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ROBERTO ANGELINI – Intervista al cantautore e chitarrista romano

ROBERTO ANGELINI – Intervista al cantautore e chitarrista romano

In occasione dell’uscita del nuovo singolo “Condor”, ho avuto il piacere di intervistare il cantautore e chitarrista romano Roberto Angelini. Classe ‘75 fa il suo esordio come cantautore nel 2001 con l’album “Il Signor Domani” (Virgin), partecipa a Sanremo Giovani nello stesso anno con l’omonimo brano e si aggiudica il Premio della Critica “Mia Martini”. Nel 2003 pubblica l’album “Angelini” (EMI) che contiene le hit “GattoMatto” e “La Gioia del Risveglio”. Questo disco, molto più pop del precedente, lo fa conoscere al grande pubblico. Da lì a poco sente l’esigenza di tornare alle origini: rompe il contratto con la EMI e fonda una sua etichetta indipendente (FioriRari). Pubblicherà con la FioriRari due dischi a suo nome, “La Vista Concessa” (2009) e “Phineas Gage” (2011). Nel frattempo riprende con più interesse l’attività di musicista diventando molto richiesto per il suo personale modo di suonare la lapsteel (Niccolò Fabi, Daniele Silvestri, Max Gazzè, Planet Funk, Fabrizio Moro, Emma Marrone, Orchestraccia). Nascono vari progetti paralleli. I più fortunati e longevi sono “Discoverland”, duo fondato con il cantautore Pier Cortese che si diverte a reinterpretare e miscelare brani del passato e del presente, e un duo nato insieme al violinista Rodrigo D’Erasmo per celebrare e divulgare un artista cult come Nick Drake. Da qui prenderà vita un disco, “Pong Moon”, che darà origine a una moltitudine di eventi e collegamenti che perdurano ancora oggi (ad esempio il documentario “Songs in a conversation” diretto da Giorgio Testi, presentato nel settembre 2019 al Festival del Cinema di Roma e tuttora in programmazione su Sky Arte). Come produttore fa muovere i primi passi nella discografia ad artisti come Margherita Vicario, Andrea Rivera e Luca Carocci. Firma come co-produttore il fortunato e pluripremiato album di Niccolò Fabi “Tradizione e Tradimento” (2019), partecipando anche al lungo tour di presentazione del disco, come membro stabile della band. Come autore scrive il brano “Calore” che lancia, con la vittoria di “Amici” nel 2010 la carriera di Emma Marrone. Dal 2013 consacra la sua popolarità al fianco di Diego “Zoro” Bianchi, dapprima su Rai3 con la trasmissione “Gazebo” poi su La7 con “Propaganda Live”. Attualmente è al lavoro per ultimare il suo quinto disco da cantautore, in uscita nel 2021 per l’etichetta FioriRari e anticipato dal brano “Incognita” e dal singolo “Condor”.

Ciao Roberto, benvenuto su Tuttorock, come va?

Ciao Marco. Sto bene perché mi ritengo molto fortunato, sono uno dei pochi che non ha smesso di lavorare, di suonare, di girare in questo anno assurdo.

Parlami un po’ del tuo nuovo singolo “Condor” uscito lo scorso 12 febbraio, che riscontri stai avendo?

Ho avuto degli abbracci virtuali. Erano quasi 10 anni che non facevo uscire qualcosa a mio nome e sono emozionato come un ragazzino ogni volta che esce un progetto totalmente mio. Mi ero organizzato da un paio di anni per uscire con qualcosa di nuovo in questo periodo. “Condor” esce in mezzo ai mille deliri che stanno accadendo a Propaganda, la trasmissione di cui faccio parte ormai da molti anni. Uno di questi deliri è “Shock, bæcouss”, una cazzata che ho fatto in cinque minuti che poi è diventata virale, non vorrei mai che si pensasse che “Condor” si sia appoggiato ad essa per la sua promozione, è un singolo che era previsto e che anticiperà un album che verrà pubblicato quando sarà possibile tornare a suonare dal vivo perché, a mio avviso, è inutile uscire con un disco 8 mesi prima del tour, poi risulterebbe vecchio.

Sei partito prima da un arpeggio di chitarra o dal testo?

