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MASSIMO COTTO – “IL RE DELLA MEMORIA” , NOIR INCALZANTE E INTENSO

MASSIMO COTTO – “IL RE DELLA MEMORIA” , NOIR INCALZANTE E INTENSO

Abbiamo incontrato Massimo Cotto, volto e voce notissima, giornalista, dj, conduttore radiofonico, scrittore, direttore artistico di numerosi festival, per parlare di musica, libri, vite e storie ed in particolare del suo ultimo romanzo “Il re della memoria”, Gallucci Editore. Questo libro rappresenta per Cotto il suo esordio nel mondo della narrativa, dopo oltre ben 70 volumi dedicati alla musica. E una vita, anche, dedicata a lei.
Massimo Cotto, astigiano di un morbido territorio collinare tra le province di Torino e Alessandria (regione splendida di paesaggi superbi e terra di vini, antica terra di borghi e luoghi storici, naturalistici) è conduttore dal 2013 di Virgin Radio del programma “Rock & Talk”: giornalista, scrittore, direttore artistico di tanti festival, tra cui Astimusica, autore televisivo e teatrale. Inoltre, una lunga esperienza a Sanremo giovani.

Un noir senza i suoi meccanismi tipici:
Al centro de “Il re della memoria”, si muovono tre personaggi in una trama avvincente, ricca di colpi di scena con una metafora importante: Linda, Astrid e Ariel. Linda e Ariel da bambini erano innamoratissimi e ad unirli furono alcuni eventi drammatici. Si ritrovano a distanza di molti anni ma lui è innamorato di un’altra donna, Astrid, una donna bellissima. La prima trama è incentrata su questo particolare triangolo: lui al centro, tra un amore del presente ed uno del passato senza sapere cosa scegliere; al contrario di ogni classico triangolo nel cinema o nella letteratura, nel romanzo di Cotto ci sono due donne che si contendono un uomo e non viceversa. La seconda trama del libro è data da una serie di colpi di scena e un mistero da sciogliere: un uomo arriva dal passato e dice di essere il padre di Ariel ma Ariel stesso lo aveva ucciso vent’anni prima…Dov’è la verità? Qual è la realtà e quale la fantasia?

Decamerock: dal libro al tour:
Lo scorso 22 ottobre ha terminato il tour del Decamerock con sua moglie l’attrice e conduttrice, nonché musa ispiratrice, l’artista Chiara Buratti insieme a una figura di riferimento del mondo pop-rock quale Mauro Ermanno Giovanardi, pregiato cantautore e produttore, già voce dei La Crus.
L’urgenza e la necessità di dire delle cose, di raccontare storie, vite. Mettendo cuore, attenzione e passione per questo mestiere il messaggio arriva e in questo spettacolo, è arrivato. Un tour in cui Massimo Cotto esplora mondi, linguaggi e personaggi del rock, raccontando storie; uno spettacolo che – con molta probabilità – verrà ripreso nella primavera 2023 e che ha contato tante date di successo e gradimento di pubblico. Poi continuo a presentare festival e prendere parte a spettacoli. Massimo Cotto ha il sacro fuoco del mestiere, della professione, una passione trasformata in lavoro, continuando a “far muovere le parole”: in radio, sui palchi e nelle pagine di un libro, con un tratteggio emozionale ricco di profondità e intensità, una passione lunga una vita. Personaggio carismatico che ha incontrato ed intervistato grandissimi artisti, icone del rock e della musica: lo abbiamo raggiunto per Tuttorock:

Massimo, quanto è importante e nello stesso tempo quanto è difficile/complesso trasformare le proprie passioni in lavoro?
“Uno dei doni che la vita ti può riservare è fare il lavoro che ami. Una volta, Mario Monicelli mi disse: “Se fai un lavoro che ti piace hai il diritto di dire che sei stanco, ma non di lamentarti perché sei stanco”. È così: la fatica c’è ed è tanta, ma pesa relativamente perché la testa è libera. So di essere un privilegiato e faccio in modo di non dimenticarlo mai”

