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DAVIDE “BOOSTA” DILEO – La musica è un collante e un calmante sociale p …

DAVIDE “BOOSTA” DILEO – La musica è un collante e un calmante sociale p …

davide boosta dileo 4

In occasione della presentazione del suo nuovo album strumentale solista “Facile” (Warner Music Italy), che esce oggi, venerdì 30 ottobre, ho avuto il piacere di partecipare, insieme ad altri colleghi e grazie alla consueta gentilissima disponibilità di Parole & Dintorni, alla videoconferenza stampa di Davide Dileo, conosciuto da tutti come Boosta, tastierista e co-fondatore dei Subsonica.  Ecco le nostre domande e le sue risposte.

Ciao Davide, come mai hai deciso di uscire con un disco solista e strumentale in questo periodo?

Buongiorno a tutti! Vi vedo tutti casalinghi con delle belle librerie dietro, mi fa un po’ strano chiacchierare del disco in queste condizioni. Questo album esce perché, nel dramma di questa pandemia, si è aperta questa finestra di possibilità, la musica strumentale mi ha sempre appassionato, stando nella mia piccola officina a suonare ho avuto sempre una predilezione per il concetto di colonna sonora. Con i Subsonica, questa parte della carriera sarebbe probabilmente iniziata tra 10-15 anni, i tempi, si sa, sono sempre quelli di disco/tour, disco/tour e disco/tour, tanti tanti tour. Quando è cominciato il lockdown dovevamo portare nei club “Microchip temporale”, poi si è fermato tutto e l’astronave madre ha messo i motori al minimo. L’unica cosa che so fare, spero e mi auguro bene, è fare musica, ho preso la palla al balzo e ho lavorato a questo progetto, che ritengo un progetto di vita, mi piacerebbe fosse la seconda parte o comunque una parte importante della mia vita.

Con i Subsonica hai sempre unito l’elettronica al piano, com’è nato questo nuovo progetto di musica strumentale e cosa ti ha ispirato nella scrittura dei brani?

Parto dalla fine, credo che la musica sia associabile alla magia, se fai canzoni hai necessità di osservazione, quello che scrivi si riferisce a qualcosa che vedi e che senti, nel caso della musica strumentale la cosa nasce dall’esigenza di poter suonare con l’unico fine di fare qualcosa che ti faccia veramente stare bene. Più passano gli anni e più cerco di emozionarmi da solo, il che è uno spostamento di baricentro fondamentale, più passa il tempo e più mi accorgo che non vedo l’ora di suonare cose che mi piacerebbe ascoltare. Sono convinto che più onesti si è e più si ha la possibilità che qualcuno si affezioni a quello che fai, io mi sono un po’ stufato di fare cose che devono piacere per forza agli altri, vorrei sentire un disco di cui essere fiero, è un esercizio a cui sto lavorando, non di stile ma in modalità Vittorio Alfieri. Continui a scrivere e ogni tanto succedono queste scintille di magia per cui metti le mani da qualche parte e suoni qualcosa che ti emoziona, ciò vuol dire che sei nel posto giusto e stai facendo la cosa giusta.

Intanto Boosta ci fa fare un tour virtuale del suo “bunker”.

Qui ci sono le mie tastiere, il bar dove ogni tanto invito una decina di amici e qui c’è il minipalco, ho creato una sorta di locale molto semplice, qua invece è la stanza dove ho dato vita al disco, con il pianoforte e un piccolo vecchio piano al quale sono molto affezionato.

Cosa c’è di “Facile” in tutto questo progetto?

C’è di facile che la musica ha una relazione con ognuno di noi assolutamente binaria. Non importa se sia difficile tecnicamente, armonicamente, melodicamente, la musica è facile, ti da qualcosa o non te la da. È uno strumento che diventa uno strumento di vita ed è una cosa che mi appassiona tantissimo, non importa il motivo per cui uno scrive una canzone, un’opera, o mette dei suoni in fila per 3 o 4 minuti, è importante che cosa diventa la cosa per le persone che l’ascoltano. In questo senso la musica rimane sempre facile per quanto difficile possa essere.