Al 99,9% delle volte in questi 25 anni sono sempre partito da un giro di chitarra che è lo stimolo, la scintilla iniziale che mi ossessiona a volte per giorni, a volte per mesi, altre volte addirittura per anni. Il giro di chitarra di “Condor” l’avevo in mente da anni, l’ho suonato centinaia di volte nelle jam session, poi, piano piano, canticchiandoci sopra è uscita una frase che ha dato il via a tutto il resto del testo, di solito a me succede così.

Un brano dal sound blues, un genere che ha formato tantissimi chitarristi. Per diventare un ottimo chitarrista bisogna passare dal blues?

Penso che, se vuoi parlare italiano, in qualche modo devi imparare un vocabolario. Per un chitarrista, non conoscere il linguaggio blues sarebbe come non conoscere le basi del linguaggio della musica, una cosa assurda. Il blues è un qualcosa a cui ti puoi avvicinare dopo, all’inizio magari sei appassionato di altri generi musicali ma, escludendo il percorso classico, qualunque altro genere è figlio del linguaggio blues. Lo ritengo il soggetto, il predicato verbale, il complemento oggetto, insomma, la base per un chitarrista. La sfida ambiziosa e affascinante è quella di scrivere qualcosa che abbia a che fare col blues in italiano. La lingua italiana è una lingua meravigliosa ma non sempre si appoggia bene sul mood del blues, non a caso, uno dei più grandi a portare il blues in Italia è stato Pino Daniele, però lui l’ha portato in napoletano, e il napoletano ha delle troncature che si avvicinano molto all’inglese. Nel mio piccolo, ho voluto dare il mio contributo al blues in lingua italiana con “Condor”.

All’interno del brano c’è un omaggio a tuo nonno con la frase “Mio nonno Alberto guariva con le mani”, è inteso in senso letterale?

Sì, proprio così. Dato che nella canzone si enuncia una serie di atteggiamenti necessari per vivere intensamente una delle cose fondamentali per riuscire a vivere la propria vita in maniera intensa è quella di dar retta ai segnali che ti arrivano, essere in qualche modo attento alle cose che ti succedono, la frase è sbucata da sola e mi rende felice nominare mio nonno in una mia canzone. Era un personaggio molto particolare, era un pranoterapeuta e quando i miei mi lasciavano dai nonni c’era la fila di persone sotto casa che andavano da lui per farsi ipnotizzare e guarire con le mani.

L’idea del video invece di chi è stata?

L’idea del video è stata di Francesco Cabras e Alberto Molinari, sono due amici registi amici da tanti anni. Quando hanno ascoltato il brano hanno voluto puntare sulla Basilicata a livello di scenari. Io adoro la Basilicata, sono legato a quella regione anche affettivamente, quindi mi hanno trovato subito d’accordo con loro, poi siamo finiti a dormire 5 giorni a Colobraro, il paese della magia, quindi siamo stati guidati da qualcosa nel girare questo video. Secondo me da qualcosa di più alla canzone, e questa è una cosa rara. Francesco e Alberto hanno voluto rappresentare la storia d’amore tra un’ornitologa e questa sorta di condor che non riesce bene a volare e che alla fine lascia le ali. Mi piace l’ironia del video che da una lettura ancora più ironica alla canzone stessa. Fare un videoclip, per un musicista, è sempre un momento difficile perché tante volte non si riesce a raccontare bene la canzone. Inoltre erano 10 anni o anche di più che non mi si vedeva in un video perché per anni, essendo io appassionato di animazione in tutte le sue forme, ho sempre collaborato con registi che lavoravano in quel senso.

A volte alcuni artisti puntano troppo sul video e la canzone poi passa in secondo piano…

Ecco, noi questo problema non l’abbiamo proprio, a livello di budget non abbiamo modo di caricare il video a tal punto da far passare in secondo piano la canzone (ride – ndr).

10 anni dall’ultimo album ma di cose nella musica ne hai fatte tantissime. Come mai hai atteso così tanto, è sintomo della tua libertà artistica?

