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old rock city orchestra – intervista alla prog/psych band di orvieto

old rock city orchestra – intervista alla prog/psych band di orvieto

Gli Old Rock City Orchestra sono una nuova realtà del panorama progressivo/psichedelico italiano. Una band che sa rendere il sound vintage degli anni 70, molto attuale. Hanno inciso due ottimi album e noi di Tuttorock ci siamo fatti raccontare la loro storia con quest’intervista che ha coinvolto tutti i ragazzi della band.
 
Ciao e benvenuti tra le pagine di Tuttorock.net. Partirei subito chiedendovi di presentarvi ai nostri lettori. Come nascono gli Old Rock City Orchestra?
Ciao Fabio, grazie a te e a Tuttorock. La band nasce a Orvieto nel 2009 con l’intenzione di dar vita a un progetto inedito di matrice psichedelico-progressiva, la musica che maggiormente ha influenzato le composizioni degli Old Rock City Orchestra. Così, dopo qualche cambio di formazione, si è costituita l’attuale line-up che vede Cinzia voce e tastiere, Raffaele chitarra e voce, Giacomo al basso e Mike alla batteria.
 
Come avete scelto il nome?
Il nome del gruppo è un riferimento alla nostra città Orvieto, dal latino Urbs Vetus (Old City in inglese), che sorge su un’antica rupe, una roccia (Rock). Da qui il nome Old Rock City Orchestra, che rappresenta anche un gioco di parole con il genere musicale che più ci è caro, il rock, appunto, o meglio il rock classico, il vecchio rock! In altre parole, potremmo definirci l’“Orchestra dell’Antica Città Rupestre”, o più semplicemente, abbreviando il nostro nome, gli ORCO, un’immagine piuttosto evocativa!
 
Siete molto giovani, ma avete un background musicale che arriva direttamente dagli anni ‘70. Perché avete scelto di far parte di un rock progressivo e psichedelico?
Probabilmente il modo con cui creiamo le nostre canzoni è molto influenzato dall’atteggiamento “progressivo” tipico delle band degli anni ’70 e allo stesso tempo “psichedelico” perché trascende i classici schemi compositivi, come avveniva già dalla metà degli anni ’60. Per questo motivo la nostra musica ben si colloca in quel genere seventies, anche se la nostra non è una vera e propria scelta. Non vogliamo riproporre quelle sonorità tout court, ma riprenderne il metodo creativo, l’atteggiamento nei riguardi della musica considerata ancora come forma d’espressione artistica e pertanto libera da ogni tipo di convenzione e schema musicale.
 
Parliamo ora di “Back To Earth”, che racchiude ottimi brani che seguono il vecchio stile del prog, ma riuscite a renderlo attuale. Come sono nati i vari brani?
I brani sono stati composti in maniera molto spontanea, seguendo la cosiddetta ispirazione del momento, il cogliere un’emozione, un’immagine, una percezione, una situazione significativa e tradurre tutto ciò in musica. Il nucleo di ogni canzoni è frutto della vena creativa del nostro chitarrista Raffaele, autore di tutti i brani degli Old Rock City Orchestra. Una volta che i brani arrivano in sala prove, tutta la band lavora insieme sull’idea originaria per definirne la forma ultima. Questo è ciò che è accaduto per “Back to Earth”, ma anche per il nostro album d’esordio “Once Upon A Time”.
 
Cosa mi dite riguardi ai testi? Che significato hanno?
I testi, scritti sempre dal nostro Raffaele, giocano a volte un ruolo fondamentale per la natura concettuale stessa del brano, mentre altre volte lasciano spazio alle note, ai riff, alle melodie che hanno il compito di narrare in musica le vicende del brano in questione. Ad ogni modo, le liriche delle canzoni descrivono stati d’animo, visioni, vicende particolari o sogni rivelatori, tutto riconducibile alla storia del protagonista di “Back to Earth”, un individuo senza volto che vaga su una scacchiera allegorica alla ricerca di se stesso e del suo mondo perduto.
 
Il disegno di copertina e il titolo “Back To Earth”, hanno attinenze con i testi?
La copertina dell’album rappresenta visivamente la conclusione del disco, il momento in cui l’individuo abbandona la scacchiera, ritrovando se stesso e al contempo un luogo dal sapore antico. Sullo sfondo compare il Pianeta Terra, simbolo del ritorno alla propria origine. Ma il protagonista dovrà scoprire come tornare al pianeta ritrovato, il percorso non è ancora terminato. In generale, tutta la grafica ritrae un mondo fatto a scacchi, che rappresenta la mente e la ragione umana, talvolta troppo ferree e che non lasciano spazio alla natura autentica dell’individuo, razionale e irrazionale allo stesso tempo. Di questo parlano i testi di “Back to Earth”.
 
Quali sono le vostre influenze musicali?
Il background musicale che caratterizza ognuno di noi è eterogeneo. Chi ama il rock nella sua forma più classica, chi invece predilige un aspetto più “heavy”, chi guarda al cantautorato e alla musica più melodica, senza tralasciare il blues, la musica folk e fusion. Non abbiamo dei confini musicali, ci piace attingere ai vari generi per dare così, in maniera molto spontanea e naturale, un aspetto “progressivo” al nostro sound. È qui che risiede il concetto di “progressive rock”, ovvero un risultato finale e non un punto di partenza.
 
