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JOHNNY DALBASSO – Intervista all’artista campano

JOHNNY DALBASSO – Intervista all’artista campano

In occasione dell’uscita del nuovo album “Lo Stato Canaglia”, prevista per martedì 27 settembre su etichetta Micidiale Records, ho avuto il piacere di intervistare l’artista campano Johnny Dalbasso.

Il quarto disco in studio arriva a circa tre anni di distanza dall’ultimo fortunato album “Cannonball” (Goodfellas, 2019) e del seguente Cannonball-Tour, che lo portò a suonare su oltre 50 palchi in tutta Italia.

Ciao Johnny, benvenuto sulle pagine di Tuttorock, parliamo di questo tuo nuovo album, “Lo Stato Canaglia”, come mai questo titolo?

Ti ringrazio, un saluto a te e ai lettori di Tuttorock! Il titolo del mio ultimo disco nasce dall’espressione “Rogue state” utilizzata da alcuni presidenti degli Stati uniti per denigrare quelle nazioni non allineate al pensiero filo-occidentale. Ho sempre trovato questa espressione ignorante e razzista, al di là delle motivazioni per cui è stata utilizzata, perché sembra dividere il mondo tra buoni e cattivi, giusti e non giusti, non tenendo conto delle diversità di pensiero e della complessità dei rapporti tra culture diverse e spesso lontane. Partendo da questo concetto ho giocato con la parola “stato” che, oltre al significato di nazione, può indicare uno stato d’animo, è il participio passato del verbo essere, ed è anche lo stato che postiamo sui social, fatto spesso di parole lanciate nel vuoto per colpire e infamare chi è diverso da noi o non allineato al nostro pensiero, e da qui, quindi, diventare canaglia. Questo è un disco contro il fascismo del pensiero.

Ho apprezzato molto ogni brano, non riesco a dirti quale sia il mio preferito perché considero questo un disco da “spararsi” nelle orecchie a tutto volume tutto d’un fiato, sei d’accordo con me?

Ti ringrazio! Ho sempre amato dischi composti da canzoni diverse che però stanno bene tra loro, i cosiddetti “dischi bianchi” come il famigerato “The Beatles” o “London Calling” per citarne alcuni, e nel mio piccolissimo ho cercato di creare un flusso di musica che racchiudesse tutti i generi che amo, spaziando dal punk allo stoner, al rocknroll, al folk, alla musica alternativa degli anni ‘90 e degli anni zero, con canzoni diverse tra loro unite per diventare un tutt’uno. Questo è un disco ed è stato concepito come tale e, come hai detto bene tu, è fatto per essere ascoltato tutto insieme, perché per me il formato disco è come il libro cartaceo, stanno cercando di sostituirlo ma alla fine resta sempre il supporto più valido per la musica, e dire questo in un momento storico in cui i singoli usa e getta vanno per la maggiore è inteso da me come un atto di ribellione.

Come nasce solitamente un tuo brano?

Questa è la domanda più difficile da fare ad un autore credo, dato che un “metodo” di scrittura e composizione, almeno io, non l’ho mai avuto. Diciamo che non sono il tipo di autore che si siede alla scrivania o davanti a un pianoforte e dice “Ora scrivo una canzone”. Molti miei brani sono nati in automobile, oppure mentre facevo la spesa o ascoltando discorsi di sconosciuti per strada e alcuni riff sono nati da una semplice linea melodica fischiettata in giro. Avrei potuto dare un alone mistico alle mie creazioni, ma vi giuro che sono più istintive e naif di quanto si possa pensare.

La registrazione in presa diretta è sempre più rara, addirittura certi album live vengono modificati a tal punto che sembrano progetti registrati in studio, cosa ne pensi?

Le basi de “Lo Stato Canaglia” e del mio disco precedente “Cannonball” sono state registrate con chitarra e batteria in presa diretta, per non perdere quella sensazione live che spesso nei dischi in studio manca, anche se non sono contro la registrazione a tracce dei singoli strumenti. Prima ero più integralista riguardo ai metodi di registrazione, oggi invece potrei tranquillamente registrare con una drum-machine per poi suonarci sopra senza sentirmi in colpa. Riguardo alle sovraincisioni negli album live sono contrario nel modo più assoluto e la trovo una sorta di truffa nei confronti delle orecchie degli ascoltatori.