Questi 10 anni sono volati, la mia grande fortuna è stata quella di capire, subito dopo l’esperienza più mainstream che mi sia capitata nella mia carriera, ovvero “Gattomatto” nel 2003, che quel mondo lì non mi avrebbe fatto stare bene. Sono ripartito quasi da zero, piano piano, ricostruendo mattoncino dopo mattoncino una strada musicale che assomigliasse di più a quello che avrei voluto fare fin da quando ero bambino. Volevo fare il musicista, il musicista non è una cosa a senso unico, la musica è comunicazione, collaborazione, crescita, curiosità, è una cosa a 360 gradi. Secondo me un musicista cresce ancora di più quando partecipa a progetti di altri o quando sposta l’asse e il suo punto di vista. In questi 10 anni mi sono successe talmente tante cose, ho lavorato con talmente tante persone, in ruoli completamente diversi, da chitarrista lap steel a produttore, da autore a improvvisatore in un programma televisivo. Ognuna di queste cose ha arricchito l’altra, mi ero intanto reso conto di avere 9 o 10 canzoni nel cassetto e che era il momento giusto per farle uscire. Non sono stato ossessionato dal dover uscire con un mio progetto ma mi sono lasciato trasportare dalle onde di questi anni dove mi sono successe mille cose musicali, e penso che la musica vada vissuta in questa maniera.

Quindi il tormentone “Gattomatto” lo vedi come un’esperienza che ti ha fatto capire cosa sarebbe poi stato meglio per te in futuro?

Assolutamente sì, “Gattomatto” mi ha svelato tutto quello che avevo desiderato fino a quel momento. Quando uno inizia un percorso musicale ci sono delle aspettative, dei desideri, dei sogni, che penso siano giusti ad una certa età. Quelle cose però si sono rivelate diverse da come le avevo immaginate, anche se ho un bellissimo ricordo di quel periodo e ho fatto pace con “Gattomatto”. Quel tipo di successo mi ha fatto capire che non avrei voluto essere una popstar o un tronista di Maria De Filippi e che avrei preferito continuare a suonare. Quel percorso non ti porta solo a suonare ma ti porta ad avere un altro tipo di priorità, che è quello di fare dei successi. Fare successi potrebbe essere una prigione infinita e, grazie a Dio, all’epoca ho avuto l’intuizione di non proseguire in quel modo, sarebbe stata una frustrazione continua inseguire continuamente un successo maggiore di quello precedente. Preferisco avere l’equilibrio imperfetto che ho oggi, dico imperfetto perché la perfezione non esiste, il mio è un fantastico equilibrio in cui posso essere me stesso, fare la mia musica, avere un successo per così dire sostenibile.

Tra l’altro tu, prima di “Gattomatto” avevi presentato a Sanremo la bellissima “Il Sig. Domani” e c’è un altro tuo brano che adoro, che è “Fino a qui tutto bene”.

Ti ringrazio, voglio un sacco di bene a “Fino a qui tutto bene”, penso sia tra le cose migliori che mi siano uscite, ogni volta che la suono è un pezzo che mi emoziona tantissimo. Puoi capire l’assurdità del mio percorso, sono partito, come dicevi tu, da “Il Sig. Domani”, che era molto simile a quello che faccio oggi, “Gattomatto” è stato uno spartiacque, non ho rimpianti, è andata così, mi sono permesso il viaggio in quel mondo di successo costruito da quella canzone e quel disco, lì ho capito molte cose. Almeno so che cosa vuol dire quel tipo di vita e non la inseguo più, mi sono tolto subito quello sfizio.

A livello umano e artistico, la collaborazione con Niccolò Fabi quanto ti ha arricchito?

Mi ha arricchito tantissimo, a parte che lo conosco da anni, eravamo colleghi in Virgin nel 1999, quando io firmai con quell’etichetta lui era uno degli artisti di punta, la mia grande gioia era che Ben Harper era l’artista di punta straniero, mi sentivo davvero fortunato. A prescindere da questo, quando poi ci siamo incontrati di nuovo negli anni, lavorare con lui prima come chitarrista è stata una bellissima esperienza, poi abbiamo suonato tanto insieme, e poter suonare a fianco di un grande cantautore come lui, poter essere libero, mi ha fatto passare degli anni molto intensi. Poi, le nostre vite hanno avuto un periodo molto difficile e abbiamo vissuto tutti insieme questa cosa che ha creato un legame molto profondo tra noi. Quando poi Niccolò ha chiesto a me e a Pier Cortese di lavorare alla produzione del suo ultimo disco “Tradizione e tradimento”, l’ho vista come un’enorme possibilità, ovvero entrare nella tessitura delle sue canzoni. Suonare con lui mi ha fatto capire una cosa, suonare con lui è come stare in una squadra, è un po’ come stare sulla fascia, questo ha un fascino incredibile, sei fondamentale perché devi servire dei palloni importanti al centro alla punta, che in questo caso è Niccolò Fabi, e la punta è un mestiere difficile. Quando a me capita di suonare al fianco di qualcuno come lui sono contento quasi di più di quando faccio cose mie, non guardo quel qualcuno con invidia ma adoro dare il mio contributo alla squadra.

