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Intervista alle Seventeen Fahrenheit: una band “Freak”

Intervista alle Seventeen Fahrenheit: una band “Freak”

In occasione dell’uscita del primo album “Freak” abbiamo intervistato le Seventeen Fahrenheit

Ciao ragazze e benvenute tra le pagine virtuali di Tuttorock. A breve uscirete con il vostro primo album: “Freak”, ma prima toglietemi una curiosità: che grado Fahrenheit è il 17?
È il grado della nostra ibernazione.

Sembrate quattro tipe molto diverse tra loro. Quali sono state le vostre prime esperienze musicali individuali?
Siamo molto diverse tra noi, ma anche molto simili. È importante sapere che ognuna di noi corrisponde ad una delle quattro case di Harry Potter, provate a indovinare a quale casa corrisponde ogni Seventeen.
Frequentavamo gli stessi posti e siamo cresciute insieme, anche le differenze tra noi sono parte di un’amicizia maturata negli anni, si direbbe davvero indistruttibile.

Avete altre passioni, anche insolite, oltre alla musica?
Adriana ama la radio e infatti la fa, Annamaria è la più grande filosofa di tutti i tempi, Enza è la più grande collezionista e divoratrice di libri in Campania nonché ottima cuoca, Eloise vive con la batteria nel letto.

Qualche scheletro nell’armadio?
Un cimitero.

Qual è il primo strumento che avete imparato a suonare (il maledetto flauto non vale)?
Niente flauto. La chitarra, al massimo l’armonica. La chitarra è lo strumento che tutte abbiamo imparato a suonare come primissima esperienza musicale. Adri lo ha studiato alla scuola media, insieme alla sua invincibile popolarità; Elo, aspirante dannata per una band punk, cantava e suonava la chitarra prima di iniziare con la batteria; Anna, a dieci anni, vide suo padre e altri cantori della chiesa concentrarsi diverse ore su un MI e un LAm e con molta immaginazione ha pensato che voleva proprio che quello strumento la accompagnasse per tutta la vita; Enza ha sempre suonato di tutto e, come poi le altre, ha permeato la conoscenza della chitarra nei corsi gratuiti della chiesa mentre ascoltava i Children of Bodom.

In che modo le differenze (caratteriali e musicali) sono diventate un punto di forza e non un ostacolo, nel vostro processo creativo?Ci conosciamo da così tanto tempo che ormai ci capiamo guardandoci, nel bene e nel male. La nostra creatività è sempre stata sinergica e si alimenta proprio della nostra eterogeneità: ognuna dà il suo punto di vista ma l’obiettivo che ci portiamo dentro è sempre comune.

Avendo un’indole risoluta e un forte carisma, vi è mai capitato di entrare in conflitto tra voi?
Noi ci vogliamo bene veramente ma ciò non vuol dire che non discutiamo, anzi, come in ogni band che si rispetti, partono tuoni e fulmini…
La verità è che siamo così unite che ne abbiamo superate tante, ci conosciamo in maniera viscerale e abbiamo tanta stima e fiducia l’una verso l’altra. Siamo presenti nelle nostre vite non solo come band ma come persone insostituibili. Il conflitto invece, se si presenta, resta arginato a un frangente momentaneo, forse utile a rafforzarci e a capirci meglio ancora.

Solitamente come risolvete le questioni?
Ne parliamo, siamo molto chiare e dirette. Anche se esporre le proprie idee e le proprie sensazioni può fare paura, abbiamo creato un safe-space in cui il dialogo e il bene reciproco hanno pieno titolo e priorità.

Il vostro sound è potente, diretto e con un’anima decisamente rock. Quali sono i gruppi che considerate come colonne portanti, quelli che vi hanno insegnato a pensare “fuori dagli schemi”?Siamo cresciute a pane e punk rock, la nostra playlist dei 16 anni è fatta di Blink 182, Sum 41, Green Day, Avril Lavigne, My Chemical Romance, Muse, Offspring, NOFX, Rancid e così via.

Sentite affinità con altre musiciste contemporanee?
In realtà no.

C’è qualche gruppo in particolare con cui vi piacerebbe condividere il palco?
Con i Green daaaaaaaaaaaay

Avete mai subito discriminazioni per il fatto di essere una “all female band”?
Vabbè se non ce la facciamo è perché siamo femmine, se ce la facciamo, è perché siamo femmine.

