forze nuove, non ci sono nuovi investimenti, non ci sono nuove idee, tutto mi sembra destinato a invecchiare, a ripetersi con sempre meno entusiasmo e originalità e quindi a sparire. Di alternative, oltre a quelle che abbiamo attuato, direi che ce ne sono poche e ti assicuro che questo è un sentire comune, ne parlavo proprio pochi giorni fa con Stefano Cerati di Rock Hard. Dal canto nostro, noi stiamo considerando un rallentamento futuro delle nostre attività, ma per favore, non fraintendermi: nessuno qui va in pensione a fare la calzetta!!! Noi al momento abbiamo almeno sette (SETTE!!!) progetti in ballo, senza contare il boom che ha fatto WANTLIST, la nostra freepress gratuita che è arrivata, ehm, gratuitamente in oltre 200 negozi di dischi italiani. Ha riscosso un grosso successo e sicuramente proseguirà con questo formato, anche perché è l’UNICA freepress al 100% rock in Italia!!! Ma non è tutto qui, proprio ieri, durante una telefonata con un collaboratore, l’idea di un articolo si è trasformata in un libro, perché infatti oggi abbiamo anche una collana di libri, i ClassiXbook. Una grossa libertà che ci siamo trovati fra le mani non essendo più obbligati a certe regole di distribuzione, di tempistiche, di edicola e via dicendo, è proprio quella di poter realizzare prodotti che, almeno per quanto riguarda le nostre tempistiche o la nostra struttura, prima erano impensabili! Quindi, se da una parte non penso di fare riviste per tutta la vita o mantenere questa mole di lavoro e impegni, anche finanziari, dall’altra abbiamo ancora tanti progetti da realizzare e che magari non avranno necessariamente la forma della rivista. Ci siamo inventati anche un modo per rendere sempre più creativo il lavoro stampando borse, artprint, poster, magliette…

Ti dico la verità, ho un po’ di nostalgia di Flash e Metal Shock, le due riviste dove scrivevo! Gli incontri con Klaus Byron, l’andare in redazione di Metal Shock, cose che hai fatto anche tu!!
Non solo le ho fatte, ma le ho vissute giorno per giorno, mese dopo mese quando, nel ’94, sono diventato caporedattore di Metal Shock. All’epoca i collaboratori (ovviamente se erano di Roma, nel caso di MS e Flash, ma anche HM) dovevano e volevano assolutamente vivere la redazione. Si passava in redazione per prendere o consegnare il proprio lavoro, per proporre idee, per farsi assegnare un articolo dal caporedattore o rimediare un disco e una recensione. Attenzione, la redazione era un luogo lavorativo, nessun perditempo bighellonava lì per prendersi un caffè e chiacchierare di quanto fosse bello l’ultimo di Saxon, era un ambiente creativo e, ripeto, operativo, anche se, immancabilmente, lavoravo a casa nel weekend per chiudere il numero! Non sai quanti me ne sono bruciati di weekend in quegli anni, è un miracolo che mia (futura) moglie non mi abbia mollato. L’ho già detto più volte, la vita redazione è fondamentale, ti insegna a fare il giornalista, perché credimi, nessuno dei pur validi e abilissimi collaboratori di magazine rock odierni o di website sa che cosa è fare il giornalista di redazione, sa cosa è collaborare alla stesura di un numero, alla costruzione di una scaletta editoriale, che veniva fatta a partire da un foglio bianco. È un passaggio di crescita professionale irripetibile e fondamentale. Oggi c’è tantissima gente che mi dice “anche io faccio il giornalista”, poi scopro che scrive da casa riadattando dei comunicati stampa che vanno sul website magari anche famoso e seguitissimo, ma sorry, il giornalismo non è questo. E fare il giornalista musicale non è neanche stare a casa, ricevere sul pc il tuo link pulito pulito al disco di questo o quel gruppo e poi, dopo dieci minuti, farne una recensione cotta e mangiata da pubblicare prima delle sette di sera, perché fa più click.

