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TORCHIO – Intervista al cantautore alessandrino che presenta il nuovo album

TORCHIO – Intervista al cantautore alessandrino che presenta il nuovo album

Ho avuto il piacere di fare una nuova chiacchierata con il cantautore Massimo Torchio, in arte Torchio, che ha pubblicato da poco, su etichetta Ohimeme, il nuovo album “Au Contraire”, scritto con Massimiliano Bocchio, con la produzione artistica di Luca Grossi.

Tutto giocato tra le ampie braccia del cantautorato italiano, il nuovo album dell’artista alessandrino si snoda su otto brani che rendono omaggio al passato ma non si fermano lì e proseguono oltre, raccontando le storie di oggi, a volte utilizzando poesie nate molto tempo fa.

Ciao e bentornato su Tuttorock, parliamo subito di questo tuo nuovo album solista, “Au Contraire”, che riscontri stai avendo sia dal punto di vista degli ascolti che da quello della critica?

Ciao Marco, bentrovati. I riscontri? C’è chi ascolta, chi scrive, e certamente chi si prende del tempo. E oggi è quasi rivoluzionario. La critica coglie e fa piacere, del resto non servirebbe a nulla giocare il ruolo dell’artista tormentato, non faccio musica soltanto per piacere e ammetto che è un buon modo per sopravvivere a me stesso, ma non pretendo certo di salvare l’umanità con una canzone e del linguaggio imperante e vincente me ne frego, faccio altro.

Com’è nato questo titolo?

“Au Contraire” è un colpo basso ai binari obbligati. È un modo elegante per dire: “No, grazie”. Viviamo in un mondo pieno di automatismi: pensare al contrario è un modo per non assopirsi. È un disco storto perché la vita è storta. Non lo immagino come sottofondo mentre si è concentrati a fare altro. Ci sono l'”Io” di “provo ribrezzo” e il “noi” di “Laila”, “gli amanti volanti” che forse precipitano o insieme si salvano e potrei stare qui a parlare per ore di tutto il resto. Poi, chiaramente, delle canzoni ognuno ne farà quel che gli pare.

Brani da me molto apprezzati in cui dai molta importanza ai testi senza trascurare la parte musicale, per proseguire quella storia infinita che si intitola “Il cantautorato italiano”. Ti capita di pensare all’importanza che avete voi protagonisti di questa storia?

Protagonisti? Nah. Sono uno che scrive canzoni con le mani sporche, tutto qui. Il cantautorato italiano ha partorito dei giganti e oggi spesso viene imitato male. Io tento di restare consapevole e spero credibile. Scrivo di quello che conosco, di quello che mi rode dentro. Se qualcuno ci vede continuità con quella tradizione, ok, ma non ci costruisco santuari sopra.

Sei riuscito a dar vita ad una splendida reinterpretazione di “Io Che Amo Solo Te” di Sergio Endrigo, in base a cosa hai scelto questo brano?

Perché è una canzone spietata nella sua dolcezza. Endrigo era punk senza saperlo: diceva tutto, con la propria voce e senza orpelli. Oggi siamo sommersi da dichiarazioni d’amore urlate, sovraprodotte, vuote. Lui sussurrava e ti apriva in due. Ho provato a rendergli omaggio senza tradirlo.

“Quella Vocina Di Merda”, un racconto breve che proviene dalla tua infanzia, come mai hai voluto inserirlo in questo disco?

Perché quella vocina è ancora lì, ogni giorno. E continua a rompermi le palle. L’ho infilata nel disco per mandarla a stendere. L’ironia è l’unico modo che ho per tenerla a bada. È un autoritratto con le cicatrici in bella vista.

“La Città Scollegata”, in questa versione con quartetto d’archi e soprano, è davvero suggestiva. Qual è il tuo rapporto con la tua città, Alessandria?

L’ Italia è un po’ tutta provincia e Alessandria è un posto che ti culla e ti strangola allo stesso tempo. Ti ci abitui e poi ti svegli una mattina e ti manca l’ossigeno ma la amo. È la provincia che si nasconde dietro le tende. Con “La Città Scollegata” ho provato a raccontare quella sensazione: essere lì, ma sentirsi altrove. Gli archi e il soprano? Per dare solennità a un disagio quotidiano. Una coltellata in smoking.

Hai già programmato qualche data estiva per presentare “Au Contraire”?

Abbiamo già fatto alcuni splendidi concerti anche con nove elementi sul palco in teatro ed in altri luoghi, godendoci il tutto esaurito. C’erano ad accompagnarmi il quartetto d’archi We.Ensemble, il duo di musica elettronica Ave Quasàr e altri validi musicisti. Ci sono stati anche numerosi show case e stiamo mettendo insieme ancora date. Posti veri, gente vera, sudore e parole in musica. Chi viene ai concerti lo sa: non è soltanto uno spettacolo, è uno scambio di ferite. Nessuna finzione. Ci si incontra.

Grazie mille per il tuo tempo, ti lascio piena libertà per chiudere questa intervista come preferisci.

Grazie a te Marco, grazie a voi di Tuttorock. Chiudo così: se vi aspettate la salvezza dalla musica, lasciate perdere. Ma se cercate uno specchio incrinato dove vedere qualcosa di vostro, allora ci possiamo parlare. E magari berci sopra qualcosa.

MARCO PRITONI