Parliamo del brano “Fiducia”, sin dalle prime note ho percepito l’attesa, come se tu stessi attendendo di fidarti, poi nell’ultimo minuto è come se quest’attesa stesse per finire e alla fine tu decidi di non fidarti, mi piacerebbe sapere cosa volevi trasmettere e se, effettivamente, per fidarsi di qualcuno bisogna attendere.

Sono contento che tu abbia la tua visione del pezzo, la musica serve a questo. Pensandoci, questo è un disco insicuro e rassicurante per certi versi, è un disco abbastanza dilatato, ha delle melodie che non sono mai forti o arroganti, il tratto è ancora a matita. Durante la scelta della tracklist, continuavo a togliere i pezzi più dichiaratamente pezzi, lasciando più spazio ai suoni. È quindi l’ammissione di una mancanza di certezze, il periodo storico è complicato e non mi sento definito, sono alla ricerca di un percorso e di una strada, c’è quel senso di lastra sottile che da un momento all’altro potrebbe spezzarsi. Non avevo bisogno di mettere delle belle melodie, vi giuro che le avevo ma non sarebbe stato questo il momento di farle uscire, in questo penso quindi di essere stato molto onesto.

Tu hai dato un tuo titolo ad ogni brano ma posso dire che quello che hai creato sia una sorta di template, uno strumento che, in questo periodo storico difficile per tutti, ciascun individuo può utilizzare per incollarvi i propri sentimenti, le proprie immagini, e dare poi il titolo più personale al file completo?

Sono assolutamente d’accordo, la musica è uno strumento fondamentale, primo perché è la forma d’arte più veloce. Ad esempio, in un museo, se vuoi entrarci ci entri sennò no, ma non ci sarà mai nessuno nella vita che non avrà una colonna sonora, bella o brutta che possa essere, la musica è un collante e un calmante sociale pazzesco. Per quanto riguarda i titoli, essi sono la lirica di questo disco, è stata una sfida molto divertente, è un disco strumentale e le uniche parole che potevo mettere erano proprio nei titoli. All’inizio i pezzi avevano nomi orribili o numeri, ti faccio un esempio, il pezzo che chiude tutto, “Istruzioni per un abbandono”, in principio l’avevo chiamato “Duetto per Arp e Solina”. Ascoltarlo e trovare una frase, una parola, un qualcosa che potesse mettere la mia firma, è stato molto bello, un po’ come mettere la firma sotto a un quadro. Quando il disco nasce ed entra nelle case, nelle orecchie o, mi auguro, nel cuore di qualcuno, quel qualcuno ne può fare ciò che vuole.

Mi spieghi la copertina del disco?

Ho scoperto che Instagram può essere utile, mi sono imbattuto in una ragazza, Valentina Ciandrini, che fa packaging ed ha una visione molto pop del lavoro, io, come vedete, sono sempre piuttosto sobrio nell’abbigliamento e l’idea di dare un po’ di colore è stato come dare una confezione bella e diversa al contenuto, una sorta di gift box. Lavorare da solo è molto bello perché ti permette molta libertà ma, il grande limite, è che devi confrontarti solo con te stesso e non siamo in grado di fare tutto da soli. Avere persone che ti piacciono e di cui ti fidi è stata una cosa affascinante, ho contattato quella ragazza, l’ho fatta venire ad un nostro concerto e le ho chiesto di fare la copertina del mio disco.

Avevi pensato di procrastinare l’uscita del disco? Poi ti volevo chiedere anche se, secondo te, vista la situazione che comunque interessa tutta l’Europa, servono le manifestazioni di protesta di questi giorni.

