STEFANO D’ORAZIO – Intervista allo storico frontman dei Vernice


In occasione dell’uscita del nuovo singolo “Non lo so”, prodotto da Fabrizio Angeli e distribuito da Anteros Produzioni, ho avuto il piacere di intervistare Stefano D’Orazio, frontman dello storico gruppo italiano Vernice che ha riscosso notevole successo negli anni ’90 pubblicando tre album con Sony Music e i cui singoli sono stati fra i primi in classifica per due anni consecutivi (1993 – Il primo singolo estratto, “Scema”, fece da apripista alla hit estiva “Su e giù”), vendendo oltre 200.000 copie. Il terzo e ultimo album dei Vernice, uscito nel ’95, intitolato “Stefano D’Orazio”, lascia già intendere le ambizioni soliste del cantautore. Nello stesso anno, infatti, annuncia lo scioglimento della band a causa di vicende legali interne al gruppo.
Ciao Stefano e benvenuto su Tuttorock, parliamo subito di questo tuo nuovo singolo, “Non lo so”, da me apprezzatissimo, quando e com’è nato?
Ciao Marco! “Non lo so” fino all’ultimo è stato in battaglia con un altro singolo, questo però ha un beat anni 80, qualche suono anni 90, è un po’ psichedelico e un po’ punk. Al giorno d’oggi ti prendi una bella responsabilità a fare uscire un brano simile, però, se ti ricordi sono uscito con “Scema” a Castrocaro andando contro tutto e tutti, comunque sono fatto così, quindi ho scelto questo come primo singolo. Anni fa, la gente quando mi incontrava mi diceva “Vado su o vado giù”, adesso, invece, quando chiedo a qualcuno di uscire a cena, la risposta è spesso “Eh, non lo so”, quindi quel giochino che si ripete nel brano immagino che funzioni. Il testo parla di questa gente che vuole un aiuto da me, quando io, invece, cerco aiuto dagli altri. Non si convincono che io non sia in grado di aiutarli, certi proprio non li sopporto più. Poi c’è un’apertura e ci sono anche questa chitarra suonata in maniera punk con la pennata in giù e il basso distorto, ho pensato che, anche se è difficile, se qualche radio di quelle grandi avesse trasmesso questo brano, sarebbe potuto diventare un tormentone. Voglio anche dire che si tratta dell’unico brano del disco con la batteria elettronica. Immagino i ragazzi in spiaggia che cantano quel ritornello lì, anche se, non avendo più una multinazionale alle spalle faccio più fatica a far emergere un mio brano ma non è che per questo adesso mi metto a cambiare musica o carattere all’età che ho per far contenti quelli che ti vogliono tagliare un brano.
Un singolo che anticipa appunto il tuo prossimo album, “I grandi sogni”, che uscirà quando?
Pubblicherò un altro singolo e l’album uscirà a dicembre. Avrei voluto uscire prima col disco ma, di questi tempi, con i social, dopo 20 giorni l’avrei già bruciato. Oggi sono cambiate le cose e manca quel gusto dell’attesa.
Eh già, ne so qualcosa, anch’io nel mio piccolo ho pubblicato un EP da pianista autodidatta, è musica solo strumentale eh!
Eh, dici poco! Oramai tutti non fanno altro che parlare senza sapere che cazzo stanno a dì (ride – ndr). Per ascoltare un po’ di musica senza parole devo andare a riprendermi i dischi dei Pink Floyd che facevano le introduzioni di venti minuti.
Che disco sarà?
Nel disco ci saranno dieci brani nuovi più un altro inedito che è lì fermo dal 1993 che ho tenuto lì e l’abbiamo rimasterizzato, si tratta di un pezzo che ti fa subito ritornare a quegli anni.
Il titolo, “I grandi sogni”, tu hai raggiunto tutti i tuoi grandi sogni da artista?
Guarda, uno cerca di realizzare i sogni e, più grande il sogno, più è irrealizzabile, è come se tu avessi un obiettivo da raggiungere e se lo vuoi raggiungere, ti devi comportare in una maniera precisa. Se il fatto di inseguire un grande sogno ti porta a fare delle cose brutte, allora non va bene. I sogni si raggiungono con tanto sacrificio, tanta dedizione, avvenimenti che ti fanno male. Io, nella mia carriera di artista, ho sempre portato su le cose e qualcuno incattivito ogni volta mi ha fatto del male, con tanto di avvocati e cause. I grandi sogni sono quelli dei bambini, loro fanno sogni che migliorano il mondo. Dobbiamo tornare a quei sogni, ad un mondo fatto in un’altra maniera, alle persone belle che vengono premiate, quello è il sogno che dovremmo realizzare, quello è il grande sogno, quello che, veramente, se si dovesse avverare, è stato fatto per noi e per tutti gli altri.
