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TERRY BLUE – Intervista al duo svizzero italiano che presenta “Lakewoods” …

TERRY BLUE – Intervista al duo svizzero italiano che presenta “Lakewoods” …

In occasione dell’uscita del nuovo album “Lakewoods”, pubblicato dall’etichetta francese Another Music Records e distribuito da Believe, ho avuto il piacere di intervistare il duo svizzero italiano Terry Blue, composto da Leo Pusterla (voci, chitarre, synth e processing dal vivo), che ha risposto alle mie domande, ed Eleonora Gioveni (voci, synth).

Ciao e benvenuto su TuttoRock, parliamo subito di questo nuovo album, “Lakewoods”, che ho apprezzato molto, che riscontri state avendo?

Ciao! Grazie per questa bella occasione e per averci «ospitato» su TuttoRock. Siamo felicissimi di sapere che avete apprezzato il nostro ultimo lavoro Lakewoods, disco che ha superato le nostre aspettative in quanto a riscontri. Sicuramente aiutato dal tour europeo che ci vede impegnati mentre rispondiamo a queste domande, Lakewoods ci «preoccupava», in un certo senso, per il suo carattere stridente e forse poco canonico. Eppure, perlomeno in queste prime settimane, stiamo riscontrando ascolti notevoli e ne siamo estremamente felici, così come siamo felici dei ritorni che notiamo nelle rappresentazioni live del lavoro.

Il lago e i boschi di Lugano, in che modo questi elementi naturali hanno ispirato questo disco?

I boschi di lago hanno influenzato profondamente la stesura di questo disco: il concetto di fondo nasce da una conversazione con Olmo Cerri, regista svizzero che, in occasione della pubblicazione del suo ultimo film «La scomparsa di Bruno Bréguet», ci ha chiesto di comporre un brano per i titoli di coda del suo lavoro. Bruno Bréguet, personaggio incredibile, misterioso e controverso, arriva dagli stessi boschi di lago di fronte al quale sono cresciuto. Questi luoghi, di conseguenza, hanno assunto per me un significato allegorico e metafisico, quasi fossero spazi di pensiero e di espressione del nostro esistere (oltre che paesaggi, naturalmente), luoghi da cui si scappa e in cui si ritorna, nostro malgrado o per scelta, che diventano sensazioni ed espressione del mio e del nostro essere quotidiano, specchi di umana sofferenza e disillusione della giovane vita adulta.

La natura, trascurata e violentata per anni e ancora oggi dall’uomo, la musica può essere ancora un veicolo per risvegliare le coscienze delle persone?

È una domanda molto complessa ed interessante. Credo che sia sicuramente uno dei doveri sociali del gesto creativo quello di solleticare le coscienze, svegliarle- oggi più che mai- mi sembra ormai utopico. Detto questo credo che la forza motrice, almeno nel nostro caso, debba coincidere con la necessità sociale e politica di assumere una posizione. Non credo che una canzone, e sicuramente sto inconsciamente citando qualcuno (Dylan, in uno dei suoi innumerevoli cambi di rotta, diceva questo), possa e debba cambiare il mondo: forse credo che l’intento debba essere tuttavia sempre indirizzato al cambiamento, al risveglio, ancora una volta allo stridore: percepisco un profondo bisogno di analizzare attraverso la nostra musica ciò che ci circonda, di tradurre in qualche modo il mondo attraverso i suoni. E il mondo, oggi, è stridore e colori neri, ahimè, come possiamo leggere ogni giorno sui giornali o constatare nel ritorno, assediante, di mostri che pensavamo aver sotterrato tempo fa.

Solitamente partite prima dalla struttura musicale di un brano o dal testo?

Anche qui mi trovate in difficoltà… non sono mai riuscito ad identificare un modus operandi nel nostro percorso creativo: si tratta di una strana ed incomprensibile alchimia che vede spesso protagonisti molto diversi: a volte prima fu il testo, in altre occasioni un Groove di batteria, in altre ancora un riff. Credo che la diversità, o almeno spero di poterla chiamare così, di questo disco nasca in parte dalla sua genesi schizofrenica.

Quando e come nasce il vostro progetto?

Il progetto Terry Blue nasce nel 2013 a Lugano, inizialmente in una mia versione solista. Ci piace pensare ad un collettivo proprio a causa della forma mutevole che ha assunto nel corso degli anni, arrivando ad essere in 5 sul palco per diversi anni. Pur avvalendoci costantemente di collaborazioni esterne, anche in occasioni dal vivo, il centro siamo oggi io ed Eleonora, compositori principali di Lakewoods.

Quando e come, invece, vi siete avvicinati alla musica?

Abbiamo percorsi molto differenti, Eleonora ha studiato Jazz al conservatorio di Parma e si è avvicinata molto presto, in età infantile, al mondo della musica. Questo le ha permesso di costruire tutto un bagaglio di esperienze e nozioni che io ho invece costruito nella mia attività concertistica e nella mia pratica di produttore per Safe Port Production (nostra piccola etichetta e studio di registrazione a Lugano). Detto questo, sinceramente, prima dei 16 anni pensavo soltanto al calcio, ai campetti ed alle serate con gli amici. É stato un amore tardivo.

Il tuo lavoro nelle strutture sanitarie come ti ha cambiato sia a livello umano che spirituale?

Il mio lavoro come aiuto infermiere in Svizzera Francese è stato, sicuramente, ciò che di più formativo e allo stesso tempo distruttivo io abbia vissuto. Ha plagiato in maniera inequivocabile la mia visione del mondo, del circostante e delle persone. Credo che ancora oggi gran parte di ciò che scrivo, nei testi, sia profondamente legato alle esperienze – nel bene e nel male – che ho vissuto durante quegli anni. Oggi non saprei come gestire il carico emotivo e fisico di quegli anni, eppure risuonano in me costantemente ed in maniera estremamente imprevedibile e credo risuoneranno sempre, come un mantra.

Una volta finito il tour vi metterete al lavoro per creare nuovi brani o vi riposerete per un po’?

Dopo questo lungo tour, come ogni volta d’altro canto, si riparte da un vuoto, da ciò che resta! Abbiamo moltissimi progetti in cantiere nel nostro studio di registrazione, il più importante un disco di poesia musicata sull’ultimo libro di mio padre (Fabio Pusterla), un progetto a cui tengo immensamente.

Lakewoods ci ha «prosciugato», non escludiamo nulla ma credo che resterà «l’ultimo disco» per un po’. Ma come sempre è molto difficile prevedere ciò che succederà, specialmente in questo campo.

Grazie mille per il vostro tempo, vi lascio piena libertà per chiudere questa intervista come preferite.

Grazie a voi per queste splendide domande, è raro e, devo ammetterlo, piuttosto difficile rispondere a riflessioni di questo tipo: spesso è attraverso questi scambi che riusciamo a verbalizzare aspetti del nostro lavoro che forse, in fondo, neppure noi avevamo esplorato davvero. E trovo questo prezioso.

Grazie, a presto TuttoRock!

MARCO PRITONI