No, non ho pensato di rinviare l’uscita del disco, nel dramma di questa finestra la musica rimane comunque uno strumento utile. Parlando degli spettacoli, la situazione è drammatica, io arrivo dall’ultima data estiva che abbiamo recuperato a Siena al Teatro dei Rinnovati, era sold out, ovviamente con la capienza ridotta e io ho fatto un’ora e mezza di ritardo a causa delle misure di sicurezza, anche l’uscita delle persone, al termine del concerto, è durata quasi mezz’ora. C’è stato un saluto commovente alla fine del live, poi allarghi le riflessioni, pensi alla musica come collante sociale e ho visto nei live estivi e teatrali un’educazione strepitosa, infatti ho letto statistiche che parlano di un solo contagiato a quegli eventi. Le persone che si approcciano al live lo fanno in maniera consapevole, poi ho notato una gratitudine incredibile negli occhi delle persone che venivano a vederci, è stata una cosa molto emozionante. Il periodo è drammatico, tutti devono fare la propria parte, mi sono ripromesso di non fare polemiche ma non ce la faccio a dare per scontato che questa sia una classe dirigente all’altezza, anche se capisco tutte le difficoltà del caso. Non ho la sicurezza nella capacità delle persone che ci governano, purtroppo credo fortemente che siano inadeguati, anche la risposta di Franceschini alle critiche era una risposta offesa, un po’ come quando litighi a scuola, non si fa così, da un Ministro della cultura questa cosa non la accetto, non accetto l’aggettivo “superfluo” per un settore importante come il nostro. Il dovere di chi ci guida è di guidarci e nella capacità di spiegazione, di racconto, di onestà, di fiducia, io a questi le chiavi del mio studio non le darei, non possiamo fare di tutta l’erba un fascio ma sento l’odore della politica in confusione ed è un bruttissimo odore in un momento come questo. Temo che lasceremo molte macerie, fisiche, economiche, morali, non so cos’avrei fatto io come Ministro o all’interno della Task Force ma, da cittadino, dico… mah, di fiducia ce n’è poca.

Tu hai detto che “Facile” è il suono del tuo silenzio, in questo periodo hai sentito il bisogno di stare in silenzio?

Sì, ne ho bisogno, sono abbastanza orso, mi piace stare da solo e non ho particolari esigenze di compagnia anche perché, con il mestiere che faccio, di compagnia ne ho sempre avuta molta nella vita. Credo che il silenzio sia uno spazio sacro e fondamentale per qualunque cosa, ne ho quindi bisogno e voglio continuare ad averne bisogno perché mi fa sentire molto a mio agio.

Quali sono gli artisti di musica strumentale ai quali ti ispiri?

Mi piacerebbe farmi crescere le basette grandi e diventare come un minimalista dei primi del 900. Sicuramente Erik Satie, poi, soprattutto Federico Mompou che è uno dei compositori che più ammiro in assoluto, lui ha avuto una vita mediocre, non negativamente parlando, non ha mai avuto grandi eccessi ma ha scritto una serie di composizioni incredibili, si metteva davanti alla finestra aspettando la guerra e dava vita a pezzi memorabili. Andando più avanti nel tempo, Arvo Pärt, mi piace moltissimo il suo utilizzo dei silenzi. Mi sono appassionato molto anche al movimento Fluxus, soprattutto di un compositore che non conoscevo, Giuseppe Chiari. Sono andato ad una mostra e la cosa più bella è che, quando me ne stavo andando, ho visto cinque spartiti in cui c’era scritto: “La musica è facile”, e lì ho capito che mi trovavo nel posto giusto. Poi, tornando a fare nomi, cito tra i tanti John Hopkins e Chilly Gonzales, ma la colonna sonora del mio lockdown è stata certamente il Köln Concert di Keith Jarrett.

Il brano “Autoritratto”, perché l’hai intitolato così? Cos’ha di diverso e di più personale rispetto agli altri?

È quello che sono, è un pezzo facile da suonare, ha una bella melodia, un bel movimento di bassi, c’è un assolo un po’ blues ma è venuto tutto fuori così, in stile “buona la prima”. C’è un finale che cresce, ci ho messo tutto ciò che mi piace nel fare musica quindi è davvero un autoritratto.

