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Intervista agli SLEBO: Power fantasia II

Intervista agli SLEBO: Power fantasia II

In occasione dell’uscita del sequel di “POWER FANTASIA” abbiamo intervistato gli SLEBO

Ciao SLEBO e benvenuti tra le pagine virtuali di Tuttorock! Partiamo dal vostro nome, in gergo siderurgico lo “slebo” rappresenta una “lastra metallica semilavorata”, adattamento dell’inglese “slab” o barra/stecca. Considerando che sulla copertina del vostro singolo “Possibilitato” (2024) compare una pressa che schiaccia la testa di una bambola, il paragone con la fabbrica arriva subito immediato. Mi raccontate come nasce questo nome? 
Ciao regaz. Sinceramente trovare il nome adatto al progetto musicale è una delle cose più difficili che esistano. Basti pensare che all’inizio stavamo quasi per chiamarci LE BRAMME.. una cosa abbastanza spaventosa. Per fortuna abbiamo trovato un sinonimo che ci rispecchiasse e più nelle nostre corde: SLEBO. Ci piace perché lega il nostro posto d’origine (Terni) al nostro sound industriale e martellante.  Ci teniamo a dire che la bambola era una brutta persona.. se l’è meritato.

Quanto c’è di teatrale nel vostro progetto? È solo musica o è anche un alter ego che portate in scena?
No, in scena siamo noi stessi. Direi che Slebo è la pura e incontaminata espressione del nostro essere.

“POWER FANTASIA II” è definito il “lato B” rispetto al primo – omonimo – volume. In cosa sentite che si differenzi maggiormente rispetto al precedente?
Con POWER FANTASIA II, abbiamo scelto di intraprendere un cammino diverso rispetto al primo volume, cercando di allontanarci dalle sonorità più immediatamente riconoscibili del passato per esplorare un sound più oscuro e tematiche più introspettive. Questo secondo capitolo è frutto di un lungo percorso, un’evoluzione che si è snodata attraverso la ricerca minuziosa dei suoni e la sperimentazione con nuove strutture vocali, più dilatate e trasparenti rispetto a quelle a cui eravamo abituati.  Possiamo dire che è un volume basato più sull’ascolto che sulla ballabilità.

Dell’ EP avete detto: “ci abbiamo impiegato molto tempo, cercando di proporre qualcosa che risulti spiazzante”, potete spiegarci meglio cosa intendete?
A noi piace molto giocare con l’assurdo per cercare una reazione appunto spiazzante in chi ascolta. Questo succede anche nella comunicazione social, non solo nelle produzioni musicali e nei testi. Il fatto che c’abbiamo messo molto tempo, principalmente è dovuto alla nostra meticolosità. Ci piace e siamo molto rigorosi nella ricerca dei suoni e nelle strutture.

Il vostro immaginario è molto definito e quasi cinematografico. Da dove pescate l’ispirazione necessaria a creare le vostre “dimensioni turbolente”?
Il nostro immaginario nasce un po’ dal caos che abbiamo in testa e un po’ da tutto quello che ci colpisce in giro: film, arte, sogni, gente strana incontrata alle tre di notte. Abbiamo sempre avuto un approccio molto visivo alla musica, quasi cinematografico: ogni suono, per noi, deve evocare un’immagine o una scena. Le nostre “dimensioni turbolente” sono il risultato di tante influenze che si scontrano: il post-punk che si aggroviglia con l’elettronica, l’ansia quotidiana che diventa ritmo, il rumore che diventa atmosfera. Cerchiamo di creare mondi che non siano per forza comodi, ma che ti portino da qualche parte. Anche se non sai bene dove.

I vostri testi sembrano quasi poesie frammentate. Quanto lavorate sulla parola rispetto al suono?
La parola per noi è un suono in più. A volte viene prima, altre volte arriva dopo un loop, un synth, una linea di batteria. Non ci interessa il testo “pulito” o narrativo — ci piace che resti aperto, ambiguo, che lasci spazio all’immaginazione. Lavoriamo molto sull’istinto, ma ogni parola resta lì solo se ha una sua musicalità e se regge anche da sola, come frammento o suggestione. È un equilibrio strano tra scrittura e fonetica.

“Fragile” è un termine delicato, ma nella vostra musica suona come una provocazione. Cosa vuol dire per voi essere fragili?
Essere fragili per noi non è sinonimo di debolezza, anzi. È un modo per esporsi, per non avere paura di mostrare crepe, dubbi, scosse emotive. In un mondo che spinge verso la performance costante e la durezza, rivendicare la fragilità è quasi un atto punk.

Quanto conta l’imperfezione nella vostra estetica sonora?
Conta tantissimo. Ci piace quando qualcosa suona “sbagliato” ma vero. Le sbavature, i rumori, le dissonanze: tutto quello che non è perfettamente levigato, per noi ha un valore emotivo forte. Poi certo, se un suono oggettivamente non funziona, non ci rispecchiamo neanche a noi. C’è un limite a tutto.

La vostra produzione sfrutta synth, modulari, loop, batteria acustica e voce: quanto pianificate a tavolino e quanto lasciate spazio all’improvvisazione e all’intuito?
Diciamo che mettiamo giù una struttura, ma poi ci divertiamo a smontarla. C’è sempre un’idea iniziale, magari una sequenza o un pattern, ma poi ci lasciamo guidare da quello che succede in sala. L’intuito ha un ruolo fondamentale: quando qualcosa ci fa alzare lo sguardo e dire “ok, bomba”, spesso è frutto di un errore o di un momento fuori programma.. bellissimo!

“Sei la mia società” è una traccia fondamentale che tuttavia definite “estranea” all’EP. Come mai questa scelta?
È una traccia nata in un momento diverso, con un approccio diverso. È come un satellite rispetto all’EP: ci gira intorno, ne condivide la galassia, ma ha una sua orbita autonoma. A me piace definirla la traccia più INDIE che abbiamo, ma non diciamolo a Dani altrimenti non mi parlerebbe più. Ha un’avversione nei confronti della parola Indie.. chissà perchè?! comunque ognuno ha i suoi problemi.. io per esempio sono terrorizzato dai ragni.

Dopo il Rock Contest e Arezzo Wave, come state vivendo questa fase di crescita e maggiore visibilità?
Con grande gratitudine. È bello vedere che le cose che fai in una stanza, spesso di notte e con mille dubbi, arrivano alle persone. Siamo contenti ma coscienti di dover continuare a lavorare per estendere ancora di più la visibilità del progetto.

Il 25 aprile presenterete l’EP al Covo Club. Cosa dobbiamo aspettarci da questo live?
Porteremo sul palco tutto quello che siamo: tensione, fragilità, esplosione. Non sarà un concerto “comodo” ma sarà intenso. Promesso!
Poi il Covo è un locale incredibile. Quando sai di dover suonare in posti del genere, l’aspetti come quando da bimbo aspettavi il giorno del compleanno. La data 0 di un nuovo progetto è sempre emozionante. Nel pubblico Ci sono gli amici le amiche, le persone che lavorano per e con noi.. somiglia quasi ad una festa. In più abbiamo sempre un bel ricordo dei live fatti a Bologna… non vediamo l’ora! 

Grazie per il vostro tempo e in bocca al lupo per la promozione del vostro nuovo EP.
Grazie mille <3 

SUSANNA ZANDONÁ

Band:
Daniele Giacchetti (voce, synth, pedaletti con le mani)
Cristian Santori (batteria, percussioni, voci narranti)
Alessandro Angiolini (chitarra, modulari, loop, voce).

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