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Intervista ad Enzo Papetti: a “New Belle Époque”

Intervista ad Enzo Papetti: a “New Belle Époque”

L’inizio del Nuovo Millennio condivide con l’Età della Belle Époque numerosi aspetti: ce lo racconta Enzo Papetti nel suo libro “New Belle Époque”

Buongiorno Enzo e benvenuto tra le pagine virtuali di Tuttorock. Intitoli la tua opera New Belle Epoque ma come mai la tua è proprio una new Belle Epoque e non una Belle Epoque tradizionalmente intesa? 

Il romanzo crea un parallelismo fra la nostra epoca e quella a cavallo fra Otto e Novecento, entrambe caratterizzate da rivoluzioni tecnologiche e sistemi produttivi che hanno cambiato modi e stili di vita.  Allora l’elettrificazione delle città, l’aeroplano, le automobili, il cinema, il telefono, la radio. Oggi i computer, i cellulari, i social, il metaverso, l’Intelligenza Artificiale. Anche gli assetti politici, allora come ora, subirono processi involutivi che misero a dura prova la stabilità internazionale. In quarta di copertina ho scritto: “Un sentimento di nostalgia e di meraviglia scava sotto il reticolo di un mondo interconnesso, pronto a celebrare un progresso impensabile fino a pochi anni fa. Ed è con questo stato d’animo fatto di euforia e candida spensieratezza, apatia, paura e angosce represse che il mondo va incontro alla propria rovina”. Rispetto al passato, forse, siamo più disponibili al mutamento, ma le incognite sul futuro sono le stesse. Personalmente penso che impareremo a conviverci. Per obbligo o grazia ricevuta. Da che mondo è mondo tutto cambia e, nel bene come nel male, l’uomo ha sempre saputo adattarsi alle spinte evoluzioniste che egli stesso crea. Nel 1895, quando i fratelli Lumiere proiettarono al Salon Indien du Grand Café il film L’arrivo di un treno alla stazione de La Ciotat, il pubblico, temendo di essere travolto, fuggì dalla sala. Come non sorridere di quel comportamento. E chissà cosa diranno di noi fra un centinaio d’anni. 

New Belle Epoque viene definita una crossnovel, ma cosa si intende con questo nuovo (e fittizio) genere letterario? 

Il romanzo si serve di sistemi linguistici innovativi, al servizio di pratiche narrative ipertestuali. Spazia dalla pagina stampata al web. L’idea di crossnovel nasce dai miei studi sulla multimedialità. L’ibridazione fra diversi linguaggi è antica quanto l’uomo. Basti pensare al rapporto parola-voce-musica – dall’antichità all’opera lirica – all’arte dei panorami, al cinema, alla televisione. Al web. La traiettoria della mia ricerca si cala in una prospettiva sperimentale. Tutta l’arte contemporanea è coinvolta in un processo di ripensamento dei canoni estetici. Come spesso accade, quando un’esigenza si manifesta in un ambiente culturale e trova attenzione – prima ancora che consenso – occorre poco affinché approdi su nuove sponde. Siamo nel bel mezzo di una rivoluzione tecnologica epocale e pensare che non abbia riverberi sulle forme di comunicazione ed espressive è una cecità che non possiamo ignorare. Dalle Avanguardie storiche a oggi il patto spontaneo fra autori e pubblico non fa che rivedere via via convenzioni consolidate. I gusti cambiano e nuove mode s’impongono. In questa avventura, oggi, sono coinvolti cinema, musica, poesia, arti figurative, didattica, sport, universal-everything, etc. La narrativa non può far finta di niente, anche se le élite del settore appaiono piuttosto distratte. Autori come Steven Hall, Mark Danielewski, Rachel Cusk, che pure non si sono spinti a concepire veri e propri crossnovel, meriterebbero maggiore attenzione. La mia sfida è iniziata nel 2020, prima con L’oggetto piccolo b, cui hanno fatto seguito Perché ci hai messo tanto? e Hexis. New Belle Époque chiude la tetralogia. Cosa farò dopo bon lo so. 

L’intreccio si regge su una struttura ciclica così composta: prima pagina di giornale – proposta musicale – illustrazione – episodio di un film. Sembri unificare un po’ tutte le arti sotto lo stesso tetto. Come è nata questa idea? 

