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ENZO GENTILE: Intervista al giornalista per il suo libro su Jimi Hendrix

ENZO GENTILE: Intervista al giornalista per il suo libro su Jimi Hendrix

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Un nuovo libro su Jimi Hendrix, il quarto per il giornalista Enzo Gentile. “The Story Of Life: Gli Ultimi Giorni Di Jimi Hendrix” non è però la classica biografia sul chitarrista di Seattle, ma un vero report giornalistico sugli ultimi giorni di vita di Hendrix, costruito insieme a Roberto Crema, uno dei più grandi collezionisti, conoscitori ed estimatori del chitarrista. Inoltre c’è la collaborazione di molti artisti e anche del fratello Leon Hendrix. Di seguito la lunga intervista.

Ciao Enzo, benvenuto su Tuttorock. Inizierei subito con il chiederti perché un altro libro su Jimi Hendrix? Questa è la tua quarta pubblicazione sulla storia del chitarrista di Seattle.
Ciao, grazie a te. Io e   Roberto Crema siamo entrambi dei grandi estimatori di Jimi Hendrix quindi ti posso dire che è stata una cosa automatica, ma nella fattispecie ci sembrava, tra le tante cose che abbiamo letto e di tutto quello che è uscito nel tempo, ci sembrava che ci fosse molta confusione, anche molte imprecisioni e cattive informazioni sulla parte finale della vita di Hendrix. Tutto si sa sui dischi, sui concerti, ma della parte più biografica e della condizione umana della persona e non solo dell’artista c’era poca chiarezza, ci è sembrato quindi quasi necessario di mettere a fuoco la sua vita e dire un pò di verità, noi non scriviamo delle nostre ipotesi, ma parliamo dell’autopsia, delle dichiarazioni degli infermieri e dei medici, di quelle persone che lo hanno incontrato nelle settimane precedenti la sua morte e anche del giorno e della notte stessa e ne abbiamo tirato fuori delle dichiarazioni da chi scrisse dai settanta ad oggi che Hendrix era l’ennesimo artista morto per overdose, noi ci tenevamo a raccontare alcune verità e poi dal materiale che abbiamo trovato era così ricco e così puntiglioso che ne abbiamo fatto un libro anche un pò più ampio di quanto avevamo immaginato, ne è venuto fuori più ricco del previsto, le foto, i documenti e le testimonianze sono molte.

Ma ci sono legami, a parte logicamente Jimi Hendrix, tra i libri a lui dedicati?
Il precedente libro che ho fatto insieme a Roberto, che è un grande collezionista, quindi una fonte inesauribile di notizie di archivio, era legato al tour italiano di Hendrix, quindi ci eravamo focalizzati proprio come degli entomologi, su quei giorni di maggio del 1968 e anche in quel caso eravamo andati a cercare chi aveva vissuto quei giorni, chi aveva visto quel concerto, chi aveva suonato con lui. Avevamo fatto quindi una simile operazione, un’inchiesta giornalistica più che di critica musicale, perché penso non serva a niente fare una critica musicale su quanto era bravo a suonare la chitarra, mentre sui suoi giorni di vita c’è poca informazioni, quindi noi abbiamo cercato di dare quest’altra fonte di illuminazione.

Ho visto che ci sono anche molte pagine dedicate a molte foto di Hendrix, come le avete trovate?
Anche per quello pensavamo di fare 1/16 che è la quota attuale di foto, ma ne abbiamo pubblicate 40, proprio perché abbiamo trovato molto materiale che andava proprio a specificare questo periodo, c’è anche la foto del bugiardino del medicinale che in dosi eccessive Hendrix ingerisce quella notte per esempio, c’è anche lo scritto che lui traccia nelle ore della notte tra il 17 e il 18, quindi poco prima di morire e l’ultima poesia che forse era il testo per una eventuale nuova canzone ed è un testo che poi dà il titolo al nostro libro, “The Story Of Life” e la riproduciamo con la sua calligrafia in modo che sia verosimile con la traduzione e chi sa l’inglese sicuramente capirà. Ci sono poi le foto degli ultimi concerti, il suo ultimo concerto lo fa in settembre in Germania. Ci sono moltissimi riferimenti che appartengono però sempre a quel periodo e comunque ai giorni di cui abbiamo indagato.