Molti dicono che non serve più a niente scrivere recensioni, e devo dire che in parte hanno anche ragione, secondo te stiamo perdendo solo tempo?
Forse… Si… Anzi, no! Ah ah, cosa potrebbe dirti chi ha appena pensato, realizzato, stampato e soprattutto pagato 3.500 copie di una rivista gratuita, Wantlist, destinata solo ed esclusivamente alle recensioni e distribuita gratuitamente in oltre 200 negozi di dischi italiani??? E se l’abbiamo fatto non è certo per vanto, anche se fregiarsi del titolo della prima freepress al 100% rock e al 100% gratuita distribuita in TUTTE le regioni italiane non è male. Ovviamente ci intrigava trovare un’alternativa interessante al solito modo di fare giornalismo musicale, anche perché, in mezzo a milioni di recensioni che leggi ovunque (quanti dischi che vendono letteralmente tre copie hanno in media 70 recensioni sulla stampa e la rete italiane?) sentivamo che bisognava mettere un punto fermo. E magari avrebbe fatto un po’ di differenza se a mettere questo punto fossero, perché no?, dei giornalisti con una provata esperienza e soprattutto credibilità, grazie a un prodotto cartaceo anche appetibile (80 pagine e 150 recensioni ricche di foto e con una carta di qualità). Insomma, non è poi così male… sbaglio? Il mio poi era da sempre un piccolo sogno e, visto che a realizzarlo non arrivava nessun cavaliere in sella a un cavallo bianco, ci ho messo lavoro e soldi: arrivare con una rivista musicale lì dove la musica si trova, diciamo nelle tante case della musica, i negozi di dischi. Se poi devo dirti se la recensione serva davvero, beh, ci sono tante varianti. Io credo che, chi ama leggere di rock, sa che può anche fidarsi di qualche penna più o meno “affidabile”. Le chiacchiere vuote e banali, la recensione di 95.000 battute in cui ogni secondo di musica viene descritto, sminuzzato, analizzato, paragonato, beh è inutile. Leggere cose fatte con lo stampino, magari imitando lo stile già pacchiano di Grandi Vecchi del giornalismo rock italiano è inutile. Fare a gara a pubblicare la recensione (spesso frettolosa) sui nomi storici del rock o del metal, su cui è ormai ridicolo dare ulteriori giudizi (anche perché contemporaneamente quel disco è merce per gli orecchi di tutti i loro fan) è inutile. Bilanciare novità e ritorni importanti, grandi dimenticati e piccole rivelazioni, scoperte e artisti su cui pochi spenderebbe una parola e, anche in questo caso,  cercare di fare un po’ di cultura, forse è più importante. Non pretendo che Wantlist sia la risposta universale al dilemma delle recensioni, ma almeno, in questo grande caos, noi abbiamo voluto fornire a chi vuole andare a prenderselo in un negozio di dischi (e magari guardarsi intorno, una volta entrato nel negozio) un prodotto anche bello da sfogliare e probabilmente utile da conservare. Mi rendo conto che probabilmente oggi, con la crisi del disco e dei negozi, noi arriviamo quasi fuori tempo massimo, ma ci sono allo stesso tempo tantissimi segnali positivi di una fantastica ripresa del settore. Parlano i numeri: regioni come Lazio ed Emilia Romagna pullulano di nuovi negozi e ti dico che il 70% dei negozianti che ho contattato per presentargli Wantlist (e ti giuro che li ho contattati tutti personalmente!) mi dicevano di non avere nemmeno il tempo di stare al telefono, perché avevano il negozio pieno! E infatti per adesso i risultati di Wantlist parlano di un bellissimo successo: molti negozi hanno esaurito subito le copie e ce le hanno richieste (alcuni addirittura tre volte!), negozi che non erano nella nostra lista di 200 punti vendita vogliono essere aggiunti, alcuni distributori discografici ci hanno chiesto… un paio di migliaia di copie!