Infatti questo si percepiva al concerto al Teatro Europauditorium di Bologna del gennaio del 2020.

Mi fa molto piacere! Questa cosa è diffusa in quella generazione a Roma e non è molto diversa dal mondo di Gazzè e Silvestri, è un lascito molto importante che potrebbe aiutare le nuove generazioni. In tour hai la tua famiglia, i tuoi amici, deve essere un piacere suonare, non un obbligo.

C’è qualcosa nel mondo della musica e della cultura in generale che non hai ancora fatto e che ti piacerebbe fare?

Sono in un ottimo equilibrio ma sempre curioso di nuove esperienze, ho i miei cassettini con dentro qualche sogno. Le cose accadono, mentre stai facendo una cosa si apre un altro quadro. Avevamo in progetto una cosa bellissima con Niccolò e Pier, un tour, solo noi tre, in giro per l’Europa. Purtroppo, a causa della pandemia, è stato annullato. Un musicista italiano conosce ogni provincia, si ricorda di ogni cosa della nostra bellissima Italia ma è sempre difficile andare fuori dai confini, e questo è uno dei miei sogni, girare, confrontarmi con altre culture, imparare nuovi strumenti, cercare nuovi suoni, visitare musei, pensare di continuare a crescere musicalmente. Più vai avanti e più ti rendi conto di quante cose puoi imparare.

Tornando a “Condor”, che fa seguito all’altro singolo “Incognita”, ci saranno altri singoli in uscita prossimamente o aspettiamo direttamente l’album?

Dipenderà dai DPCM (ride – ndr) ma penso che ancora uno o due singoli usciranno prima dell’album completo. Insomma, ho un paio di cartucce prima di settembre/ottobre, vedremo come andranno le cose.

Immagino tu sia poco amico dei concerti in streaming…

Chi è amico dei concerti in streaming? Non sono proprio il massimo. Ti devo però dire che ho fatto alcune cose in streaming e mi hanno stupito, le ho trovate più emozionanti di quanto mi sarei aspettato. Quando fai una cosa di questo tipo hai uno schermo davanti con una messaggistica che scorre continuamente, è una cosa che crea un’empatia un po’ diversa da quella del live vero e proprio.

Hai parlato prima della chitarra lap steel, sei uno dei pochi musicisti in Italia che la utilizza, quando ti sei avvicinato per la prima volta a quello strumento?

Direi una quindicina di anni fa, c’è un piccolo negozio di chitarre vintage a Trastevere, qui a Roma, io andavo sempre lì a provare le chitarre, raramente ne compravo una perché avevano prezzi mostruosi, ero diventato amico del proprietario e un giorno, lui, spacciatore di cose belle, tirò fuori da sotto il bancone una custodia gialla, vecchia, degli anni 50, e dentro c’era una lap steel Gibson dei primi anni 50. Mi chiese: “La vuoi?”, accettai, la portai a casa e da lì è iniziato un viaggio assurdo, inaspettato, incredibile, grazie ai suoni che questa chitarra può produrre, molto diversi dai suoni blues, country, hawaiani tipici della lap steel. Il problema iniziale per me nel suonare quel tipo di strumento l’ho avuto con l’intonazione, è un po’ come avere in mano un violino e all’inizio fai scappare tutti quelli che hai intorno, fai delle note che sembrano provenire da gatti che piangono, io però avevo un paio di pedali, uno del volume e uno strano delay, e ho trovato un combo tra chitarra e pedali che mi ha permesso di trovare un suono che mi ha portato a suonare e collaborare con chiunque, quella è stata una grandissima fortuna.

Grazie mille per il tuo tempo Roberto, a presto!

Figurati, grazie a te, è stato un piacere, ciao!

MARCO PRITONI