La musica è una delle categorie che ha più sofferto durante la pandemia. Ti chiedo: la musica risponde alle questioni e alle domande importanti della vita? C’è più disordine o chiarezza e ci spinge ad affrontare i piccoli e grandi temi?
“Non esiste, per fortuna, niente e nessuno, nemmeno un Dio, che possa rispondere a tutte le domande di un uomo. A me piace pensare che la musica ti dia delle risposte parziali che ti spingono ad arrivare a un’altra domanda. Il senso della vita, per me, è continuare a cercare, non arrivare a un traguardo. Se così fosse, che senso avrebbe vivere dopo aver saputo tutto?”

Qual è il dono ed il valore della musica? E cosa rappresenta, per te? La musica ha un linguaggio personale ma anche universale, di condivisione?
“La musica è la parte migliore di noi. La musica piange per noi quando non riusciamo a farlo, ci esalta quando ne abbiamo bisogno. È il nostro specchio. Rimanda la nostra immagine, ci spinge a confrontarci con noi stessi. Non c’è niente che sappia catturare la parte più profonda di noi meglio della musica”

Come emerge la tua creatività, la scrittura, con la malinconia, la tristezza o la serenità? Quale musica ascolti quando sei triste? E quando sei felice, cosa fai?
“C’è una musica per ogni momento della giornata e per ogni stato d’animo. Ho anche scritto un libro, Rock Therapy, dove sostenevo che esistono canzoni per tutte le stagioni, ma altre che funzionano solo in determinati momenti. Se sono malinconico, ascolto canzoni malinconiche. Curo il veleno con un pizzico di veleno. Ascolto Nick Drake, Tim Buckley, Damien Rice, qualche vecchio blues. Quando sono felice, vivo o scrivo. Che poi è la stessa cosa. Non ho bisogno di soffrire per scrivere, per fortuna. Sono quasi sempre allegro. Aggiungo che considero la malinconia un elemento positivo, perché è lo spleen che ti aiuta a inquadrare meglio le cose. Non è la tristezza, non è la depressione, è uno stato d’animo che bisogna corteggiare per fare l’amore meglio con la vita”

In tutti questi anni di lavoro per Sanremo giovani, quali esperienze e ricordi ti porti dietro e cosa ti auguri per la musica attuale e per le nuove generazioni?
“L’augurio è che i giovani talenti abbiano tempo per esprimersi e farsi conoscere. Una volta, con la discografia in salute, un artista poteva arrivare al successo dopo un po’ di strada. De Gregori, per dire, ha pubblicato Rimmel come quarto disco. Oggi tutto si brucia velocemente. La parte più bella di lavorare con i ragazzi è il loro entusiasmo, il disperato bisogno di credere alla musica. Purtroppo, molti di loro si convincono che il successo sia andare in televisione, una volta il successo era semplicemente la conseguenza della fatica che avevi fatto sommata alla fortuna”

Ci hai regalato recentemente il Decamerock che nasce dal tuo libro (nel 2020) e arriva successivamente sui palcoscenici: come è nata l’idea creativa? Cosa volevi raccontare e qual è stata/ qual è la tua esigenza narrativa?
“Per me rock non è solo un genere musicale. Paganini o Piero Ciampi sono più rock dei Coldplay, la storia del Grande Gatsby è più affascinante di quella dei Beach Boys, l’ossessione del capitano Achab per Moby Dick è ammaliante come quella degli artisti più dannati. Volevo semplicemente raccontare storie, immaginando che esista un grande imbuto dove vanno a confluire percorsi diversi, non necessariamente musicali, ma tutti indiscutibilmente rock”