Eppure qualche rivista in cartaceo regge ancora, Classic Rock e Rock Hard ed alcune tornano, di quelle storiche, cito Ciao 2001, che sta tornando in edicola, cosa pensi di questo?
Rock Hard fa un buon lavoro, molto diverso dal nostro. Sono un ottimo team e probabilmente meglio strutturati di noi, perché a dirigere la rivista sono tre persone che si occupano di tre parti del business completamente diverse e quindi si completano a vicenda. Ripeto, altri magazine hanno stili e modi che io non applicherei al mio lavoro (con Classic Rock ho effettivamente lavorato per un bel po’), ma ormai è così tanto tempo che con alcuni di loro facciamo lo stesso mestiere, che li considero dei cugini piuttosto che dei concorrenti. Riguardo al “nuovo” Ciao 2001 dovrei capire meglio di cosa si tratti. Se, come ho letto in giro, in realtà stanno ripubblicando in gran parte materiale d’epoca che è nuovamente disponibile perché sono scadute licenze o non ci sono più diritti, è un’operazione che non rientra assolutamente nel tipo di cose che posso considerare. Se è così, sarebbe, letteralmente, un riscaldare una minestra fredda da decenni e, per me, nemmeno troppo saporita. Da ragazzino leggevo Ciao2001, che ovviamente era per sua natura schizofrenico, un settimanale che doveva parlare di tutto, ma alla fine non mi restava niente, non l’ho mai apprezzato, né come stile né come scelte editoriali, anche se probabilmente sono arrivato alla rivista a fine ‘70/primi ‘80, quando aveva perso il suo smalto. Purtroppo il caso specifico di Ciao2001 rappresenta appieno il dilemma della tipica rivista rock italiana di oggi, che ho affrontato già nelle risposte precedenti. L’edicola non offre più sorprese, cosa vedi quando vai nella sezione delle riviste musicali? Un prodotto senza personalità, per un pubblico vecchio e spesso tristamente nostalgico, quello che, rileggendo certe cose (perché spesso, ripeto, si tratta di leggere cose che già si conoscono), rivive il mito della gioventù perduta, dei capelli lunghi, della forma fisica e del cazzo duro, del “come stavamo bene una volta, eravamo giovani e liberi”… Atteggiamento che a me invece dà una tristezza colossale, non solo perché non mi rappresenta, ma perché non voglio lettori così. Vivo sempre perfettamente il mio presente e sulle nostre riviste cerchiamo di inserire nel presente anche le storie che raccontiamo, spesso rintracciando oggi i personaggi di allora, non di riscaldare la famosa minestra.

Si parla tanto di Intelligenza Artificiale, arriverà il giorno in cui qualcun altro (non umano) scriverà al posto nostro?
E visto che oggi tutti sono esperti di AI, sentiamo anche l’opinione di quell’idiota del Fuzz, dai ah ah ah!!!! Scherzi a parte, non voglio e, siamo onesti, non posso dare un’opinione sensata su questo argomento, credo che ancora nessuno di noi si possa permettere di farlo senza cadere in errore. Vedo che oggi l’AI suscita nella gente con due reazioni assolutamente differenti e contrastanti: un entusiasmo incontenibile, come se avessimo trovato la soluzione a tutti i mali, o una paura terribile, come davanti all’imminente Apocalisse. Anche in questo caso siamo in una terra di mezzo, senza punti di riferimento, viviamo un periodo molto complesso ma anche talmente nuovo e credo che non abbiamo ancora i mezzi per poterlo maneggiare o definire. Ho amici spaventati dall’A.I perché fanno mestieri creativi e vedono che il loro lavoro potrà essere bypassato, anche se dubito potranno mai esserci limiti alla creatività dell’uomo. Ti faccio un esempio divertente: ho provato a chiedere a Chat GPT, dandogli ovviamente una serie di parametri, di scrivermi un articolo sui Rose Tattoo, una band che abbiamo trattato come un ottimo, lungo articolo realizzato da Terry Palamara (che ti assicuro è un essere umano) sul recente Classix eXtra! – Speciale Cult Hard Rock. Diciamo che il risultato fornito (in una manciata di secondi) è stata o una mediocre biografia… o un articolo di merda! Se fosse stato un collaboratore a consegnarmi un pezzo del genere, non solo lo avrei cacciato dalla redazione, ma le urla le avresti sentite fino a casa tua… Anche se sto volutamente esagerando, perché ti assicuro che in redazione non mi sono mai permesso la maleducazione di urlare contro un collaboratore, credo l’unico che si è preso le mie strigliate sia Fabio Babini, ma lui ama il sadomasochismo ah ah ah. Personalmente mi fa molto più paura il lavaggio del cervello causato dai social media, che stanno contribuendo a cancellare l’intelligenza emotiva, la sensibilità, l’educazione, l’empatia. Mi spaventa la violenza e la presunzione con cui molti utilizzano questi mezzi per attaccare gli altri, ma anche la sconcertante fragilità mostrata da chi ne diventa vittima, e non lo voglio neanche chiamare cyberbullismo, perché a volte bastano semplicemente delle critiche per far crollare il proprio mondo. Questo distacco dalla realtà e dai rapporti interpersonali mi fa temere per il futuro, appunto che mi piacerebbe assistere ad un prolungato black-out dei social: ci farebbe tornare tutti alla nostra umanità perduta. E probabilmente si tromberebbe di più, altro che Tinder!

