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DETTO FERRANTE ANGUISSOLA – Intervista al cantautore più longevo d’Italia

DETTO FERRANTE ANGUISSOLA – Intervista al cantautore più longevo d’Italia

In occasione dell’uscita del singolo “Mar Mediterraneo”, ho avuto il grande piacere di intervistare il cantautore Ferrante Anguissola d’Altoè (nome d’arte Detto Ferrante Anguissola).
Ferrante nasce a Cremona da una storica famiglia di origine piacentina, che annovera tra i suoi antenati anche la pittrice cinquecentesca Sofonisba Anguissola celebre come prima pittrice al mondo. Il nonno materno e la madre gli trasmettono l’amore per la musica sin da subito. Scrive il primo brano “I Fiumi di Lombardia” all’età di 17 anni, al quale segue “I Pioppi”, un omaggio a quegli alberi molto cari al cantautore, entrambi contenuti per la prima volta nel suo nuovo album “E La Voce Va”.

Seguono anni dediti al lavoro inseguendo le mostre di elettronica nel mondo nelle quali Ferrante ripone passione, sangue e sudore. Parallelamente si impegna nella promozione con successo della ricerca dei dipinti dispersi e degli studi della sua antenata Sofonisba. Dopo più di 50 anni di conduzione di Exhibo, Ferrante cede le sue azioni e da quel momento decide di concentrarsi sulla musica. Dopo quasi un decennio pubblica con il suo nome d’arte Detto Ferrante Anguissola il nuovo album “A Occhi Aperti”, incentrato su tematiche sociali. A pochi giorni dal suo novantesimo compleanno pubblica il nuovo album “E la voce va”.

Ciao Ferrante, bentornato su Tuttorock, innanzitutto come va? Poi parliamo un po’ di questo nuovo singolo appena uscito, “Mar Mediterraneo”, nel tuo disco “E la voce va” ci sono canzoni di 50 anni fa, altre più recenti, questa quando l’hai scritta?

Ciao Marco, grazie, è un piacere, mi trovo in Croazia, il paese di mia moglie, sono appena uscito proprio ora dal mare e mi sto asciugando. “Mar Mediterraneo” è una delle più recenti, nata dalla mia passione per la navigazione. Come ho spiegato altre volte ho perseguito questa mia passione musicale da quando sono nato, la mia famiglia faceva musica per divertirsi e scaricare l’anima. Come sai, mi sono occupato di elettronica e il mio lavoro mi ha portato in giro per il mondo, ho cercato di introdurre in Italia le innovazioni che vedevo all’estero. Ho cominciato a vendere i microfoni Sennheiser, dapprima con la RAI, poi con le radio private, Mediaset, Radio Vaticana che mi ha intervistato pochi giorni fa. Quanta gente ha cantato nei microfoni venduti da me e dalla mia azienda, Exhibo? Tantissima. Quando sono arrivato a 80 anni e ho smesso con il lavoro attivo mi sono detto, cosa farò da grande? E così ho cercato di portare avanti le poesie e le canzoni che avevo fatto. Le canzoni, quindi, vengono da periodi diversi, in particolare le due tracce finali dell’album sono nate quando avevo 17 o 18 anni e sembrano ancora attuali.

L’elemento acqua cosa significa per te?

Io sono nato a Cremona da famiglia piacentina, quindi a cavallo del Po, poi sono del segno dei Pesci, è un segno che trovo molto interessante, è composto da due pesci, uno che sta rasoterra e guarda a destra, l’altro che sta in alto e guarda verso il cielo a sinistra, sono legati da una catenella, che oggi potrebbe essere uno smartphone, si dicono: “io vedo questo, tu vedi quello, stai attento a non andare di là”, è un modo molto costruttivo per procedere, da un lato guardingo e dall’altro azzardato. Io sono così, da un lato sono tranquillo, dall’altro azzardo molto e questa è un po’ la risposta.

A proposito di brani attuali, 50 anni fa hai pubblicato “L’arca” con lo pseudonimo Asterix, la società di oggi sembra non aver ancora imparato niente, anzi, sembra tutto in continuo peggioramento.

Eh, cambiano i nomi ma la storia è sempre quella. Io sono stato uno dei primi autostoppisti in Italia, in estate, invece di andare al mare, andavo in giro per cercare di capire il nostro paese. Purtroppo ho fatto anche il balilla, per andare a scuola dovevo avere la camicetta nera, mi ricordo ancora le balle che giravano allora, quelle che oggi chiamiamo fake news, era tutta una storia per portare l’acqua al mulino di chi voleva una guerra. A 19 anni andai a capire l’Europa, perché qui non avevo capito niente, parlavo già abbastanza bene il tedesco, l’inglese, il francese e potevo fare viaggi in macchina parlando di tutto. Ho visto davvero l’Italia del futuro in quel momento, mi ricordo che tutti mi dicevano: “Tu non sei mica italiano, gli italiani sono piccoli e mori, tu sei alto e biondo”. Mi sono sempre visto ammiratissimo ovunque per il fatto che venissi dall’Italia, che è un paese miracoloso che non si sa gestire, purtroppo. Mi ricordo di tecnici stupiti dalle nostre idee, d’altronde i romani hanno costruito ponti anni e anni fa e sono ancora lì. La politica è solo una conseguenza di un paese che non si sa vendere.

Solitamente, quando scrivi una canzone, parti prima da un testo o da una melodia o le parole arrivano insieme alle note?

