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Yes @ Teatro degli Arcimboldi Milano 06.05.2024

Yes @ Teatro degli Arcimboldi Milano 06.05.2024

Yes @ Milano Teatro degli Arcimboldi 06.05.2024

Gli Yes sono finalmente tornati in Italia per 3 speciali appuntamenti: “The Classic Tales of Yes tour 2024” quarta data del tour europeo e seconda italiana, che ha toccato le città di Roma (Eur Convention Center La Nuvola), Milano (Teatro Arcimboldi) e Padova (Gran Teatro Geox).
Show pensato per atti che ripercorre la totalità della produzione dell’iconico gruppo rock progressivo considerato tra i principali esponenti del genere ed occasione designata per la presentazione del più recente “Mirror To The Sky“, uscito lo scorso anno.
La formazione risulta chiaramente totalmente rivoluzionata rispetto agli esordi.
Dopo l’abbandono da parte di Jon Anderson che insieme al bassista Chris Squire è stato il founder member che ha dato la voce al gruppo sino al 2001, l’unico superstite a militare nella band dai 70s è ormai il settantasettenne Steve Howe (chitarra elettrica/acustica/lap steel).
La grande assenza del bass hero Chris Squire si avverte sempre con una grande nostalgia.
Attivo sin dagli esordi con i “Mabel Greer’s Toyshop“, prima forma embrionale della band che trae il nome dalla particella passivante “sì” in italiano, “yes” in inglese (correva l’anno 1965), fino al 2015 anno di pubblicazione del live “Progeny: Highlights from Seventy-Two” che passerà alla storia anche per la sua triste dipartita.
Da sempre il collante che teneva insieme i vari componenti, Squire si era occupato di contattare anche gli attuali musicisti in formazione: Geoff Downes tastierista per “Drama” (1980), il giovane – si fa per dire – cantante Jon Davison, subentrato nel 2012 su suggerimento di Taylor Hawkins al fine di una temporanea sostituzione di Benoît David e poi rimastoci per oltre un decennio ed infine Billy Sherwood, schierato in prima linea dagli anni novanta (epoca “Open Your Eyes”).
Preso in prestito come musicista aggiuntivo per chitarre e tastiere durante le esibizioni dal vivo per poi venire designato dallo stesso Chris Squire come suo naturale successore al basso elettrico.
L’acquisto più recente (2023) è invece il batterista Jay Schellen (collega di Sherwood e Davison negli Arc of Life) che ha lavorato a stretto contatto con Alan White alla batteria.
Peculiare ed opinabile l’impostazione teatrale divisa in due parti entrambe di un’ora ciascuna con un – interminabile – intermezzo di circa venti minuti, utile tuttavia a visitare l’esposizione di opere di Roger Dean posta nel foyer.
Lo storico illustratore che sin dagli esordi ha curato gli artwork delle copertine della band, espone per l’occasione anche una copia autografata dell’opera “Mirror To The Sky” in tiratura limitata di 100 copie giclée, in vendita a 400 euro.
Se la prima parte della narrazione antologica è una panoramica a 360° che sviscera le varie decadi del gruppo con una versione strumentale della “America” di Simon & Garfunkel così rimaneggiata da risultare addirittura nuova, la seconda e più corposa parte dello show presenta un maggior appeal.
Preceduta dall’introduzione dei musicisti con relativo applauso è aperta da “South Side of the Sky” che insieme alla acclamatissima “Roundabout” risulta essere tra le uniche proposte tratte da “Fragile“, celebre album (di assoli) dal repertorio classico Yes.
Jon Davison oltre a condividere il nome con Jon Anderson presenta anche le medesime caratteristiche da contro-tenore con uno stile piuttosto drammatico che ben si sposa alla reinterpretazione dello stesso.
Howe ha una precisione chirurgica e una prestanza fuori dal comune, mentre Downes non è un gran estroverso e sembra incasellato in mezzo a quella struttura cubica di tastiere, ma ha un’ottima vena creativa.
Tuttavia la ritmica risulta leggermente fuori fuoco. Chiaro che si parla di dati infinitesimali ma a tratti l’equalizzazione è un po’ troppo a favore dei bassi e la scelta di una tipologia di strumento genere Ibanez anzichè un Rickenbacker (che forse ci piacerebbe sentire live) destabilizza l’ascoltatore attento, anche se qualcuno potrebbe obiettare che si tratta di una scelta molto personale. De gustibus.
In sintesi mentre l’otto corde regala qualche momento di estatica soddisfazione e trasporto, il quattro a tratti si smarrisce negli antri del mix e lascia un po’ di retrogusto amaro in bocca.
Senza nulla togliere alla performance e alle belle scarpette brillantinate di Sherwood, ovviamente.
Un blu cobalto che ricorda il cielo stellato, appunto.
Dopo “Cut from the stars” singolo estratto dall’ultimo album è “Tales From Topographic Oceans” a rivestire la maggior importanza ricorrendo il cinquantenario. Citando Stewe Howe: “un concentrato di 20 minuti dei 70 totali”. Sesto album del gruppo, composto da soli quattro brani della durata di venti minuti l’uno, viene riproposto sottoforma di medley: The Revealing Science of God (Dance of the Dawn) / The Remembering (High the Memory) / The Ancient (Giants Under the Sun) / Ritual (Nous sommes du soleil). Chiude “Starship Trooper“, brano in continua mutazione che ben esprime il mood dell’intera serata.

SUSANNA ZANDONÀ

Credits: si ringrazia VIRUS CONCERTI per la gentilissima disponibilità e la perfetta organizzazione dell’evento.

BAND:
Jon Davison (voce)
Steve Howe (chitarra)
Geoff Downes (tastiere)
Billy Sherwood (basso)
Jay Schellen (batteria)