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PAOLO BENVEGNù – Intervista sul nuovo album H3+

PAOLO BENVEGNù – Intervista sul nuovo album H3+

A tre anni di distanza dal disco Earth Hotel, Paolo Benvegnù torna con un nuovo album di inediti: H3+, un lavoro dedicato alla perdita, all’abbandono e alla rinascita, un’antologia di visioni, dove la grazia, la molecola alla base della vita, riempie gli spazi tra le emozioni, conservando la memoria di quello che siamo stati e quello che saremo. Dieci brani profondi, ispirati e magici, un album da ascoltare insieme al “nostro piccolo universo”. Raggiungo telefonicamente Paolo Benvegnù a pochi giorni di distanza dalla pubblicazione di H3+ e… Giudicate voi!
 
Ciao Paolo e benvenuto su Tuttorock! Eccoci qui a parlare del tuo terzo album, come ti senti?
Nell’album vedo molto di me, vedo Paolo, non ho più timore nello svelarmi completamente. Piano piano si va avanti e si è sé stessi senza tanti pesi. H3+ è un disco con intenzioni interessanti, è un “amico” che ho acquisito per tramandare delle “cellule nuove”. E’ come una piccola intuizione, poi le canzoni devono fare le canzoni.
 
E come lo vedi rispetto ai tuoi precedenti lavori?
H3+ è un concept album e lo trovo più omogeneo rispetto agli altri. Un metalinguaggio tra italiano e futuribile; mi è piaciuto combinare le parole, l’abbiamo registrato tutto insieme ed è omogeneo anche nel suono. Mi sento come un esploratore che in maniera sequenziale ha fatto un montaggio, mi sento come David Lynch. Il mio primo disco era incentrato sull’uomo, il secondo era una storia post-moderna, questo terzo disco è incentrato nello spazio che poi si scioglie e ritorna nella materia. Io ho pensato ad una saga per questi album, come una sorta di Odissea: una ricerca dello sconosciuto in sé. Sono convinto che il senso delle nostre vite sia cercare in noi lo sconosciuto, trovarlo e tramandarne le informazioni anche a coloro che verranno. E tutti hanno questo passaggio, tutti hanno un caos primordiale. L’uomo non deve essere al centro delle cose, ma deve pensare di essere un piccolo meccanico dell’universo.
 
Dove è stato scritto l’album?
A Città di Castello, mentre lo scrivevo mi son reso conto di abitare a 50 m dalla casa che abitava il grande pittore Raffaello Sanzio. Avevo la stessa sua vista, il suo stesso cielo, quella corrente di vento che qui si percepisce sempre. Vedere quel cielo mi ha permesso di “alzare il tiro” e scrivere qualcosa di sconosciuto.
 
H3+ è la particella alla base dell’Universo e tu la utilizzi come metafora in questo album. Come mai questo “accostamento”?
Penso che noi uomini assecondiamo lo svolgersi dell’universo, ma che siamo anche poco portati a captare quello che c’è nel nostro pianeta, figurati quanto possiamo capire il multiuniverso che si trova dentro ognuno di noi! Credo ad esempio che l’aggessività che a volte alberga in noi bisognerebbe trasformarla in condivisione tra  noi stessi, ma per fare del bene non il male.
 
L’uomo e il mondo odierni sembrano aver perso una parte d’identità, l’avvento dei social network ha rivoluzionato il rapportarsi gli uni con gli altri e il concetto di condivisione. Che pensi a tal proposito?
Si abbiamo perso in identità, anzi per l’Italia posso dire che l’identità si sia persa  già nel periodo di Pierpaolo Pasolini. Faccio un esempio: Galimberti dice che gli utensili si utilizzano male e che si riducono a figuranti antropomorfi, questa la trovo una giusta metafora; non è sbagliato utilizzare la tecnologia ma bisogna saperla utilizzare. Ora l’uomo è quasi “evaporato” da quanto usa il cellulare; io non demonizzo questo strumento, ma gli uomini si applicano tanto ed hanno delle buone intuizioni ma purtroppo ne diventano schiavi. Io spero che gli uomini cambino perché ora le velocità sono enormi e ci sono troppe differenze. Ci sono uomini più veloci e meno veloci. E soprattutto si è perso lo sguardo e si vuole creare un mondo artificiale  che vuole contenere una vita reale. Mi dispiace per chi crede che nella rete ci sia il mondo reale, ma nella rete non si possono sentire i profumi, non si possono vedere gli occhi. Sono ombre nella luce i social.
 
Hai detto delle cose molto profonde e molto vere. Cosa ti piacerebbe trasmettesse questo tuo nuovo lavoro?
Vorrei trasmettesse una gioia misurata, un sorriso senza ragione, un ponte verso un altro. Ecco vorrei fosse questo per chi lo ascolta. Io sono convinto che più scavi negli abissi e più scrivi in alto. Io mi sento, semplicemente, un apprendista nello scrivere, scrivere dello sconosciuto e poi con uno scatto di reni sollevarsi e farlo conoscere. E’ complicato entrarci nello sconosciuto che è in noi, ma poi è bello arrivarci. Ogni volta che pubblico mi sento come una madre, ma forse non tanto quando pubblico proprio, piuttosto quando ho terminato di scrivere, perché in quel preciso momento sento che ho scritto tutto e che ho fatto il mio dovere. Mi piacerebbe avere la capacità di tradurre le esperienze in suggestioni con soavità e leggerezza, così da trasmettere il mio sentire in maniera naturale.
 
Invece chi ti ha trasmesso qualcosa o da chi hai imparato qualcosa e vorresti ricordarlo adesso?
Una persona da cui ho imparato tantissimo, anche dallo sguardo interiore è un signore anziano che lavorava in una tipografia, che non ha mai rivolto la parola a nessuno, lui arrivava e si metteva davanti al suo macchinario e vedendo la sua dedizione al lavoro e la sua pazienza nello svolgerlo ho imparato tanto e mi ha trasmesso tanto. Io ho una grande ammirazione per le persone anziane, non mi piace solo ascoltarle ma  proprio guardare i loro gesti, loro sono persone che hanno da dare. Anche per loro bisogna tramandare e scrivere.
 
Grazie Paolo! Credo non ci sia niente da aggiungere, è stata una intervista che si è trasformata in una bellissima chiacchierata di quasi novanta minuti in cui ho apprezzato il Paolo musicista e il Paolo uomo. Consiglio a tutti di ascoltare H3+ e di immergersi nel suo universo di parole per la musica.
 
MONICA ATZEI
 
 
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