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DANIELE SEPE IN CONCERTO   VENERDI’ 22 MAGGIO   MILANO – LA SCIGHERA Ore 21,30

DANIELE SEPE IN CONCERTO   VENERDI’ 22 MAGGIO   MILANO – LA SCIGHERA Ore 21,30

ingresso con tessera Arci

DANIELE SEPE, SAX
TOMMY DE PAOLA, TASTIERE
DAVIDE COSTAGLIOLA, BASSO
PAOLO FORLINI, BATTERIA


A NOTE SPIEGATE è il nome che Sepe ha dato a una serie di dieci incontri, o se preferite laboratori, tenuti tra il 2013 e il 2014 a Napoli, nei locali di Intra Moenia, continuando poi a Caserta, al Jarmush Club, e all’Università di Salerno. Dieci appuntamenti in cui insegnavamo al pubblico, fatto di semplici ascoltatori o di musicisti curiosi, a riconoscere emotivamente tonalità maggiore e minore, accordi di tensione o di riposo, scale, stili e strutture del jazz, ma anche a seguire la partitura di un brano imparando a distinguere la battuta, il segno di ritornello e marcare con un bel “Uè” collettivo l’inizio di ogni chorus o l’attacco del bridge.

In questi incontri, spesso a tema su un compositore in particolare o un periodo, Sepe e i suoi musicisti parlavano e suonavano tantissima musica. Parte di quello smisurato repertorio è finito fra le tracce di questo disco.

A NOTE SPIEGATE –  DANIELE SEPE ILLUSTRA IL DISCO
A NOTE SPIEGATE è il nome che abbiamo dato a una serie di dieci incontri, o se preferite laboratori, tenuti tra il 2013 e il 2014 a Napoli, nei locali di Intra Moenia, che ha il merito di aver trovato il bel nome, continuando poi a Caserta, al Jarmush Club, e all’Università di Salerno. Dieci appuntamenti in cui insegnavamo al pubblico, fatto di semplici ascoltatori o di musicisti curiosi, a riconoscere emotivamente tonalità maggiore e minore, accordi di tensione o di riposo, scale, stili e strutture del jazz, ma anche a seguire la partitura di un brano imparando a distinguere la battuta, il segno di ritornello e marcare con un bel “Uè” collettivo l’inizio di ogni chorus o l’attacco del bridge.
Insomma svelavamo il jazz per quello che è: suono legato all’emotività dell’animo umano e naturalezza della musica, spesso invece considerata materia esoterica, per pochi eletti o per signori un po’ pazzi in contatto col creatore.
Prima di tutto però si raccontavano le storie, i contesti, in cui chi ha dato vita al jazz viveva e lavorava.
Scrostata la patina radical chic in cui si crogiola il mondo ultra professionale del jazz di oggi – pensiamo ai concerti di Keith Jarrett, dove è proibito fumare anche all’aperto, scattare fotografie e addirittura tossire – abbiamo riscoperto una musica profondamente popolare, messa a punto e portata allo stato dell’arte da uomini e donne al cui tavolo difficilmente, nella gran parte dei casi, sceglierebbe di sedersi il borghese e compassato pubblico del jazz di oggi.
Criminali, spesso, di sicuro gente da bassifondi e suburra, ladri, magnaccia, truffatori, a volte ex assassini, in ogni caso gente che proveniva dal sottoproletariato urbano e non nordamericano. Una musica nata nel peggior quartiere di New Orleans, Storyville, l’unico in cui bianchi e neri avessero contatti, il quartiere delle bische e dei lupanari.
Storie di gente che a volte è morta poverissima, pur avendo creato magnifica musica che ancora oggi, a distanza di più di cento anni, si esegue, e dischi che ancor oggi si vendono. Come King Oliver, anche lui ex galeotto, che mise la tromba in bocca a Louis Armstrong e che morì per un ascesso dentale, privo del dollaro e mezzo che l’avrebbe salvato. E ancora, pensiamo a Thelonius Monk, che componeva nel suo piccolo appartamento,  condividendo il poco spazio con moglie e figli,  con il Baby Steinway messo proprio a fianco del frigorifero, mentre i figli guardavano cartoons e dalla strada arrivavano – non vivevano certo in un attico – i suoni della strada, e tutto quel casino entrava nella sua mano sinistra e nella sua maniera di accompagnarsi, con quei cluster che somigliano più a clacson di automobili che a dotti e armoniosi accordi.
O come quelle di Mingus, che per vivere faceva anche il pappone, mestiere molto in voga ad esempio nelle grandi orchestre, che quando giravano gli States per allietare i balli di fine anno nei grandi college avevano l’abitudine di portare nei loro grandi bus le ragazze da vendere ai giovani virgulti della buona borghesia americana.
Raccontavamo di locali come il Cotton Club, dove si esibivano musicisti del calibro di Duke Ellington o Cab Calloway, proprietà di Al Capone. Un criminale, ma con meno morti sulla coscienza del Nobel per la pace Obama.
In quei dieci incontri abbiamo suonato ed analizzato brani di Thelonius Monk, Charlie Mingus, John Coltrane, Sonny Rollins, Bill Evans, Wayne Shorter, Herbie Hancock, Keith Jarrett, Chick Corea, Miles Davis, Hermeto Pascoal, Gato Barbieri, Joe Zawinul, Frank Zappa fino ad arrivare ai Led Zeppelin, Jimi Hendrix o Bob Marley.
Più di ottanta brani, tra i quali ne abbiamo scelti alcuni che vi riproponiamo qui, sperando un giorno di incontrarvi di persona per potervi raccontare qualche altra storia tra un assolo e l’altro.

http://www.danielesepe.com