Trovavo molto interessante la rivista Rrazörr, dove presentatvi le band più giovani e underground, continuerà ad uscire?
Beh, Rrazörr l’ho fatto per dimostrare al mondo che non sono vecchio e rincoglionito, come tutti pensano ah ah ah! Credimi se ti che se ti dico che considero Rrazörr il diretto discendente, ma potremmo andare anche oltre e definirla la stessa rivista con un nome diverso, di Psycho!, che è stata la nostra rivista-simbolo degli anni 90 e dei primi 2000. Psycho! fu non solo un enorme successo editoriale e concreto, ovvero quando le riviste si vendevano davvero, ma anche un esempio di crescita e apertura mentale, di cultura musicale. Nelle sue pagine ha abbracciato un po’ tutto quello che veniva sì dalla scena metal e rock, ma, partendo da queste basi, e anzi, inglobandole senza rinnegarle, spostava le coordinate verso il futuro (o più probabilmente verso il presente e l’underground), senza per forza limitarsi a presentare le stesse facce che stavano su tutte le altre riviste musicali. Psycho! fu davvero un progetto alternativo, ma senza per questo fare la rivoluzione a tutti i costi, venendo accettato sia dal tradizionale pubblico metal e rock che da molte altre frange del settore e addirittura facendo l’impossibile, portando al rock tanti amanti di altri generi! Con Rrazörr abbiamo sguinzagliato la nostra voglia di parlare anche di altro rispetto ai temi canonici di Classix e Classix Metal. Contrariamente a quello che ti dirò nella risposta successiva (ovvero riguardo alla morte del rock), io credo che questo sia davvero un momento storico meraviglioso per la creatività musicale, per il coraggio e per la capacità di mescolare umori e sonorità differenti, per la voglia di sperimentare con la materia non solo rock ma soprattutto quella più estrema, il problema è che se ne accorgono davvero in pochi!!! Rrazörr ovviamente nasce come un progetto volutamente di nicchia, una rivista un po’ di élite, che parla solamente di alcune cose, quelle, appunto, “alla Rrazörr”, e soprattutto di artisti che spostano l’asticella un po’ più oltre, all’avanguardia o, per usare un termine inglese, cutting edge, insomma, non poteva certo essere un prodotto mainstream! E questo è stato proprio il mio motivo di scontro con il nostro distributore dell’epoca, che faceva parte del gruppo Mondadori. Ho cercato di fargli capire che questa era una rivista che non poteva essere gestita come le altre, che era inutile stampare un numero sconsiderato di copie o coprire tutta Italia, ma bisognava concentrarsi in alcune regioni, nei centri urbani, oppure affiancare la distribuzione abbinandola a quella di Classix Metal, offrendo al lettore la possibilità di comprare le due riviste insieme, a un prezzo speciale, o separate. Mi hanno messo talmente tanti paletti, dicendomi che “è difficile… è complesso”, che da una parte ho perso entusiasmo, dall’altra ho avuto l’amara sorpresa di avere ragione! Mi spiego: quando (dopo il numero 0, allegato a Classix Metal n.43) sono usciti Rrazörr 1 e 2, mi aspettavo di vendere X copie… ebbene, abbiamo venduto proprio quel X numero di copie! Paradossalmente, diminuendo la tiratura e concentrandosi su una distribuzione mirata, Rrazörr avrebbe venduto anche Y e forse pure Z. Con tanti progetti insieme e tante idee che si accavallano (e inevitabilmente poco tempo ed energie per gestirle tutte), è difficile capire come continuare a dare una forma a questa rivista. In ogni caso Rrazörr è un progetto sempre nei nostri cuori, perché continua ad uscire sempre una quantità sbalorditiva di musica intelligente, che era appunto proprio la prerogativa di quello che volevamo promuovere, rispetto a tante cose sceme che ripetono sempre le stesse cose. Forse dovrei trovare qualcuno a cui “appaltare” la rivista…

