Un fiore che sboccia nelle avversità “Black Flower”: intervista a Sacrane


Dopo sette anni di attese e riscritture, Sacrane firma un brano che è una liberazione profonda: tra legami tossici da recidere e identità da ritrovare, Black Flower sboccia come un inno alla trasformazione.
Ciao Stefano. Benvenuto tra le pagine virtuali di Tuttorock. Cinque anni fa hai scelto di attribuirti un nome nuovo che comunica una rinascita personale, ovvero “Sacrane” cosa significa?
Grazie per questa domanda. Ricordo che, anni fa, sentivo che il mio nome non rappresentava la complessità delle emozioni e della visione artistica che avevo. “Sacrane” è un connubio di desideri luminosi e tentazioni oscure, di sacro e profano, una combinazione letterale delle loro parole in inglese. Avevo un bisogno viscerale di essere rappresentato da un nome che esprimesse quella complessità a cui ancora oggi non riesco a dare un nome. È come se il nome mi avesse chiamato, senza che io lo cercassi. Da quel momento, sono riuscito a esprimermi attraverso la musica in modo totalmente diverso, dando voce a sonorità che, sotto il nome di Stefano, erano quasi soffocate.
Il tuo album di debutto “FREE” (2024) è stato pubblicato in concomitanza con la giornata internazionale contro l’omofobia, la bifobia e la transfobia. Un messaggio forte per un progetto profondamente intimo. Me ne vuoi parlare?
È stato un momento molto liberatorio. Mi sembrava giusto che un album con un titolo così semplice ma potente uscisse proprio in quella giornata speciale. Durante tutto il processo di creazione, mi sono spogliato delle mie insicurezze e del giudizio che mi portavo sulle spalle dopo anni di manipolazione e critiche distruttive. Ho messo a nudo le mie fragilità,
cantando con il cuore in mano attraverso suoni che non mi sarei mai immaginato. È stata una celebrazione, perché ogni persona dovrebbe essere libera di esistere come desidera, in un mondo che spesso obbliga a giustificare ogni pensiero o desiderio. Ci sembrava l’occasione giusta.
Quest’anno ritorni con “Black Flower” un brano meno dark rispetto ai lavori precedenti. A chi la dedicheresti?
La dedico a tutte le persone che mi sono state accanto nei momenti difficili, ma soprattutto a me stesso. Non ho mai smesso di lottare e credere nella mia voce e nelle mie idee, portandole avanti con coraggio e senza paura.
Puoi spiegare meglio ai nostri lettori che tipo di sonorità hai voluto esplorare in questo brano e in che modo rispecchiano il tuo stato d’animo o la storia che racconti?
Considero questa canzone una marcia verso il luogo che si considera “casa”. Quando io e Lorenzo (Avanzi) ci siamo ritrovati in studio per la seconda volta, cercavamo un sound che non solo suonasse bene, ma che comunicasse efficacemente. Ho pensato che una sorta di manifestazione, una marcia di tamburi, potesse esprimere al meglio la sensazione di dover distruggere qualcosa per ricostruire altro. Mi immaginavo attraversare grandi strade
alla ricerca di un posto sicuro. Da lì, abbiamo cercato suoni e strumenti che portassero luce e speranza, con tocchi di solennità malinconica ma ricca di profondità, per canalizzare il messaggio nel modo giusto.
La canzone nasce nel buio della tua stanza, da un’ apparente “chiusura” verso il mondo. Tuttavia è un brano luminoso, che parla di rinascita…
Ho vissuto fin troppa chiusura e negatività nel mio passato, tanto da rendermi conto che questa canzone non doveva esserne influenzata, raccontando il dolore in modo cupo. Abbiamo voluto associare al brano un sound più luminoso, che esprimesse la speranza che esiste sempre un modo in cui le cose possono migliorare.
A volte basta crederci e agire, anche commettendo errori, ma lanciandosi a vivere la propria vita come si desidera.
Con questo nuovo progetto credi di aver definito un “linguaggio musicale” che ti rappresenti e ti faccia sentire vicino alla tua voce più autentica, o sei ancora in cerca di qualcosa che non riesci ancora bene a definire?
Con questo terzo progetto sto chiudendo un lungo capitolo della mia vita e mi sento soddisfatto di ciò che ho espresso e creato. Ho tirato fuori rabbia, tristezza, delusione e oscurità che mi portavo dentro da tempo, dando voce a un adolescente ferito più che a un adulto consapevole. Credo di non aver ancora trovato il modo di esprimermi che sia davvero autentico e riconoscibile al 100%, per quanto il sound delle mie canzoni sia unico.