E’ stato un lungo lavoro scrivere questo libro?
Diciamo di si, ma una parte cospicua di informazioni era già in possesso di Roberto che avendo un sito, Jimi Hendrix Italia, nel tempo aveva già raccolto molte informazioni e sono parecchie. Poi una volta che abbiamo visto il materiale già presente, abbiamo studiato una griglia e una struttura che potesse diventare poi un libro che reggesse la lettura, abbiamo cercato di creare una lettura che sia anche movimentata e non una sorta di verbale di polizia, quindi mantenendo le testimonianze, le dichiarazioni, le traduzioni delle interviste che Hendrix rilascia pochi giorni prima di morire in varie testate internazionali e ovviamente abbiamo cercato anche di intervallarle con il racconto di quelle giornate e poi abbiamo cercato di inserire una parte finale in cui c’è anche un pò il contesto di quel periodo, tipo che musica si sentiva in quel periodo in Italia, chi era in testa negli Stati Uniti o in Inghilterra, quanto costava un giornale, chi c’era al Governo, quale era la situazione dello sport in Italia in quel momento, praticamente informazioni che servono per creare uno sfondo e un contesto, mentre muore un grande artista come Hendrix, cosa succede intorno a quella tragedia, ma sempre in chiave giornalistica, da reporter.

Sicuramente molto interessante! Vedo dalla prefazione che avete coinvolto Leon Hendrix, il fratello di Jimi, come lo avete contattato e coinvolto?
Leon Hendrix lo conosce bene Roberto e lo avevo incontrato anche io in occasione del suo passaggio in Italia di alcuni anni fa quando venne pubblicato un libro “Jimi mio fratello”, scritto poi da lui, io ne avevo curato l’edizione italiana per l’editore Schira e in quell’occasione Leon venne in Italia per alcune presentazioni e alcune serate e ci incontrammo passando un pò di tempo insieme e poi Roberto ha tenuto stretti i contatti e ci sembrava una giusta introduzione al libro, perché a fonte di una vita molto disgraziata, più che altro per essere tagliato completamente fuori dall’eredità, ci sembra giusto di dar più voce a chi effettivamente ne ha avuta veramente poca, ma era stata anche la persona più vicina a Hendrix. Nelle foto abbiamo pubblicato anche quella che ho fatto io con la sorella del chitarrista, quindi abbiamo cercato di documentare le persone che gli sono state più vicine nel bene e nel male.

Ci sono poi anche tante testimonianze di grandi musicisti dei generi più disparati come George Benson, Pat Metheny, Fabio Treves e Carlo Verdone, che è risaputo che è un grande fan di Hendrix.
Anche negli altri libri che ho scritto avevo cercato di coinvolgere molte personalità, perché chiunque faccia musica e non solo ha un suo parere su Jimi Hendrix, questa volta ho voluto restringere la platea e andare a prendere persone che avessero qualcosa da dire e che ho realmente incontrato, intervistato e che mi hanno raccontato del loro rapporto con Jimi Hendrix. Fabio Treves l’ho incontrato all’Isola di Wight ed era uno dei giovani musicisti all’epoca che era presente e vide Hendrix on stage. Paolo Fresu invece ha scritto di suo pugno una riflessione, essendo lui un grande amante di Miles Davis e avendo in repertorio anche alcuni brani di Hendrix, mi spiegava che il suo Angel Quartet che è una delle formazioni con cui suona, il nome Angel riprende proprio dal titolo di una canzone di Hendrix. Ho chiesto quindi a Paolo di scrivere come sarebbe stato un ipotetico incontro tra Jimi Hendrix e Miles Davis. Ho lasciato spazio a tutti per espletare il loro punto di vista sull’argomento e la situazione. A Carlo Verdone ho chiesto di tornare indietro nell’episodio del film ‘Maledetto il giorno in cui ti ho incontrato’, dove un giornalista, che in questo caso potrebbe essere uno di noi due, che va a Londra per cercare notizie, informazioni e tracce sulla morte di Hendrix. Sono quindi tutte persone che avevano qualcosa da dire e che non avevano ancora rivelato in altre occasioni.