Nel 2021 ci regali “Rock Is The Answer – Le risposte della musica alle questioni della vita” (Marsilio Editori): ti chiedo quale funzione hai il rock per te? E che valore ha la musica rock nella nostra vita, in questa vita liquida e frenetica ci offre ancora le tante risposte che cerchiamo? Ha mantenuto intatto, secondo la tua opinione, quel significato di libertà d’espressione?
“Temo che il rock abbia perso molto del suo significato. È meno ribelle, non è più il primo veicolo scelto dai ragazzi, sia quelli che ascoltano che quelli che cantano o suonano. Ma è ancora una roccia su cui possiamo edificare la nostra casa. Una volta ho chiesto a Bowie se il rock potesse ancora cambiare il mondo. Lui rispose in modo meraviglioso: “No, ma può cambiare noi nel mondo”. Come a dire: è cambiata la scala, agisce meno sul sociale e più sull’individuale ma cambia ancora i nostri passi sul selciato”

Leggevo recentemente che Pete Townshend ha affermato – durante un’intervista – che “la chiave per tenere viva l’eredità del rock è l’autenticità”, citando artisti quali Ed Sheeran, Taylor Swift e Adele come le “rockstar dei giorni nostri”, perché in grado di riempire intere arene con la loro musica. Cosa ne pensi?
“C’è del vero, ma l’autenticità non può essere tutto. Serve anche il talento, quello che ti fa resistere alle mode e rimanere nel tempo. C’è tanta gente vera senza talento. Non mi riferisco ovviamente ai nomi citati da Townshend. Sentire le cose in modo diverso come gli artisti è solo metà del percorso, poi bisogna essere in grado di trasformare questo diverso sentire in arte. Arrivare agli altri. Perché l’arte è, in prima battuta, comunicare”

Arriviamo al tuo ultimo libro “Il re della memoria” (Gallucci Editore), un noir: ccome nascono l’idea narrativa e creativa del romanzo? Cosa volevi raccontare e qual è la tua esigenza narrativa?
“Volevo inventare le vite degli altri, dopo aver per tutta la vita scritto di vite vere. Provare a immaginare persone che non esistono e farle muovere su un palcoscenico dove non c’è musica, ma ritmo”

Narri di un uomo e due donne, qual è il filo conduttore che unisce questo triangolo? La costruzione ed il linguaggio hanno il sapore del noir ma il romanzo non ha i tipici meccanismi del noir. Raccontiamo il perchè:
“I triangoli che hanno nutrito la mia vita (Jules e Jim di Truffaut o The dreamers di Bertolucci) vedevamo tutti due uomini e una donna. Qui è il contrario. C’è un uomo che è innamorato di due donne, entrambe bellissime. Ma c’è un passato fatto di dolore e morte e la minaccia di un assassino a gettare sassi sul marciapiede. Il rischio è inciampare o prendere a calci la pietra sbagliata”

La musica è un fluido in divenire: secondo il tuo pensiero è stata più resiliente, resistente o entrambe, durante l’emergenza sanitaria? Ove il termine “resiliente” è diventato prepotentemente di moda:
“Da sempre provo avversione per il termine “resilienza”. Non me ne voglia la mia amica Paola Maugeri, forse la prima che lo ha accostato al rock, ma comincio a diffidare dall’abuso di filosofia o spiritualità applicata al rock. Mi piace pensare che non ci si debba prendere troppo sul serio, pur facendo le cose sul serio. Per me la musica è resistente e crea dipendenza e indipendenza”

Hai intervistato grandi artisti, vere icone: chi di loro è rimasto nella tua anima e quali sono stati i tuoi artisti di riferimento?
“Tutti, perché ognuno di loro si è aperto per raccontarmi la sua vita. I ricordi più intensi sono legati a Cohen, Bowie, Jagger, Plant e a chi ha pianto durante l’intervista ripercorrendo la sua odissea: Elton John, Joe Cocker, Ray Charles, Eric Clapton. Ma sono solo i primi nomi che mi vengono in mente”

L’ultima domanda, prima di salutarti e ringraziarti: quali sono i tuoi prossimi progetti?
“Continuare ad avere progetti. Non fermarmi mai. Perché la vita è questa. Vivere ogni giorno non come fosse il primo e nemmeno l’ultimo, ma l’unico. Con le persone che ami, con il lavoro che ami. Nella speranza che la giostra non si fermi tanto presto”.

Alessandra Paparelli