L’esperienza con i Vernice quanto ha influito sul tuo pensiero sull’amicizia?
Nel caso dei Vernice c’è stato un vero e proprio accanimento, avevo un contratto davanti che Claudio Cecchetto voleva fare solo con me, non perché lui è cattivo ma sai che, in Italia, quando c’è una band con un leader assoluto, degli altri qualcuno si accontenta, qualcun altro invece comincia a rompere le scatole. La fama diventò grande, le interviste le facevo io, da Maurizio Costanzo andavo io, la gente riconosceva me, qualcuno l’ha digerita, tanto è vero che il bassista e il tastierista suonano spesso ancora con me, altri no e si sono accaniti contro me non so per quale motivo. Quando Cecchetto mi fece quella proposta, io dissi “Guarda, o tutti insieme o nessuno”, lui ci convocò e disse agli altri: “Guardate che Stefano ha rischiato che non facessi nessun contratto”. Mi disse anche: “Speriamo che tu non ti debba pentire di questa scelta, al primo problema vi mollo”, e gli altri: “Ma figurati, siamo cresciuti insieme, non succederà nulla”. Al primo problema Claudio ci perdonò, al secondo no, tanto è vero che siamo finiti in tribunale con tanto di dischi sequestrati, nel mentre sono andati avanti non accettando alcuna mediazione, finendo per rovinare sia me che loro stessi perché nessuno ha guadagnato nulla da questa storia. Non cambio idea sull’amicizia, dico solo che quelle non erano persone adatte ad essere mie amiche e che, se non dovessi più credere nell’amicizia, andrei sul ponte qui ad Ariccia e mi butterei di sotto. Senza un amico vero non voglio nemmeno vivere, sto un attimino più attento, quello sì.
A proposito di amicizia, raccontami un po’ di quelle con Vasco, Cecchetto, Fiorello.
Ogni tanto, per un motivo o per un altro, li sento, capita anche che, a volte, io mi trovi in un posto dove anche loro sono lì per caso. Io sono fatto così, quando ho avuto bisogno di risalire, quando ero stato massacrato e in seguito ho passato tanti anni di depressione perché, quando tu ti sforzi di fare le cose, le realizzi e riescono fuori gli stessi problemi e finisci sempre più giù, non li ho cercati. Certe cose poi accadono solo in Italia, sai, molti dicevano “Bravo bravo, bello il pezzo” poi il brano non lo passavano perché non sapevano come fossimo messi con le cause. Quando ti denunciano finisci su tutti i giornali, quando vinci una causa, invece, scrivono un trafiletto che manco i giornalisti stessi leggono… Nel momento del bisogno, quando avrei dovuto cercare molto di più queste persone, ho ragionato al contrario di quel che si dovrebbe fare, pensavo: “Non le chiamo perché pensano che io le cerchi per avere un aiuto per qualche cosa”, e se fosse davvero successo così ci sarei rimasto malissimo. Ho cercato di non rompere le scatole a nessuno, se non per fare una chiacchierata. Si è quindi rallentata la situazione che spero possa ritornare quando le cose saranno più stabili.
Tornando a parlare di musica, quando hai pensato di fare una carriera in questo ambito?
Fino a 20 anni facevo musica ma non mi accorgevo che avrei potuto fare di lei un mestiere, la facevo perché mi piaceva. A differenza di altri che facevano e fanno ancora cover, io andavo in giro facendo musica scritta da me, con il rischio che nessuno mi ascoltasse. Mi sono invece accorto di avere un pubblico, è una magia successa non so perché, quando mi esibivo qui nei dintorni dei castelli romani c’erano persone che mi seguivano alle quali poi si aggiungevano quelle del posto. Questa cosa è nata senza programmazione, tanto è vero che facevo firmare i miei brani ad altre persone, pensa che alcune di quelle non hanno messo né una parola né una nota e manco mi hanno fatto da ispirazione, prendevo tutto come un gioco. Poi, andando a Castrocaro, in cui dicevo una parola, stronza, che oggi sarebbe una parola dolce visto quello che dicono tanti altri, hanno parlato più di me che di quelli che hanno vinto. Da lì, Claudio Cecchetto, che non è una persona stupida, capì che facevo tenerezza ma allo stesso tempo mettevo paura, ero cattivo ma ero anche buono, ero particolare ma ero una persona normalissima, lui aveva capito che piacevo a tutti, dai ragazzini agli anziani, mi ha quindi convinto che avrei potuto trasformare la musica in un mestiere. Avendo poi dei fratelli più grandi, uno in particolare che purtroppo oggi non c’è più, ascoltavo molta musica rock, i The Doors, i Rolling Stones, lui mi portava ai concerti, sono cresciuto con quel tipo di musica che non ho mai lasciato, infatti faccio fatica ad adeguarmi a questi tempi in cui tutto è impacchettato e deve durare poco, io cerco di adattarmi poi però esce fuori quella roba là. Ad esempio, c’è un brano nell’album che parte un po’ reggaeggiante, si muove bene poi, ad un certo punto, mi rompo ed esce fuori un rock con una chitarra violenta che ti fa dire: “Chi c’è, Jimi Hendrix?” (ride – ndr).