A questo proposito, credete che il mondo musicale sia aperto nei confronti delle “quote rosa”?

Ma certo che sì, non esistono quote in questo mondo, parla la musica.
Sicuramente c’è tanta discriminazione e noi siamo contente di essere rappresentanti di una minoranza. Quando abbiamo iniziato eravamo più ingenue a riguardo e ne abbiamo sentite di tutte, ma non avevamo i mezzi per tematizzare. Ora, con maggiore coscienza e molta più cazzimma, sappiamo bene il fatto nostro. Speriamo che altre musiciste donne prendano il coraggio per esporsi e fare musica, senza badare a ciò che la maggioranza fa e pensa.

Cosa rispondereste a chi vi scredita dicendo che le donne non possono fare rock?
Che è peggio quando ci hanno detto che possono fare solo rock’n’roll ma non jazz. Offendono il rock!

La vostra genesi come gruppo rock è piuttosto bizzarra, il vostro primo concerto è stato un contest parrocchiale organizzato dall’Azione Cattolica di Grumo Nevano in provincia di Napoli: che ricordo avete di quella prima esibizione?
I ricordi sono davvero sbiaditi perché forse avevamo 13 anni, ma la formazione era composta da Adriana, Enza ed Annamaria in alternanza alla batteria. Elo l’avevamo appena conosciuta ed era tra quel pubblico fatto di genitori, amici e catechisti, era lì a tifare per noi, quella sera. Le chiedemmo di entrare nella band e accettò. In fondo avevamo da sempre intrapreso una strada alternativa a quella delle nostre abitudini “domenicali”, pur quando questa era appoggiata da quelle istituzioni così diverse dal nostro stile. Ad ogni modo la formazione ufficiale delle Seventeen Fahrenheit suggellò un cambiamento definitivo nelle nostre vite.

Si potrebbe obiettare che si tratta di un contesto poco “rock”! Cosa significa per voi esserlo?
Potremmo non trovare necessariamente un significato di cosa sia rock e cosa no, forse sì, ma non ci piace fare “in” e “out” discriminatori.

Ma veniamo a “Freak”, titolo forte e d’impatto. Cosa rappresenta per voi questo album?
Il punto di arrivo e di inizio.

Vi è mai capitato di sentirvi delle “freak”?
Chiaramente il termine “freak” è frutto di una riappropriazione positiva, questo significa che ne conosciamo anche il lato oscuro. Noi ne viviamo tutta l’ambiguità: non possiamo dire di essere del tutto “fuori dal mondo”, il mondo ci piace e forse a volte pure troppo, in tutti i suoi anfratti comodi.
Così si sente ancora di più il rischio di adagiarsi e questa sensazione di straniamento può essere interna; certo, talvolta può essere evocata alla peggio dall’esterno, ma l’origine è sempre un dissidio interiore.
Il tratto differenziale porta il “freak” a rimaneggiare la propria vita e i propri sogni, a volte proprio quando apparentemente si sta vivendo una vita perfetta e nulla lascerebbe credere che si stia parlando di un caso limite.

Tutte le tracce di questo album hanno dei nomi molto divertenti e frizzanti. Penso ad esempio ad “Apple Apple Banana & Coffeee” o a “Boovie”, mi raccontate come sono nati questi brani?
Boovie è il nome di una rinascita, c’è sempre stato, non ricordiamo neanche da dove sia nato. Il primo titolo invece deve molto alla cultura trash e al motto “mela mela banana e caffè”. Qualcosa in noi è scattato per cui questa massima doveva diventare un coro di ribellione, forse contro lo stesso contesto che ne avallava il significato originario. O forse è tutto una supercazzola, chissà!

Qual è la vostra traccia preferita, in cui avete messo più cuore?Ognuna ha una sua propria traccia del cuore, anche se il nostro cuore ha tutte le tracce per sé.

Dove potremo incontrarvi a breve?
Suoneremo giovedì 17 aprile al Disclan di Salerno e il 19 al Detune di Milano! Poi il Freak Tour continua, e continuerà ancora.

Lanciate un appello ai nostri lettori per ascoltare il vostro album…
ACCATTATAVILL

SUSANNA ZANDONÁ