Sai, io devo sentire un punto in cui mi nasce dentro un’emozione, questa emozione la coltivo provando accordi sul pianoforte o sulla chitarra, poi mi vengono 3 o 4 parole che magari cambio nel tempo, è come costruire una casa, su un’emozione costruisco la storia scegliendo le parole, l’armonia, questa è un po’ la genesi delle mie canzoni. Io ammiro molto Paolo Conte perché ha fatto l’avvocato fino a circa 50 anni, poi si è dedicato solo alla musica, penso spesso al fatto che se avessi continuato dopo il mio primo LP, “Poligrafici, Pensionati, Trombai & Santi”, una critica alla società italiana, un disco che sembra vecchio ma ancora attuale, sarebbe andata diversamente.

Hai mai pensato di ristampare quell’album o preferisci continuare a produrre materiale inedito?

Sono molto affezionato al primo lavoro che ho fatto, era una critica ironica cercando di far sorridere gli italiani, anche se nel nostro paese non sempre l’ironia viene capita. Ho voluto fare quel disco per riderci sopra però, dopo 50 anni, siamo ancora lì con gli stessi problemi, ci penserò su a proposito di questa cosa della ristampa, grazie per avermi messo questa pulce nell’orecchio, comunque di canzoni inedite da pubblicare ne ho ancora.

Sei molto legato alla storia cantautorale italiana, ascolti ancora quegli artisti o c’è qualcosa oggi che ti ha particolarmente colpito?

Ottima domanda, i vecchi cantautori li ascolto sempre, cominciando da quel giorno in cui, dopo la laurea, ho lavorato a Bologna. Avevo il servizio militare da fare, poi mi sono sposato e ho avuto una figlia, in quel momento le caserme erano piene e fui esonerato. All’indomani della chiusura del Festival di Sanremo del 1958 sentii questa canzone, “Nel blu, dipinto di blu”, fu una pugnalata, in senso buono, andai al lavoro entusiasta e molti dei colleghi erano contro il mio parere. Quella canzone di Modugno ha aperto le porte ai cantautori italiani, ai genovesi con De André, ai bolognesi con Lucio Dalla, che conoscevo benissimo, lui mi chiamava “Il signor Sennheiser”. Adesso ho sentito un po’ di cose che mi sono piaciute in Francia ma di cose nuove da noi non ho trovato niente che abbia la giusta ispirazione. La musica è senza limiti, il tuo orecchio, il tuo cuore, la tua fantasia, vanno a creare alchimie che fanno sì che qualcosa possa piacerti o no. Grazie comunque di questa domanda che ha risvegliato in me bei ricordi, la mia esperienza è diversa dai cantautori che hanno riempito gli stadi ma mi sono esibito in tantissimi luoghi, Bologna, Firenze, Roma, Milano, Marche, non c’era festa in cui io non suonassi. Un tempo c’era solo qualche ragazzo che suonava il piano, pochi cantavano, adesso c’è gente bravissima che piglia in mano una chitarra e fa cose da impallidire, io con pubblico pagante ho suonato pochissime volte, generalmente sono sempre stato invitato a feste, matrimoni, mio fratello e io cantavamo insieme o separatamente fino agli anni 60, la svolta c’è stata in quegli anni soprattutto in Inghilterra. Mi ricordo quando iniziai a fare l’autostop, negli anni 50 Londra era una città morta, se andavi a ballare alle 23 in punto qualsiasi tipo di musica finiva, partiva l’inno alla regina e ti mandavano di corsa a casa. Le cose cambiano, dipende sempre da come si va avanti.

Questo tuo nuovo disco lo suonerai da qualche parte?

Stasera almeno amici mi hanno invitato a cantare le mie canzoni, non ho mai impostato la musica come fonte di guadagno e mi piace così.

Grazie mille per il tuo tempo, ti lascio piena libertà di chiudere l’intervista come vuoi.

Grazie a te Marco, è stata davvero una piacevole chiacchierata, tra l’altro siamo quasi conterranei e in questi casi mi lascio un po’ andare. Aggiungo un paio di aneddoti, visto che ho girato tanto nel mondo, arrivai a Londra nel 1950 e vidi delle strisce gialle, chiesi: “ma cosa sono?”, e mi risposero: “sono zebre”. Rimasi stupito, dissi, “cosa c’entrano le zebre con Londra?”, in Italia non avevamo le strisce pedonali, da noi sono apparse 12 anni dopo, nel 1962. Non ti parlo poi dei contadini, quando nel 1951 andai a lavorare in una cascina e mi trovai davanti degli operai come fossimo in fabbrica, lo dissi ai miei amici agricoltori italiani e loro non credevano alle mie parole, adesso anche qua la campagna è cambiata. Una cosa che mi ha impressionato tanto, soprattutto in Corea e in Finlandia, è stato vedere quanto studiano i ragazzi là. Faccio un esempio, quando andai in Corea del Sud nel 1987 per la prima volta, mi sembrava di trovarmi nell’Italia del 1945, si sono tirati su le maniche, hanno lavorato come pazzi. La stessa cosa l’ho vista in Finlandia. Voglio quindi dire a chi mi legge, ragazzi, studiate, studiate, studiate! Non si finisce mai di imparare, bisogna essere colti per essere dei buoni padri, mariti, cittadini, politici, restare ignoranti non porta a niente.”

MARCO PRITONI