La struttura è quella di un edificio che si regge su più piani, in senso  orizzontale che verticale. Un’articolata impalcatura interna sostiene la messa in scena di eventi che si intrecciano e divaricano a ritmo accelerato. Il romanzo non si fa ridurre a una semplice storia. Si serve di tasselli spazialmente e temporalmente annodati, di false prospettive che il lettore può mettere in ordine come vuole. In questo senso si può dire che stupisce come un quadro di Escher. Il racconto crea vie di fuga improvvise, attraversa generi e forme codificate, spiazza e gioca in contropiede. Il lettore tradizionale può trovare qualche difficoltà a saltare da un linguaggio all’altro, dall’ascolto di un brano musicale alla visione di un video, dal dialogo con una chat a una Galleria di ritratti. Per le giovani generazioni, invece, coincide con l’esperienza quotidiana. I diversi contributi al testo non fanno che allargare l’orizzonte narrativo e integrarlo. Le musiche svolgono una funzione paratestuale, simile a quella di una colonna sonora di un film. Evocano e rafforzano emozioni, paesaggi, colori. Esempio: il brano scelto per il 4° capitolo, Nostalgia, è Come pioveva, canzone popolare e rappresentativa della Belle Époque. Ascoltarlo all’inizio, durante la lettura o dopo non muta il suo valore espressivo così come il suo contenuto diegetico. Allo stesso modo i video sviluppano il tema della morte del cinema. Anche qui, la funzione è paratestuale e la fruizione del film, sostanzialmente indipendente dal procedere dei fatti, segue una propria dinamica interna. In comune le diverse parti del racconto, tuttavia, hanno la stessa urgenza espressiva. In altre parole, la lettura del romanzo può seguire l’ordine di impaginazione oppure una strada diversa. L’immagine finale che il testo restituisce ognuno può costruirla come vuole, come se procedesse alla ricomposizione di un puzzle. 

Nel testo si intrecciano le storie di più personaggi: un assicuratore truffaldino, due avvocati ed un illustratore e poi un politico ambizioso, un commissario che indaga su un caso a lungo irrisolto ed un giovane videomaker. Cosa hanno in comune tra loro? 

Nel romanzo le storie cadono come pioggia dal cielo. Le lega un collante invisibile, che traccia linee di senso tese a dissodare quel fondo in cui ogni cosa riposa. New Belle Époque è uno zibaldone e la sua lettura può essere avvicinata a quella mattutina di un quotidiano, allo spippolare da un canale all’altro della televisione, al defrag occasionale sulle piattaforme del web. Suscitare atmosfere, far vibrare stati d’animo, circolare le idee pungenti è un sistema efficace per allargare la platea d’ascolto. Il racconto allestisce un’epopea cialtrona e sgangherata. Combina momenti divertenti a altri drammatici, suspense, riflessioni critiche, vicende e personaggi folli, sofferti, farabutti e ingenui, senza che vi sia un vero inizio come una vera fine. Disegna nicchie di vita da abitare, condividere, scavare. Ironia e leggerezza, sono i suoi punti di forza. In comune hanno il dubbio di essere catapultati in un sistema-mondo che li sovrasta. Il collante, a un livello più profondo del testo, è il tema dell’anagnorisis, del riconoscimento, quel movimento che procedendo dal basso verso l’alto, distingue, separa, giudica e fa riaffiorare chi siamo. 

Il “premio alla persona più fortunata dell’anno” è uno degli elementi centrali della narrazione. Che ruolo ha la fortuna nella trama e come influisce sul destino dei personaggi? 

Il premio alla persona più fortunata dell’anno è un’idea talmente paradossale e sbilenca da risultare una chiave utile di lettura della confusione identitaria che accompagna i miei eroi. Gente per la quale la differenza fra valori e virtù è del tutto arbitraria. I concorrenti, così come chi gestisce l’iperbolica manifestazione, sono le prime vittime inconsapevoli dei loro stessi presunti e indimostrati meriti. Mi sono divertito a rappresentare le loro vanaglorie e pochezze. Il mio preferito è Evemenio, consapevole di essere entrato a far parte di una mistificazione colossale, contra fidem la sua volontà, senza avere la forza di uscirne. Per amore. 

Ti senti una persona fortunata, in generale? 

Vengo da una famiglia di proletari e la mia vita è stata cento volte migliore di quella dei miei genitori. In questo senso posso dire di essere stato fortunato. La fortuna, però, non è altro che l’incontro tra opportunità e una certa vocazione a trarne profitto. Certo è anche un dono, il risultato del caso, se si vuole. Comunque sia, qualche convenienza ho saputo sfruttarla. Così come ne ho perse altre. Mi sia concesso qui di riconoscere la buona sorte di aver incontrato mia moglie. 

Nella costruzione del romanzo, come hai lavorato sulla creazione di suspense e colpi di scena?  

La mia preoccupazione maggiore nella costruzione del plot è stata quella di mantenere costante l’armonia fra un passaggio – di ambienti, contesti, contingenze – e l’altro. La musicalità del racconto. La questione si lega a una visione della letteratura. La scrittura porta con sé la consapevolezza del suo potere. Disegna un ordine che chiede di essere ogni volta ripensato. Vale a dire: coincide con il caos e narrare altro non è che fare esperienza nuda della scrittura. Aver trovato nella commedia il tono generale del libro, una qual certa leggerezza – malgrado le digressioni saggistiche – credo mi abbia aiutato a ottenere un risultato finale accettabile. 