A proposito di canzoni che hai scritto, c’è un brano che reputo uno dei migliori dell’intera discografia italiana, ovvero “Solo un brivido”, mi puoi raccontare com’è nato?
Mi ricordo esattamente che in quel periodo abitavo a Ferrara anche se io sono di Ariccia, in provincia di Roma, e con il mio manager dovevamo andare da Savignano sul Rubicone, in Romagna, a Roma a prendere delle mie cose per poi tornare a Bologna. La scusa era quella di vedere la mia ragazza, quella del mio brano “La ragazza dei sogni”. Ero contento, stavo con lei da tanto tempo, mi faceva stare bene e il successo non aveva cambiato il mio sentimento. Solitamente, anche dopo i concerti, guidavo io stesso la mia BMW perché avevo paura che gli altri si addormentassero, quella volta, invece, tornando da Roma verso Bologna, mi sono seduto dietro con una chitarra acustica e, a quel punto, strimpellando mi è venuto fuori quel giro di chitarra molto ripetitivo. Alla fine, a Firenze avevo metà canzone e a Bologna l’avevo scritta per intero. Sarà stata la ragazza dei sogni? Sarà stato quel momento? Sarà stato che quel brivido che volevo è arrivato perché avevo incontrato la mia donna? Chissà, fatto sta che il giro si è sposato subito con le parole e sembra tutto fatto apposta per stare insieme. Ai concerti piangono ancora quando canto quel brano.
Un brano che non fu, inspiegabilmente, accettato al Festival di Sanremo, come hai reagito a quell’esclusione?
Sai, in quel periodo c’era Pippo Baudo che non era molto in sintonia con la troupe di Cecchetto. Quel brano fece il Festivalbar ma non era adatto all’estate, è molto più adatto ad altri periodi. Se fosse uscito a Sanremo, a febbraio, sarebbe diventato un evergreen, resta comunque il mio brano più conosciuto.
Una domanda secca prima di chiudere, cosa significa la musica per te?
Ho sempre pensato, e mi è successo, di poter rimanere solo, però c’è sempre la mia amica musica che non mi lascerà mai, c’è sempre la mia chitarra con la quale scrivo le canzoni, loro non si rifiuteranno mai di cercare di farmi stare bene. Non c’è una spiegazione, è un po’ come dire: “Cos’è per te il tuo cuore che batte? Cos’è la tua anima?”. La musica ha sventato guerre, ha cavalcato di tutto, la musica è la colonna sonora delle cose e delle persone, più brutta è la musica e più brutte sono le persone. Se tu mi fai le cose campionate io non le posso definire musica, le posso accettare in minima parte, se tu ti metti dentro casa con il tuo computer e mi fai una chitarra elettrica, tu la chiami musica, io la chiamo merda. Per me la musica parte dal fatto che uno suona.
Grazie mille per il tuo tempo, ti lascio piena libertà per chiudere questa intervista come preferisci.
Grazie a te Marco, chiacchierare così, senza dover stare nei tempi, è da paura.
MARCO PRITONI
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Sono nato ad Imola nel 1979, la musica ha iniziato a far parte della mia vita da subito, grazie ai miei genitori che ascoltavano veramente di tutto. Appassionato anche di sport (da spettatore, non da praticante), suono il piano, il basso e la chitarra, scrivo report e recensioni e faccio interviste ad artisti italiani ed internazionali per Tuttorock per cui ho iniziato a collaborare grazie ad un incontro fortuito con Maurizio Donini durante un concerto.