MARCO RUSSO – Intervista all’artista catanzarese


In occasione dell’uscita del nuovo album “Mosche” (MZK Lab), che unisce ritmi funky e testi critici, esplorando il contrasto tra disillusione e speranza, ho avuto il piacere di intervistare Marco Russo, artista catanzarese classe ’94, una voce autentica della scena musicale italiana. Ha iniziato il suo percorso musicale a Salerno per poi trasferirsi a Roma, dove vive attualmente.
Le sue canzoni intrecciano storie personali e riflessioni sociali, offrendo un punto di vista autentico e mai scontato.
Ciao e benvenuto su Tuttorock, “Mosche” è il tuo nuovo album, che riscontri stai avendo?
Ciao e grazie per l’invito! Mosche è un album a cui tengo tantissimo, perché rappresenta un percorso artistico e personale molto sincero. I riscontri, finora, sono stati davvero belli: sto ricevendo messaggi da persone che si riconoscono nei testi, che colgono le sfumature del sound e dell’ironia che ho messo dentro. È bello vedere che la gente non si limita solo ad ascoltare, ma entra davvero nel disco, lo vive.
Anche nei live sto percependo un’energia incredibile. C’è chi canta i pezzi già dopo pochi ascolti, chi si lascia trasportare dalle contaminazioni musicali, chi si ritrova nelle storie che racconto. Per me questo è il riscontro più importante: sapere che Mosche sta creando connessioni, che sta lasciando qualcosa a chi lo ascolta.
Sono anche molto contento che Napoli sia, fino ad ora, il brano più ascoltato del disco. È un pezzo che amo particolarmente perché va contro certi schemi musicali di oggi, dove sembra che gli assoli di chitarra non debbano più esistere nei brani. Invece, io ho voluto dare spazio alla musica suonata, all’emozione che uno strumento può trasmettere senza bisogno di parole. Sapere che sta arrivando alla gente, nonostante, o forse proprio grazie a questa scelta, è una grande soddisfazione.
8 brani da me molto apprezzati, non saprei dirti il mio preferito perché cambia di volta in volta, tu, riascoltandoti, hai trovato un brano che ti ha fatto pensare: “questa è davvero bella!”?
Grazie, mi fa davvero piacere sapere che il disco ti abbia colpito! Capisco bene quello che dici, anche per me il brano preferito cambia a seconda del momento e dello stato d’animo. Però devo dire che ogni volta che riascolto Mosche trovo qualcosa di speciale. È un pezzo che racchiude il senso dell’intero album, con quella visione un po’ cruda ma anche ironica della realtà.
Poi ci sono brani che mi colpiscono in modo diverso in base al contesto. Magari in studio un pezzo mi emoziona per la scrittura, poi suonandolo live scopro un’energia nuova che non avevo percepito prima. Credo che sia il bello della musica: non è mai statica, cambia e cresce insieme a chi la ascolta e a chi la fa.
Dalla Calabria a Roma, un trasferimento che ha ispirato questo disco, le tue aspettative sulla Capitale sono state soddisfatte?
La mia storia non è un semplice trasferimento da un posto all’altro, è stata più un percorso fatto di tappe fondamentali. Dalla Calabria sono passato per la Campania, dove ho vissuto sei anni tra Salerno e Napoli, e poi sono arrivato a Roma. Ogni città mi ha lasciato qualcosa di importante, e tutto questo ha influenzato Mosche.
Roma è un mondo a parte. È una città che ti travolge con la sua energia e con il suo caos. Non avevo aspettative precise quando sono arrivato, volevo solo immergermi in questo flusso e vedere dove mi avrebbe portato, e posso dire che, nel bene e nel male, Roma è stata all’altezza della sua fama. Mi ha dato tanto, mi ha fatto incontrare artisti, persone, storie, ed è qui che ho iniziato a lavorare seriamente alla mia musica grazie alla mia etichetta MZK.
Roma è affascinante e imprevedibile, proprio come il caos che ho voluto raccontare nel disco. A volte ti mette alla prova, altre volte ti regala scenari incredibili. È una città che non si fa mai capire fino in fondo, e forse è proprio questo il suo bello.