Sento che il vero lavoro arriverà dopo questo progetto, in un percorso di ricostruzione e consapevolezza diverso, alla ricerca di un’affermazione che sia solo mia.
Quanto è importante per te che chi ascolta si immerga nel brano con empatia, e non solo con l’orecchio?
L’empatia è fondamentale. “Black Flower” parla a chi si è sentito inadeguato almeno una volta. Ascoltarlo solo con le orecchie significherebbe perdere l’opportunità di provare emozioni. La mancanza di empatia raffredda tutto: come nei rapporti interpersonali, anche la musica va compresa per essere apprezzata pienamente. Immedesimarsi è il primo passo per parlare con la musica.
La gestazione di questo brano è stata di sette anni: cosa ha tenuto in vita questa canzone per tutto questo tempo, anche quando sembrava non trovare lo spazio per uscire?
“Black Flower” è stata tenuta in vita da un profondo legame con una persona e dal mio bisogno di rivalsa. Per anni non ho pensato a produrla, ma nel momento in cui ho sognato di distruggere la chitarra che l’aveva imprigionata, mi sono detto: “è il momento, facciamolo per davvero”. Probabilmente prima non ero pronto, e col senno di poi, è andata meglio così.
Hai detto che inizialmente la demo non convinceva nessuno in quanto era “troppo fragile per essere lanciata e troppo vera per essere dimenticata”: cosa ha fatto scattare la scintilla giusta con Avanzi?
Mi sono sentito ascoltato. Lorenzo (Avanzi) non ha mai cercato di impormi la sua visione sul brano. C’è stato uno scambio, e quando succede è la cosa più bella, perché è proprio quello che ha fatto brillare questo brano.
Non potrei essere più orgoglioso della scelta che ho fatto.
Che tipo di soddisfazione personale ti ha dato vedere finalmente Black Flower uscire allo scoperto dopo così tanto tempo?
La soddisfazione più grande è stata rompere finalmente quella chitarra, simbolo dell’ultimo legame con le mie radici, come se avessi trovato la pace dopo un percorso di fatica, sofferenza e delusione.
Rivedendo il video, mi sono accorto che ce l’avevo fatta: ho sconfitto quel demone che mi perseguitava da anni.
Mi ha riempito il cuore l’affetto ricevuto dalle persone che mi vogliono bene e mi sono state accanto durante la mia crescita artistica, sostenendomi senza voltarmi le spalle o giudicare le mie scelte, accogliendo questa canzone con orgoglio ed emozione.
Sono grato di aver stretto quei pochi rapporti che fanno bene all’anima, e non smetterò mai di emozionarmi per questo.
Ti puoi definire più libero, come artista e come persona, dopo questa pubblicazione?
Sono e sarò sempre un artista e, prima di tutto, una persona libera. Difenderò sempre con rispetto le mie idee e i miei valori, sperando di vivere un giorno in un mondo migliore.
Non c’è niente di più bello della libertà, e ognuno dovrebbe custodirla al meglio delle proprie possibilità.
C’è qualche luogo (fisico o simbolico) che consideri importante per presentare questa canzone al pubblico?
Se penso a “Black Flower” in termini visivi, mi viene in mente una stanza completamente bianca, incontaminata, con solo una macchina da scrivere e un letto di petali neri sul pavimento.
È un’immagine che mi trasmette pace, come se rappresentasse il momento esatto in cui si respira di nuovo, per la prima volta.
Ho voluto portare proprio questo immaginario nel videoclip: io, disteso su quei petali, in una sorta di sospensione emotiva. Ma credo che ognuno possa trovare il proprio luogo di rinascita ascoltando questa canzone.
Un luogo non contaminato dal passato, dove si può riscrivere tutto.
Perché sì, la storia si può riscrivere. Sempre.
Ti ringrazio per il tuo tempo e ti auguro in bocca al lupo per la promozione di Black Flower!
Grazie di cuore a voi, per il tempo, l’attenzione e le domande così profonde. Mi avete dato modo di raccontarmi con sincerità, e per me questo ha un grande valore. Un saluto affettuoso a tutti i lettori di Tuttorock: grazie per avermi ascoltato con gli occhi. Alla prossima.
SUSANNA ZANDONÀ

Better known as Violent Lullaby or "The Wildcat" a glam rock girl* with a bad attitude. Classe 1992, part-time waifu e giornalista** per passione. Nel tempo libero amo inventarmi strambi personaggi e cosplay, sperimentare in cucina, esplorare il mondo, guardare anime giapponesi drammatici, collezionare vinili a cavallo tra i '70 e gli '80 e dilettarmi a fare le spaccate sul basso elettrico (strumento di cui sono follemente innamorata). *=woman **=ex redattrice per Truemetal