Possiamo quindi dire che con questo libro hai dato una risposta al film di Carlo Verdone!
Possiamo essere i fratelli minori del suo Bernardo Arbusti che era il personaggio, il giornalista del film del 1992.. Ecco o il figlio o il fratello minore adesso si mette per iscritto e va sulla carta stampata per questo libro.

Ora parliamo della musica di Jimi Hendrix, anzi la domanda è questa, se Jimi Hendrix ci fosse ancora oggi, secondo te come sarebbe la sua musica?
Sarebbe sicuramente più povera, perché in quei soli tre anni di attività noi possiamo assistere ad una serie di invenzioni stilistiche e di suono, ma anche delle organizzazioni delle canzoni, perché in quei tre anni e in quei quattro dischi pubblicati troviamo una serie di intuizioni su quello che la musica sarebbe stata, pensiamo al funky, ad un certo tipo di musica nera intrecciata al rock, alla componente psichedelica e anche a quelle soluzioni che in sala d’incisione oggi ci possono sembrare anche banali, ma 50 e passa   anni fa si registrava ancora su un 4 piste e gli studi di registrazioni, le macchine a disposizione erano molto antiquate rispetto ad oggi. Quindi se noi riportiamo indietro la macchina del tempo sentiamo un tipo di musica che non ha assolutamente mezzo secolo ma sembra ancora molto moderna. Tutti coloro che lp hanno ascoltato dagli anni sessanta ad oggi, secondo me hanno tratto, hanno imparato qualcosa, non credo esista un chitarrista che non abbia un piccolo riconoscimento nei confronti di Jimi Hendrix, sicuramente negli assoli piuttosto che nella composizione e nella dimensione ritmica che aveva con la sua band, ne ha tratto ispirazione.

Quindi rimanendo sulla stessa domanda ancora oggi se ci fosse ancora sarebbe il punto di riferimento di molti chitarristi?
Penso di si, guarda ad altri personaggi come Mick Jagger e Bob Dylan, che possono essere suoi coetanei, dettano ancora oggi legge nel rock e non solo e fanno ancora la differenza e sicuramente come loro potrebbe calcare ancora le scene. Sicuramente per una persona curiosa e di esplorazione come lui, sarebbe una condizione diversa dai due che ho citato e che hanno tenuto ancora oggi un’identità non lontana dalle loro radici e dalle loro origini. Hendrix ha dimostrato in quei tre anni di essere un’anima in movimento e che quindi potesse prendere altre strade, per esempio in questi 50 anni si sono avvicendate musiche nuove che allora non esistevano, dal rap a certe soluzioni di musica elettronica e soprattutto alla world music, Jimi viaggiava verso varie soluzioni musicali, ascoltava molta musica lontana dai suoi parametri ed era molto incuriosito dalla musica africana, dalla musica orientale e magari se avesse avuto più tempo avrebbe potuto intrecciare delle collaborazioni o comunque sviluppare dei temi insospettabili, anche perché aveva già in animo di fare incontri e collaborazioni in campo jazzistico e avrebbe di lì a poco iniziato delle lezioni a New York per imparare a scrivere e a leggere la musica, perché lui era autodidatta e andava ad orecchio, ma voleva e desiderava procedere in un campo molto più ufficiale e solido dal punto di vista anche della conoscenza e questo gli avrebbe aperto sicuramente della altre porte.