Quando e come nasce musicalmente Marco Russo?
Sin da piccolo sono sempre stato affascinato dalla musica e, fortunatamente, nella mia famiglia si ascoltava sempre musica di spessore. Ma il momento in cui la musica mi ha davvero travolto è stato quando, a 12 anni, ho collegato per la prima volta una chitarra elettrica a un amplificatore e mi sono ascoltato in cuffia. Ricordo ancora perfettamente quella sensazione: mentre tutto intorno a me si sgretolava, mentre la mia famiglia si sfasciava, io ridevo da solo per ore, giorni, anni… Quella chitarra mi ha dato una via di fuga, un rifugio che da allora non ho mai più abbandonato.
Negli anni ho avuto la fortuna di studiare con grandi musicisti, soprattutto nei sei anni trascorsi tra Salerno e Napoli, che mi hanno dato una consapevolezza musicale più profonda. Ma il momento in cui ho davvero preso coscienza della mia scrittura è stato quando ho studiato con il più grande di tutti i maestri: Mogol. Lui mi ha fatto capire meglio come raccontare le cose, come raccontare la realtà. È da lì che non ho mai più avuto paura di mettermi a nudo, che non ho mai più avuto paura delle mie debolezze. Scrivere è diventato un atto di verità, di libertà.
Se dovessi riassumere il mio percorso in una frase, direi che musicalmente sono nato nel momento in cui ho capito che la musica non era solo un suono, ma un linguaggio capace di salvarmi, di raccontarmi e di connettermi con il mondo.
Nella presentazione del disco hai parlato del tuo amore per il cinema, ci puoi dire quali sono i tuoi film preferiti e come quel mondo influenza il tuo modo di scrivere musica?
Il cinema per me è una grande fonte d’ispirazione, e tra i miei registi preferiti ci sono senza dubbio Tarantino e Sorrentino. Tarantino per il suo modo di trasformare ogni dialogo in qualcosa di iconico, per il ritmo delle sue scene e per il suo amore per la musica all’interno dei film. Sorrentino, invece, per la sua capacità di rendere poetico anche il caos, per la bellezza delle immagini e per l’imprevedibilità che ha nel raccontare l’umanità nei suoi dettagli più autentici.
Nel disco c’è tanta cinematografia, e gran parte del merito va a Mario Russo, mio cugino, con cui ho scritto l’album. Lui, oltre ad essere musicista, è attore, e questo ha influenzato tantissimo la costruzione di alcune scene sonore all’interno dei brani. Un esempio è in Aspirapolvere, quando si sente una madre passare l’aspirapolvere mentre il figlio sta registrando e le chiede nervosamente di smettere. È un dettaglio reale, quasi rubato alla vita quotidiana, che fa entrare l’ascoltatore direttamente nel nostro mondo, facendogli immaginare dove ci trovavamo quando abbiamo scritto il pezzo.
Un altro momento molto cinematografico è in Lunedì, quando si ascolta la voce di un uomo che non riesce ad avvicinarsi alla donna che desidera a causa della sua timidezza e della paura di mostrarsi per quello che è. È una scena che racconta un’emozione universale, quella difficoltà di esporsi senza maschere, e attraverso la musica diventa ancora più visiva, come se fosse parte di un film.
Credo che la musica e il cinema abbiano in comune la capacità di trasportarti in un’altra dimensione, di farti vivere altre vite e di farti vedere le cose sotto una nuova luce. Per questo, nei miei brani cerco sempre di costruire immagini, perché voglio che chi ascolta non solo senta, ma anche veda.
Oltre al cinema, hai parlato anche del tuo amore per i paesaggi naturali, quali sono i luoghi che ti hanno più colpito in questi anni?