Parliamo del brano “Daimon”. È un termine che ha tutta una sua storia, può essere la figura che si colloca tra il divino e l’umano, la figura che ispirava Socrate oppure un diavolo che è dentro di te. Qual è il tuo Daimon?

Lo intendo nell’espressione più classica del termine, è quella meravigliosa scusa o merito per cui se sbagli tutto è colpa del tuo Daimon oppure, se fai qualcosa di bello, è merito suo. Anche la politica ha i suoi Daimon ultimamente… (ride – ndr).

Hai detto che hai voluto fare musica per te senza andare incontro ai gusti del pubblico, per la gioia dei tuoi discografici…

Ho fatto questo disco per me, poi ovviamente c’è sempre un po’ di ego che si aggira nell’orecchio e speri sempre che quello che fai possa piacere a tanti. È il punto di partenza che non può più essere in funzione di altro, siamo partiti da un grande pop, ti faccio un esempio, io penso ad “Avrai” di Baglioni, gli altri mi ridono in faccia, è una grande canzone, difficilissima a livello compositivo, però ha una melodia diventata importantissima nel tessuto sociale e culturale dell’Italia. Adesso c’è un concorso di colpe tra musicisti, produttori, discografici, ascoltatori, è come se inizi a fare varie fotocopie e ti accorgi che sta finendo l’inchiostro, io adesso faccio fatica a distinguere differenze tra i brani che escono oggi, non penso di essere un coglione, conosco la musica. La grammatica della musica, che era un gran tomo nel ‘900, sta diventando un Bignami sempre più piccolo, diventerà un cartoncino con 4 regole base. Recuperiamo un po’ la complessità, prendiamoci del tempo per andare più a fondo. Certo che, oggi che va di moda Spotify, se non riesco a resistere per più di dieci secondi nell’ascolto di una canzone, diventa tutto un problema. Io mi sono permesso di fare un disco onesto, ho 45 anni, sono felice, faccio quello che voglio, vivo ancora grazie al mio mestiere che amo tantissimo.

Hai avuto feedback dai tuoi colleghi dei Subsonica su questo lavoro?

Non ancora, non l’hanno ancora sentito, mettiamola così. Ci vogliamo un sacco di bene ma, quando lavoriamo alle nostre cose, è come se vivessimo nella stessa casa ma ci chiudessimo ognuno nella propria stanza. Appena esce il disco gli giro il link e gli chiedo cosa ne pensano.

È un disco intellettuale?

No, credo alla complessità delle cose ma non saprei nemmeno associare questo termine alla musica. Posso rendermelo intellettuale questo disco ma mi piacerebbe sentire l’opinione delle persone, come ho detto prima, credo alla musica come strumento.

Il materiale scartato di cui parlavi lo pubblicherai prima o poi?

Sì, vorrei pubblicarlo perché non la considero una diversione del mio percorso da musicista ma è una parte di quello che sono, sono curioso di vedere cosa succederà scrivendo ancora, ho separato già il materiale, ho fatto due pezzi con una ragazza che fa musica elettronica poi ho un piccolo EP di 4 pezzi per pianoforte e basta il cui titolo potrebbe essere “ancora più facile”.

Hai detto che questo è un disco fatto per viaggiare, da quali viaggi sono nate queste composizioni?

Ho l’intenzione di fare un viaggio lungo, adesso non ho voglia di scrivere canzoni al microfono e alla chitarra, questo tempo mi da la possibilità di concentrarmi su altre cose. A me piacerebbe dare un suono a tutto, il viaggio esige spazio, lo spazio fisico adesso non c’è ma il viaggio deve rimanere una libertà. Lì dipende dalla capacità di ognuno di noi, leggere, approfondire, non chiudersi in sé stessi. Bisogna preparare una valigia importante per sopravvivere e tornare a vivere.

Ciao a tutti!

MARCO PRITONI