Quindi secondo te quale è la vera magia di Jimi Hendrix e della sua musica, come tu hai detto solo tre anni di attività e quattro album, oggi penso sia impensabile parlare di qualche artista di cui ne riparleremo tra 50 anni. Quale è stata la magia?
C’è sicuramente un’alchimia aliena, sarà stato anche il periodo, se noi guardiamo la produzione di quel periodo nel campo del rock e dintorni è di una ricchezza spropositata, al di là di ogni nostra immaginazione, dobbiamo anche prendere atto che si trattava di una condizione, di un equilibrio straordinario di creatività, Dopodiché lui ebbe innanzitutto una capacità produttiva esagerata, appunto quattro dischi in circa poco più di tre anni, ma aveva all’attivo anche centinaia di concerti, alcuni ci restano perchè è stato pubblicato moltissimo e postumo delle sue performance live anche molto diverse l’un l’altro perché lui cambiava spesso il suo repertorio, quindi questa è una condizione e poi il fatto di essere una persona molto esigente, era sempre in studio, suonava tantissimo, provava, cercava delle dinamiche sul suo strumento che magari altri colleghi non erano interessati a ricercare, quindi anche la sintesi con i suoi collaboratori della Band Of Gypsys, ma poi in particolare il desiderio di scrivere p comunque di portare nuove composizioni che partissero dal blues per liberarsi su campi completamente diversi e questa è sicuramente una prerogativa che non troviamo in altri artisti dell’epoca seppur validissimi e capaci di lasciare capolavori a loro volta.

In futuro nei tuoi progetti continuerai a parlare di Jimi Hendrix o hai in programma di scrivere di altri grandi musicisti?
Guarda, questo è il quarto libro che realizzo su Jimi Hendrix, non mi sembra troppo ma credo sia sufficiente, a meno che non mi venga un’altra folgorazione io penso di avere esaurito le cose da dire e soprattutto di quelle che vorrei leggere, perché quando scrivo un libro penso prima che deve interessare a me, altrimenti non lo comincio. Di altri artisti c’è molto da parlare, idee da realizzare in questa forma di racconto, sicuramente sono legato ad un certo periodo storico, mi viene in mente un artista a cui sono molto legato e di cui ho già scritto qualcosa, è John Lennon, anche se qualcun altro ci avrà già pensato, sono quei personaggi che non sono legati solo alla musica, ma anche alla pittura, al cinema, alla poesia e anche ad una certa militanza sociopolitica, con interessi estremamente larghi, un personaggio come lui che esce dalle scene, rientra e viene assassinato, ecco ci sono anche in questo casi dei risvolti che sarebbe bello indagare, ma anche qui si è scritto già tanto su John Lennon, ma se venisse un’idea ci potrei pensare, però io non amo le biografie strette perché c’è già tantissimo di tutti i personaggi, come il mio precedente libro che era su Fabrizio De Andrè e non era una biografia, avevo avuto un’idea, uno stimolo, una richiesta e allora ci ho pensato e l’ho scritto, quindi fare una biografia non lo sento come uno stimolo.

Chiudi l’intervista come vuoi un invito a leggere il tuo libro e perché!
Credo che se uno è minimamente interessato alla musica di Jimi Hendrix, la conosce e l’ha amata e la considera come un caposaldo della cultura rock, potrebbe ricavare da questo nostro racconto qualche indicazione in più sulla persona, su come è arrivato ad essere l’artista che appunto amiamo e soprattutto quale era la condizione in cui si muoveva quei giorni. Uno può pensare all’overdose di droga, al personaggio eccessivo o anche eccessivamente stravagante e invece scopriamo dalle sue parole e da chi gli stava vicino, che aveva anche una condizione estremamente normale, aveva una vita sul palco e anche in sala di registrazione e aveva un’altra faccia, quella di una persona di 27 anni che aveva altri piaceri, noi raccontiamo che in quei giorni andò al cinema, a fare shopping con la fidanzata, a bere a casa di amici, a fare un aperitivo, tutti aspetti che sembrano impossibili per una rockstar acclamata. Tutto questo consente di conoscere un’altra faccia che secondo me aiuta ad apprezzare ancora di più la sua musica.

FABIO LOFFREDO

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