Oltre alla musica e al cinema, una delle cose che amo di più è viaggiare con lo zaino in spalla. I viaggi per me sono un modo per riconnettermi con me stesso, per riscoprire l’essenza delle cose e lasciarmi ispirare. Nel 2019 ho girato l’Inghilterra in questo modo, suonando nei pub e nei locali in cambio di tips per un mese intero. È stata un’esperienza incredibile, fatta di incontri casuali e notti passate nei posti più assurdi. Dormivo sui divani di gente conosciuta la sera stessa nei locali, in ostelli con stanze da 10-12 persone, oppure, quando non volevo spendere soldi, perché in quel periodo non ne avevo, tiravo fuori l’amaca e dormivo nei parchi.
So che per molte persone non è facile viaggiare così, ma per me è il contrario: diventa difficile immaginarmi un viaggio dormendo in hotel di lusso, mi fa sentire più un turista che un viaggiatore, e io ho bisogno di vivere i posti in maniera più autentica, a contatto con la realtà e con le persone.
Anche il mio ultimo viaggio in Marocco, questo Natale, è stato così: 12 giorni on the road con un mio amico-fratello, da Marrakech fino alle coste di Agadir, cercando onde da surfare e dormendo dove capitava. Un’esperienza essenziale, senza programmi, fatta solo di libertà e istinto.
Mi piace dormire in tenda o in posti immersi nella natura, perché mi riporta all’essenza, mi ricorda chi sono. Essere circondato dal mare, dalle montagne o dal deserto mi dà una prospettiva diversa sulla vita, mi apre la mente e il cuore. Sono momenti in cui riesco a scrivere con più libertà, perché è lì, lontano dal rumore, che riesco davvero ad ascoltarmi.
Hai qualche data live in programma?
Ci sono già state bellissime date e ci saranno sicuramente altri live in giro per l’Italia, sto già lavorando per portare Mosche sul palco il più possibile. E ovviamente il mio sogno è realizzare al più presto il mio primo tour, perché niente mi dà più soddisfazione che suonare dal vivo e condividere la mia musica con chi mi ascolta.
Con quale formazione ti presenterai sul palco?
Dal vivo porterò Mosche con una formazione speciale, fatta di musicisti con cui ho un legame forte, sia umano che artistico. Con me sul palco ci sarà Max Goderecci, con cui suono ormai da otto anni, dividiamo persino casa a Roma, quindi la nostra connessione è totale, sia nella musica che nella vita di tutti i giorni.
Poi ci sarà Mario Russo, detto il Signor Mary, che darà il suo tocco unico al violino e alla tromba. Alle tastiere ci sarà Claudio Giordano, alla batteria Vong (Michael Tonanzi), e infine al basso Freddo (Nicholas Rutigliano). Ognuno di loro aggiunge qualcosa di speciale al sound del disco, e non vedo l’ora di portare questa energia sul palco.
Grazie mille per il tuo tempo, ti lascio piena libertà per chiudere questa intervista come preferisci.
Grazie a voi per lo spazio e per le belle domande! Chiudo semplicemente invitando tutti ad ascoltare Mosche, senza aspettative, senza filtri, lasciandosi trasportare dalla musica e dalle parole.
Il senso del disco è proprio questo: trovare la bellezza nel caos, nell’imperfezione, nelle piccole cose autentiche che spesso diamo per scontate. Viviamo in una società che corre veloce, piena di rumore e distrazioni, ma la vera magia sta nel fermarsi un attimo e guardare meglio. Le mosche possono sembrare fastidiose, ma sono ovunque, resistono, si adattano. Un po’ come facciamo tutti noi, ogni giorno.
Spero che la mia musica possa accompagnarvi in questo viaggio, magari farvi riflettere, magari semplicemente farvi stare bene, farvi ballare. Ci vediamo presto dal vivo!
MARCO PRITONI

Sono nato ad Imola nel 1979, la musica ha iniziato a far parte della mia vita da subito, grazie ai miei genitori che ascoltavano veramente di tutto. Appassionato anche di sport (da spettatore, non da praticante), suono il piano, il basso e la chitarra, scrivo report e recensioni e faccio interviste ad artisti italiani ed internazionali per Tuttorock per cui ho iniziato a collaborare grazie ad un incontro fortuito con Maurizio Donini durante un concerto.