Ti sei ispirato a qualche autore in particolare? 

Cito i miei riferimenti letterari: Goethe, per la sua capacità di tradurre in pensiero vicende all’apparenza ordinarie – Hexis, il terzo romanzo della tetralogia è una riscrittura de Gli anni di apprendistato di Wilhelm Meister –  Rabelais e Joyce per l’impertinenza stilistica, Balzac per l’indagine socio-culturale della sua epoca, Laurence Sterne per l’ironia e la leggerezza.  

Se Dante Alighieri aveva scelto Virgilio come figura centrale di guida spirituale e razionale nel suo viaggio attraverso l’Inferno e il Purgatorio, definendolo come personificazione della ragione umana e dell’intelletto, tu affidi il compito ad un piccione ed un’ombra. Cosa rappresentano per te questi elementi simbolici? 

Sono sempre stato attratto, fin da piccolo, dai racconti della mitologia greca. Nei miei scritti qualche riferimento a fatti e personaggi di quella cultura, raramente mancano. Così è anche per New Belle Époque. Tanto che il romanzo è incorniciato dalle figure di un piccione, che a volte chiamo Pisitero e da un’OmbrAttore che fa il verso a Orfeo. Chi sia la mia Euridice, vedremo. Il tutto sotto lo sguardo divertito e acido – vedi Gli Uccelli – di Aristofane.  In qualche pagina del libro ne parlo. Il debito più evidente al mito, nel romanzo, è la sua struttura frammentaria, cronachistica, consequenziale nello spirito, meno nella coerenza fattuale dell’incastro fra gli eventi. Quello spazio dove le contraddizioni sono processualmente ricomponibili da una versione all’altra. Mito in quanto fabula, prima ancora di religione e contenuto trascendentale. 

Ritieni che “giocare con i linguaggi” e rompere gli schemi tradizionali ti permetta di esplorare nuove possibilità creative? 

Assolutamente sì. Tanto più quanto abbiamo a disposizione strumenti espressivi e piattaforme comunicative nuove, in parte inesplorate. La vita, irriducibile a forme irrigidite in strutture linguistiche, è l’alterità radicale di qualsiasi limite aprioristico, quel fondo senza fine che di ogni parola, gesto, comportamento segna l’orizzonte estremo, mai catturabile. Per questo ciò che continuiamo a chiamare arte si declina come termine finito di un mondo infinito, oscillante pericolosamente fra l’incompiutezza e la propria dissoluzione. Si dà come scheletro e carne dell’invisibile. Nel romanzo il legame fra identità e differenza resta sempre in bilico. La confusione tra la cornice simbolica e la vita, il rapporto con la realtà, permane variabile, cangiante, mutevole. Giocare coi linguaggi, per me, significa innanzitutto questo. 

A tal proposito come credi che cambierà la comunicazione nei prossimi anni? 

Sta già cambiando in modo radicale. Il guaio è che non siamo ancora padroni dei mezzi che usiamo. E li studiamo poco. Durante la Belle Époque nacquero le Avanguardie storiche. Negli anni Cinquanta i processi di rinnovamento coinvolsero un po’ tutte le sfere di comunicazione, dall’arte alla pubblicità, dai mezzi di trasporto all’industria culturale. Oggi, chi sperimenta forme nuove, se non riesce a diventare un prodotto di consumo, spesso risulta irraggiungibile, smarrito. Il dibattito e il confronto, sia teorico che espressivo, resta chiuso in enclave marginalizzate. Ho approfondito la questione parlando dell’opera di Mirella Beraha in Caos e Processo, con Alberto Abruzzese e Paolo Fabbri.  

Parliamo di un tema “caldo”. Ti ritieni pro o contro all’ utilizzare l’intelligenza artificiale come aiuto nella scrittura? La ritieni una risorsa utile ad innovare generi o stili altrimenti poco considerati, oppure la consideri una minaccia nei confronti del diritto d’autore? 

Ritengo che l’AI ci riserverà molte sorprese e aiuterà a mettere a fuoco questioni per troppo tempo lasciate in sospeso. Da parte mia ne faccio uso, in New Belle Époque, come strumento per dialogare con il lettore, nel tentativo di individuarne l’impiego più appropriato in relazione al processo creativo. Piccola digressione: personalmente, da diversi anni, faccio uso di App scaricate sul cellulare per produrre “quadri” di genere, alla maniera di… riuscendo a ingannare anche persone colte e preparate, esperti. Ovvio che la questioni richieda riflessioni approfondite, anche se, per ora, il dibattito su questo terreno rimane piuttosto povero. 

Ci sono generi in cui l’intelligenza artificiale, dal tuo punto di vista è totalmente inefficace? 