Ok grazie Fuzz, chiudi l’intervista come vuoi tu, hai campo libero, c’è qualcosa che vuoi dire e non ti ho chiesto?
Mentre stavo rispondendo alle tue domande, ho dato un’occhiata alle news e ho letto che un “giornalista/influencer” presenzialista, che di rock non dovrebbe parlare affatto, perché non è mai stato un rocker e perché non ci capisce niente, ha tirato fuori la solita frase abusata e stra-abusata “il rock è morto”. Ecco, se me lo concedi, come chiusura vorrei darti la mia personale definizione del concetto “morte del rock”. Se da una parte c’è una scena viva e vibrante, ed è quella di cui ho parlato nella risposta precedente, dall’altra, purtroppo, agli occhi del grande pubblico, dell’”uomo della strada” o più che altro del ragazzino che va a scuola, il rock è assolutamente morto, anzi, è irrilevante: è una roba vecchia, da vecchi, per vecchi e anche piuttosto ridicola. Ovviamente sto generalizzando molto, non fatemi l’esempio che “il mio nipotino a otto anni già ascolta i Blind Guardian!”, cerchiamo di uscire fuori dalla propria piccola sfera personale. Il rock sta morendo, o meglio, sta venendo assassinato da questo continuo guardarsi indietro al passato, tanto per ribadire che avanti non c’è nulla. Oh certo, anche le mie riviste parlano del passato, ma almeno evitano di tornare sempre sullo stesso luogo dello stesso delitto, anche perché francamente non c’è più niente da scoprire.  Sia chiaro, guardare indietro non è sbagliato, perché se le lezioni non si imparano dalla storia, da dove vogliamo impararle? Ma perché sempre, solo e soltanto dobbiamo affidarci a Hendrix, Genesis, Maiden, Pink Floyd, Metallica, Queen e quegli altri tre o quattro che rappresentano l’alfa e l’omega del rock? Questo è un gioco al massacro: da una parte si nega che il rock sia stato molto altro oltre a quei dieci nomi che si vogliono esclusivamente tramandare e dare in pasto ai lettori, al punto che ormai lettori vogliono solo quelli, dall’altra si sta impedendo al rock di trovare un’alternativa, uno sbocco futuro. In televisione ho sentito critici rock… vabbè, affermati… vabbè, dire che i Måneskin (che, piacciano o meno, per certo pubblico potrebbero davvero essere il futuro del rock) si ispirano ai Led Zeppelin, quando è ovvio che le loro radici principali stanno nel rock degli anni ‘90! Possibile che non siamo capaci di guardare oltre la montagna sacra e che tutto ignorantemente deve ricondursi alla solita fonte? Non serve rendersi conto che le copertine dei magazine rock di oggi sono come quelle di dieci o trenta anni fa, basta dare un’occhiata ai cartelloni dei festival, soprattutto quelli italiani. Ovviamente per rimpolpare, fare numero o sprecare tempo, c’è qualche nome attuale, spesso ignorato dal pubblico, mal sopportato dal solito metallaro che in un bill di 15 band ne pretende 15 di suo gusto, ma in realtà chi è che ci fa uscire di casa, pagare il biglietto e andare a quel festival? I soliti cinque, dieci nomi ormai vecchi, stanchi, spenti e stonati. E poi vuoi una spiegazione all’idea che il rock sia moribondo? Eccolo, il moribondo sta lì sul palco, davanti a tutti. E pure se la cariatide on stage “ancora gliela ammolla!” o sta facendo grande musica, è musica scritta trenta o quarant’anni fa! Non credo che manchi un’alternativa o un rimpiazzo a Maiden, Queen o Pink Floyd, ovvero a gente capace di smuovere miliardi di euro e milioni di persone, il vero problema è che a chi fa informazione musicale, ai promoters e ovviamente al pubblico è mancato il coraggio di cercarli. Questa mancanza di osare, questo azzeramento della curiosità musicale, proprio oggi che tutto sarebbe disponibile e ascoltabile, non fa altro che separare sempre di più la distanza fra i mostri sacri del passato e i poveri piccoli gruppi odierni, che non potranno mai reggere il confronto. E come se la tua ragazza avesse avuto come precedenti fidanzati John Holmes e Rocco Siffredi… e poi arrivi tu! Alla fine dobbiamo renderci conto che quello odierno è un altro pianeta musicale, un mercato diverso, che non punta più sul rock e vede la sua salvezza ed evoluzione in altre sonorità, dal pop alle tante commissioni della musica nera alle frontiere dell’elettronica. Oggi probabilmente i geni nella musica stanno lì ed è quella la musica che sarà rilevante nel futuro. Noi rocker, se non ci diamo una scossa, prima del vuoto assoluto ci dovremo accontentare di un festival con gli Iron Maiden novantenni e i Kiss replicati dall’Intelligenza Artificiale.

Grazie Fuzz, un finale d’intervista molto esaudiente, da parte mia il rock non è morto e non morirà mai.

FABIO LOFFREDO

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