Ti sei accorto di essere riuscito nella difficilissima impresa di racchiudere in un solo album tanti anni di musica alternativa italiana?

Ora che mi ci fai pensare no! Mi fa piacere però che siano state colte molte citazioni e tributi a gruppi e dischi che amo, non solo italiani. In Andalusia, ad esempio, ci sono chiari riferimenti a “Tex” dei Litfiba e “Spanish Bomb” dei Clash, mentre in Berlin Burning c’è tipo un compendio di tutto il punk classico che io adoro, Dai Ramones ai sopracitati Clash di “London Burning”. Molti mi hanno accostato anche a gruppi italiani come i Bachi da pietra, Sick Tamburo e Diaframma, che stimo molto.

Il video di “Andalusia” vede come protagonisti due cani, come mai questa scelta?

Mentre scrivevo la sceneggiatura del video, che all’inizio doveva essere una cosa molto più elaborata, simile al video di Mala Vida dei Mano Negra, per intenderci, ho deciso di non far recitare umani, stanco del protagonismo degli artisti nei videoclip, e così mi è venuta l’idea di esprimere il concetto di evasione da una costrizione, argomento di cui parla il testo di Andalusia, rendendo protagonisti due cani pastori. I cani amano l’automobile ed affacciarsi al finestrino per godersi il vento, ma allo stesso tempo sono costretti a restare in auto e a non poter essere liberi e questo concetto l’ho trovato molto simile al significato che volevo dare alla canzone. Un po’ di vento in faccia non è libertà e a volte per capirlo bisogna evadere.

Sei soddisfatto di come sono andate fin qui le cose nel mondo musicale per te?

Dal punto di vista creativo sì perchè, guardandomi indietro, ho fatto scelte coraggiose a livello musicale, se pensi che Johnny DalBasso è nato nel 2012/13, anni in cui esplodeva in Italia l’indie di Calcutta e I Cani ed io invece mi presentavo in giro come one-man band punk-rock con testi in italiano. Inoltre, da quando ho cominciato, ho sempre avuto la possibilità di suonare live in tutt’Italia e avere un buon riscontro di pubblico, e questo è uno dei motivi per cui continuo a fare musica. A parte questo, del mondo musicale disprezzo tanti aspetti: in Italia molti addetti ai lavori sono persone che non amano la musica, non amano l’eterogeneità e la diversità dei generi, puntano su prodotti che non piacciono neanche a loro solo perché bisogna seguire mode e filoni, di cui alla fine rimarrà poco. Non amo i concorsi musicali e i talent show. Sono uno che fa le sue cose e cerca di farle nel modo migliore, secondo i suoi mezzi, ma ciò non vuol dire che non sia attento a ciò che di buono si sta producendo oggi nella musica, nonostante lo squallore generale delle proposte musicali da classifica.

Hai già qualche data live in programma?

Il 24 giugno sono usciti i primi sei brani de “Lo Stato Canaglia” e ho iniziato “Lo stato Canaglia Tour” con cui sto tutt’ora portando live in tutta Italia, insieme al mio power trio, i brani del nuovo disco e alcune canzoni dei miei precedenti lavori. Spero che questo tour duri almeno fino alla primavera prossima, e colgo l’occasione per invitarvi tutti alle prossime date in programma.

La formazione sul palco quindi, anche in futuro, sarà sempre un trio?

Per adesso sì, amo il power trio, le sue potenzialità e anche i suoi limiti, il dover per forza spingere al massimo le individualità per creare il muro del suono necessario a dare il giusto impatto live ai pezzi. Recentemente ho anche riproposto il mio set da one-man band e in futuro credo rifarò un tour in questa modalità. Non sono chiuso all’idea di aggiungere un quarto componente che sia un musicista pluristrumentista per affinare le parti più complesse delle mie canzoni. Più di quattro elementi no, mai!

Grazie mille per il tuo tempo, ti lascio piena libertà di concludere l’intervista come vuoi.

Grazie a te! Rispondere a queste domande è stato terapeutico. Allora chiudo facendo io una domanda ai lettori di Tuttorock: non è che, alla fine, viviamo tutti in uno Stato Canaglia?

MARCO PRITONI