Peppino: “Fatto così” è la genesi di un cantautore (falsamente) semplice


In occasione dell’uscita di “Fatto Così” abbiamo intervistato Peppino, cantautore calabrese indie-pendente
Ciao Peppino e benvenuto tra le pagine virtuali di Tuttorock. “Fatto Così” è un titolo che suona come un’ autodefinizione. Spesso dietro a questo tipo di frase si cela una scusante che comunica una chiusura di fronte ad un eventuale cambiamento. Ma nel tuo caso è veramente così? Mi puoi spiegare meglio cosa significa per te questa espressione?
Ciao, molto piacere! Vedo che avete assunto una brava analista per farmi le domande… molto bene! “Fatto così” è una dichiarazione semplice e diretta. Hai centrato un tema fondamentale presente spesso in quello che scrivo. Infatti, la chiusura di fronte ai cambiamenti è qualcosa che fa parte della mia vita e della mia musica — ma non è una scusante. È piuttosto un’amara consapevolezza di quanto io sia pieno di contraddizioni. Contraddizioni senza le quali non sarei “fatto così”, e senza le quali, forse, non avrei nulla da raccontare.
Nel brano che dà il titolo all’ EP tendi a “spersonalizzarti”: immagini di essere un oggetto (che preferisci alle persone), prima sei una sedia, poi una carta, uno scoglio, addirittura un sapone… tutte immagini piuttosto sfuggenti, inafferrabili. Arrivi addirittura ad affermare con leggerezza di voler essere “niente”, quindi una “non-cosa”, qualcosa di poco conto, forse trascurabile. Lo considero veramente un modo perfido e spietato di autodefinirsi! Tuttavia poi di fatto tu “sfati” ognuna di queste visioni e le annulli, trovando il rovescio della medaglia. Mi viene da sorridere, perchè sembra che tu ti faccia la domanda e ti dia la risposta. “Forse questo? No, questo no…”. Il tuo pensiero è sicuramente criptico, mi interesserebbe capirlo meglio.
La mia non è un’autodefinizione, ma nasce da un ragionamento per assurdo, che è il leitmotiv del brano.
Nonostante il genere umano sia, in fondo, il più fragile, la medaglia si rovescia nel momento in cui il soggetto prende consapevolezza che vivere senza emozioni — essere come un sasso — significa condurre una vita statica, piatta, senza profondità. Ed è proprio questo il vero rovescio della medaglia.
Amo partire da ragionamenti per assurdo, perché mi aiutano a cercare più domande, o magari anche più risposte.
La tua è una accettazione o una rassegnazione? Da notarsi come entrambe le parole prevedano un’azione…
Il mio è sarcasmo. È chiaro che nemmeno gli oggetti possono godere della musica o dell’amore. Non faccio altro che sottolineare quanto la condizione umana sia fragile e dipenda sempre da qualcosa o da qualcuno.
Gli oggetti, invece, sembrano indipendenti: non hanno bisogno di nessuno.
In sintesi, il tema centrale del brano “Fatto così” è proprio l’insoddisfazione.
È una visione un po’ pessimista, lo ammetto… ma dopotutto, da un apprezzatore di Montale non ci si poteva aspettare altro.
Le occasioni mancate, il rimpianto e la nostalgia sono il fulcro centrale anche di “Io e Cali” (che in una certa dose mi fa pensare a Sting), mi racconti la genesi della traccia?
Ti ringrazio per Sting, sei troppo buona. “Io e Cali” è un brano che ho scritto appena arrivato a Roma, ormai 12 anni fa.
Cali è il mio caro amico d’infanzia, Marco — detto Calimero — con cui, beh… si capisce dalla canzone, ne abbiamo combinate un po’.
Quando sei da solo in una città metropolitana, che sia Roma o Milano, ti ritrovi spesso a rimuginare sul passato, sugli affetti, su ciò che ti ha cambiato. Ripensi a come il tempo, in generale, ci costringa prima o poi a fare i conti con le nostre aspettative: Marco doveva insegnare all’università. Io, scalare le classifiche musicali.
È pensando a questo che è nato il riff iniziale di chitarra, e poi quelle voci che entrano quasi come un mantra: “Io e Cali, io e Cali…”
Quale è la ragione per cui per questo EP hai scelto di pubblicare proprio: “Musica in testa”, “Io e cali”, “Fatto così” e “Le parole fra le mani”?