Le differenze tra “Once Upon A Time” e “Back To Earth” con una breve recensione di entrambi gli album.
“Once Upon A Time” è il nostro primo disco, la nostra prima esperienza in studio come Old Rock City Orchestra. Ciò che emerge è una gran voglia di esprimere i nostri slanci musicali senza troppi ragionamenti, lasciando totalmente spazio alla creatività del momento. È un disco rock, un’idea primordiale anche se organica di quello che poi sarebbe stato “Back to Earth”. Il nostro secondo disco, infatti, è stato decisamente più meditato. Il “concept” che caratterizza l’album è molto più evidente rispetto a “Once Upon A Time” e anche gli arrangiamenti sono il frutto di un’analisi accurata compiuta nei minimi dettagli. Le sonorità sono più “dark”, l’atmosfera è più complessa e per certi versi più misteriosa. “Back to Earth” rappresenta un piccolo passo avanti per noi, come è giusto che sia per una band al suo secondo lavoro, senza ovviamente rinnegare il passato.
 
I vostri brani sono piuttosto brevi, tranne “Back To Earth”, la title track che oltrepassa i nove minuti, è una scelta?
Quando scriviamo un pezzo non guardiamo al minutaggio. Se la creazione di una canzone avviene in maniera ispirata è praticamente impossibile decidere a priori la sua durata. Per esprimere in maniera efficace un’idea musicale possono servire dieci minuti come due e mezzo. Dipende da ciò che si vuol dire e dal modo in cui viene detto. Non sempre sono necessari tempi “da suite” per comunicare un concetto e realizzare un brano degno di attenzione, almeno dal nostro punto di vista. Se il brano ha il compito di descrivere una visione, un istante, un attimo significativo, è probabilmente più credibile ed incisivo un pezzo dal minutaggio breve piuttosto che una lunga composizione. Questo probabilmente si discosta dai canoni del “progressive rock”, ma, riflettendoci su, parlare di canoni in riferimento alla musica prog è quasi un paradosso! 
 
Avete suonato molto dal vivo sia in Italia che all’estero. Dove avete più consensi?
Sicuramente in Italia la situazione per le band emergenti che suonano un tipo di musica non commerciale non è delle più rosee. All’Estero l’atteggiamento nei confronti delle novità musicali è molto più partecipativo rispetto alla diffidenza che talvolta incontriamo in Italia. Nonostante questo clima di difficoltà, esistono dei festival italiani che rappresentano una vera e propria opportunità per le band come la nostra di poter esprimere la propria musica di fronte a un pubblico interessato. Ciò che però all’Estero è quasi prassi, in Italia è, purtroppo, eccezione.
 
Perché secondo voi il rock progressivo è così seguito in Italia?
Il rock progressivo, che è sempre stato un genere di nicchia, o comunque più ricercato, è effettivamente molto seguito in Italia. Ma la realtà è che nel nostro Paese si ascoltano in prevalenza le band che hanno dato origine e lustro a questo movimento musicale. Anche noi da amanti del genere apprezziamo i gruppi storici del prog italiano e internazionale, dei quali siamo debitori, come del resto tutti i gruppi odierni, ma confinare il rock progressivo solo ed esclusivamente ai tempi gloriosi di questo genere è una cattiva abitudine che troppo spesso gli amanti del prog hanno. Così facendo non si permette alle nuove realtà di emergere, o, peggio ancora, si costringono in un certo senso i gruppi di oggi a copiare i vari cliché del progressive rock per riuscire ad affermarsi in questo mondo musicale. Lasciarsi ispirare dai grandi predecessori è legittimo e doveroso, doverne ripercorrere pedissequamente i passi è riduttivo e mal si sposa con la concezione stessa della musica progressiva. Della serie si può essere (e non fare!) prog anche senza un Mellotron!
 
Se doveste descrivere gli Old Rock City Orchestra con una sola delle vostra canzoni, quale scegliereste?
Rispondere non è facile! Ogni brano simboleggia una parte del carattere della band. Probabilmente la canzone che meglio ci può rappresentare è “Lady Viper”, un brano psichedelico, blues-rock, molto arrangiato e con un testo allegorico che ben descrive l’anima acid-prog degli Old Rock City Orchestra. 
 
Ok, grazie per l’intervista e vi lascio spazio per invitare ad entrare nel vostro mondo musicale a chi non vi conosce.
Innanzitutto ringraziamo te, Fabio, per l’intervista e invitiamo tutti coloro che fossero interessati ad ascoltare “una musica diversa in un genere già diverso” (siamo stati definiti anche così e questa definizione ci piace molto!) a curiosare su internet per conoscerci meglio e, perché no, magari acquistare i nostri dischi e venire ai nostri concerti!
 
FABIO LOFFREDO
 
Members:
Cinzia Catalucci: Voce e tastiere
Raffaele Spanetta: Chitarra e voce
Giacomo Cocchiara: Basso
Michele “Mike” Capriolo: Batteria e percussioni
 
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