A questa domanda, forse, ho risposto con quella precedente. Comunque non ho strumenti sufficienti per andare oltre l’affermazione che il tempo, oltre a essere denaro, nessuno sa quanto ne abbia a disposizione. Vale a dire: siamo in cammino. 

Tornando alla tua opera che definirei quasi omnia, pubblichi un prodotto di ben 824 pagine. Considerato quante discussioni si spendono circa la scarsa “alfabetizzazione culturale” del nostro Paese, non è un rischio immettere sul mercato un mattone (nell’accezione strutturale del termine: pesante e portante) di tale entità? 

Rispondo in modo indiretto. New Belle Époque è un libro politico nel senso che evoca una visione del mondo. Descrive il presente non raccontandocelo alla maniera dei quotidiani o come fa la televisione, bensì sforzandosi di cogliere le linee di forza sotterranee che lo disegnano. Il rapporto fra realtà oggettiva e reale figurato – vita vissuta e romanzo – è un rapporto di interdipendenza. Mentre il dato di fatto storico è riducibile a una correlazione causa-effetto, il reale finzionale ha una matrice quantistica. New Belle Époque tematizza la relazione tra scrittore e personaggio, interroga il reale con le armi della finzione e, poiché la verità in letteratura ha struttura di finzione, la dimensione simbolica e metaforica in cui questa si palesa la raddoppia, trasformandola in finzione di se stessa. In questo senso il romanzo proietta il soggetto – narrante e narrato – in una coralità che vincola il Sé al tutto cui appartiene. La scarsa alfabetizzazione culturale di cui tanto si discute è una questione di campo. Non mi rivolgo a un pubblico generalista e il mio target è numericamente ristretto. Se ne avessi fatto un problema, probabilmente, avrei scritto altro. 

Toglimi una curiosità: cos’è lo strano oggetto in stile Art Noveau che appare sulla copertina? 

Nel libro, ad un certo punto, mi chiedo quale immagine si possa usare per rappresentare la nostra epoca. Hobbes, per descrivere lo Stato Assoluto del suo tempo aveva scelto il Leviatano. Qui mi sono appropriato dell’effige del camaleonte. In copertina lo strano oggetto ai piedi del titolo è una statuetta africana dell’animaletto cangiante. 

Ci sono altri indizi disseminati nel libro? 

Traduco la domanda in questo modo: cosa avevo in testa quando ho iniziato a scrivere? A spingermi, ovviamente, sono state considerazioni maturate nel corso del tempo, durante il mio insegnamento universitario: riflessioni teoriche, esistenziali, urgenze espressive, etc. In che modo queste avrebbero preso forma non lo sapevo. Solo scrivendo lo avrei verificato. Così, per la lealtà che mi lega ai lettori, non posso che partire dalle prime, primissime intuizioni con cui ho iniziato a lavorare e misurare cosa, nell’opera finita, corrisponde a ciò che mi ero promesso di ottenere. La domanda che si impone, pertanto è: chi apre New Belle Époque cosa trova? Quanto dei miei propositi si è materializzato e quanto la validità di quegli intenti è ancora sostenibile? parto dall’assemblaggio di vicende che si susseguono e incastrano senza dipendere da un ordine preciso, dai personaggi curiosi, sbilenchi, interpreti di un mondo alla deriva con cui il lettore fa subito conoscenza. Non ho voluto seguire un plot lineare quanto restituire l’esperienza di un vissuto accidentale, privo di ragione teleologica. Spazi di dialogo dove chi li attraversa e si dispone all’ascolto – lasciandosi indirizzare dagli stimoli che riceve – sa che dovrà toccare a lui poi riordinare. Tessere di un mosaico in cui brani musicali, clip cinematografiche, illustrazioni, chat, etc., si scompongono e ricompongono. Non come stravaganti appendici, ma in funzione prettamente narrativa. Riassumendo: il romanzo è disseminato di linee rizomatiche, fluide. Non so se possono definirsi indizi. Forse il termine più appropriato da usare potrebbe essere link. Accessi a temi e spunti suggestivi, finestre su paesaggi da esplorare. Ne elenco alcuni: i palindromi che aprono i capitoli e la loro traduzione in immagini, i temi delle chat, il rinvio agli altri testi della tetralogia, le fake news, gli aforismi, la morte del cinema… etc. 

Lanciami uno slogan che mi incentivi a leggere New Belle Epoque… 

Rabelais gioca a poker con Balzac. In altre parole, se proprio vogliamo definire New Belle Époque, potremmo battezzarlo romanzo picaresco e sociale, ironico, caustico, che diverte senza dimenticare di invitarci a riflettere sulla fase storica che stiamo attraversando.  

Ti ringrazio per il tuo tempo e ti auguro in bocca al lupo per il tuo New Belle Epoque. 

SUSANNA ZANDONÁ