Volevo mettere insieme quattro tracce di matrice diversa: non desideravo che il mio primo lavoro fosse un concept album.
L’idea era piuttosto quella di creare una sorta di dépliant, qualcosa che mostrasse tutto quello che posso offrire, ma senza entrare troppo nello specifico.
Il prossimo progetto, invece — in uscita a dicembre — sarà completamente diverso. Affronterà il tema del multiverso, e non vedo davvero l’ora di farlo ascoltare.
Parli del concetto di semplicità come valore aggiunto. Tuttavia io obietterei che la musica che realizzi è tutto fuorchè “semplice”, ad esempio impieghi vocalizzazioni o “scat”, c’è una vena blues, influenze più jazzistiche, trovi addirittura degli spazi per fare un rap improvvisato e gli stessi concetti che tratti mi sembrano molto filosofici e degni di approfondimento. Ti consideri veramente “semplice” ?
Quando mi definisco semplice, intendo dire che il mio stile punta alla semplicità e all’immediatezza. Cerco sempre di rendere i ritornelli orecchiabili e i riff riconoscibili.
Ma questo, paradossalmente, non è affatto semplice: richiede tanto lavoro, attenzione e dedizione. Fatto così, e anche il prossimo lavoro, sono concepiti con un’ottica pop. Essere pop, per me, non significa solo fare la hit: vuol dire ricercare continuamente uno stile che sia accessibile ma mai scontato. E oggi questo non è facile, vista la quantità di materiale nuovo che esce ogni giorno e con cui inevitabilmente ci si confronta.
Per quanto riguarda lo stile di scrittura, cerco di usare parole semplici per esprimere concetti profondi. Anche questo richiede inventiva… e una buona dose di coraggio.
Il sassofono è stato il tuo primo strumento: che ruolo ha oggi nella tua musica?
Ho usato il sax in un solo brano, pubblicato due anni fa: Tu sì che vali.
Amo tantissimo questo strumento, ma non ho ancora trovato una forma o un suono che si integrino davvero bene con le canzoni che ho scritto finora.
Il sax, nel pop, va dosato con attenzione, e sinceramente non credo di aver ancora trovato le “dosi” giuste.
Detto questo, non è escluso che possa comparire nel prossimo lavoro.
Continua a essere parte della mia quotidianità: lo suono ogni giorno, e questa pratica mi aiuta tantissimo nel trovare linee melodiche interessanti, che poi spesso finisco per cantare.
Mi dispiace non poterlo utilizzare più spesso nei brani, ma resta comunque uno strumento fondamentale nella fase creativa, soprattutto nella costruzione delle melodie.
Il sax è uno strumento che “canta”. Ti ha influenzato anche nella tua vocalità e nel modo in cui interpreti i testi?
Per quanto riguarda i testi, ho un mio modus operandi in cui il sax non è direttamente coinvolto. Tuttavia, ha influenzato profondamente la mia vocalità. Quando studi i temi di Coltrane o Parker, o ti ritrovi a improvvisare su uno standard, finisci inevitabilmente per cantare quelle note.
È un allenamento prezioso, non solo per la voce, ma anche per sviluppare sensibilità e buongusto musicale.
In sintesi, anche se non sempre presente negli arrangiamenti, il sax continua a vivere nelle melodie che scrivo e in quelle che canto.
Dove potremo incontrarti a breve?
Spero di riuscire a partecipare al Color Fest in Calabria, a Lamezia Terme. Ci sono artisti che stimo molto, come Lucio Corsi, Giorgio Poi e Marco Castello.
Speriamo vada bene, ma nel caso, farò volentieri da pubblico.
In bocca al lupo per la promozione del tuo EP “Fatto così”!
Grazie mille, a presto!
SUSANNA ZANDONÁ

Better known as Violent Lullaby or "The Wildcat" a glam rock girl* with a bad attitude. Classe 1992, part-time waifu e giornalista** per passione. Nel tempo libero amo inventarmi strambi personaggi e cosplay, sperimentare in cucina, esplorare il mondo, guardare anime giapponesi drammatici, collezionare vinili a cavallo tra i '70 e gli '80 e dilettarmi a fare le spaccate sul basso elettrico (strumento di cui sono follemente innamorata). *=woman **=ex redattrice per Truemetal