Intervista a VIVO: un singolo che non perde lo Smalto


In occasione dell’uscita di “Smalto”, contenuto nell’ album di imminente uscita “Blatte”, abbiamo intervistato VIVO, produttore e musicista poliedrico, che ci ha spiegato che a volte essere degli sgradevoli insetti non è un male, anzi.
Valerio Vitolo, in arte VIVO, un bellissimo moniker che evoca plenitudine. Mi racconti qualcosa di te?
Mi chiamo Valerio Vitolo, classe ’89, di stanza a Bologna e cresciuto a Battipaglia, una cittadina industriale della piana del sele, in provincia di Salerno.
Va da sé che in un contesto del genere è necessario inventarsi qualcosa per sopravvivere alla monotonia, alle giornate sempre uguali e al provincialismo di una cittadina troppo piccola e gretta affinché ci sia un reale fermento culturale, ma al contempo troppo grande e cementificata per regalare bellezza e lentezza proprie dei paesaggi rurali.
È necessario inventarsi qualcosa, e lo era ancora di più vent’ anni anni fa, quando non c’erano neanche gli smartphone, e di anni ne avevo sedici. Così muovevo i miei primi passi nella musica. Ho iniziato a produrre beat per i rapper della mia città con software piratati ed un vecchio pc. Qualche anno dopo ho scoperto il sassofono, che sarebbe diventato il mio inseparabile compagno di viaggio.
Mi sono trasferito a Napoli per frequentare il conservatorio a 25 anni, ed è stato proprio lì che ho sperimentato per la prima volta la sensazione di essere veramente “vivo”.
Successivamente ho sentito l’esigenza di mollare tutto e partire. Ho girato l’Italia in lungo ed in largo ed ho pagato i miei viaggi suonando il sassofono per le strade delle città italiane.
Non avevo mai viaggiato in vita mia ma ecco che, di colpo, lo stavo facendo da solo, in maniera avventurosa, inseguendo l’ignoto, con dietro solo il mio strumento ed uno zainetto.
Mi sono sentito vivo, incredibilmente vivo, ed ho iniziato a raccogliere pensieri, sensazioni e riflessioni su un taccuino. Sono nati i primi acerbi prototipi delle mie canzoni. In seguito, da questi appunti, ho anche estratto qualche verso che ho riutilizzato in fase di scrittura di questo mio primo album, Blatte.
Così VIVO è il nome che mi sono scelto e non sarebbe potuto essere altrimenti.
Rimanendo in tema “Blatte”, hai intitolato l’album proprio come gli insetti ubiquitari conosciuti per la loro capacità di sopravvivere in molteplici ambienti, compresi gli spazi domestici.
Un epiteto davvero poco gratificante che porta alla mente un probabile veicolo di infezione, della quale solitamente ci si cerca di sbarazzare. Ma chi sono questi scarafaggi e soprattutto, cosa rappresentano?
Prima di chiunque altro, sono io stesso l’ emblematica blatta del mio album. Spesso mi sono sentito tale per aver imboccato sentieri poco consoni ad un uomo adulto ben integrato in società.
In questo momento di brutale materialismo, come può mai essere percepito dalla società, un uomo che si lascia guidare dalle proprie esigenze espressive anziché rincorrere la stabilità economica e la carriera lavorativa?
Probabilmente, come qualcuno da evitare, un individuo ‘strano’ che è meglio osservare a distanza per studiarne i movimenti, anziché entrarci in contatto in maniera particolarmente ravvicinata. Praticamente, una blatta! Tuttavia, io ho potuto scegliere di esserlo. Ho avuto a disposizione strumenti culturali ed economici che mi hanno permesso di poter compiere delle scelte, sebbene azzardate, rischiose, faticose. Esistono individui che non hanno scelta, non dispongono di abbastanza vocaboli per verbalizzare la propria frustrazione, non hanno abbastanza tempo per imparare a suonare uno strumento o leggere libri, non hanno abbastanza risorse anche solo per immaginare qualcosa che sia diverso dal mero sostentamento, dalla sopravvivenza. Credo che queste persone (e ce ne sono tante) non abbiano voce.
Il mio album Blatte si pone l’obiettivo, forse fin troppo ambizioso, di prestare la voce alla gente che di voce non ne ha.
Ascoltando l’album, ed in particolare il pezzo “La Blatta”, si riesce a cogliere la fierezza e l’orgoglio con i quali ho voluto vestire lo scarafaggio, generalmente considerato spregevole. C’è un chiaro rovesciamento di ruoli. Le mie Blatte sono l’allegoria di un esercito di individui che ritrovano la fiducia in sé stessi e nella collettività, necessaria a sovvertire il potere.
Nel singolo “Smalto” uscito più di recente, affronti la tematica del camuffamento: “mettere ogni giorno un nuovo smalto”, costituisce un’azione che si presta a numerose altre interpretazioni. Le unghie sono una parte del corpo importante, soprattutto per una donna, che attraverso di esse esprime la propria personalità o l’ego. Il tuo brano tuttavia enfatizza una continua sensazione di instabilità ed incertezza. La frase “in bilico”, viene ripetuta ossessivamente (come una specie di mantra) all’interno del ritornello. Mi puoi raccontare la storia dietro al brano?
Anziché raccontare la storia dietro al brano, mi piacerebbe parlare del filo conduttore che collega, in qualche modo, le storie di chiunque.
Sto parlando delle ombre. Amo definirmi, per mia stessa natura, un filantropo… a volte schivo e chiuso in me stesso, certo, ma pur sempre un indagatore dell’ animo umano.
Mi piace scoprire le ombre delle persone ed entrarvi intimamente in contatto. Non mi interessano particolarmente le parti più luminose ed i punti di forza da esibire con orgoglio.
Credo che ognuno si riveli nelle proprie debolezze. A me piace tutto ciò che testimonia la vulnerabilità, perchè ci rende così maledettamente umani ed è proprio quello che mi fa innamorare.
Tutti noi abbiamo aspetti dei quali ci vergogniamo profondamente o, semplicemente, dei quali non andiamo fieri.
Tendiamo a coprire queste crepe con uno smalto affinché nessuno si accorga che ci sono.
Eppure sono lì, fanno parte di noi, e ci caratterizzano addirittura.
Quasi mai ci rendiamo conto di quanto siano belle le nostre imperfezioni (o comunque, quelle che consideriamo tali) e vorremmo farle sparire di colpo, tanto da indossare una maschera, uno smalto coprente che renda la nostra immagine più simile a ciò che crediamo perfetto, ma corrisponde ad un’ idealizzazione malsana della perfezione.
Dichiari di aver inventato questa canzone in due momenti differenti. Come è evoluto il sound di ‘Smalto’, da canzone ‘naif’ scritta per una tua ex a versione elettronica?
La maggior parte dei miei pezzi nascono su un beat elettronico molto minimale oppure su un giro di accordi suonati al piano o alla chitarra.
Sono delle bozze, delle linee guida che provo ad appuntare per non perdere l’idea. Alcune di queste bozze finiscono nel dimenticatoio, altre diventano materiale sul quale lavorare. Non esiste realmente un criterio che adotto per scegliere quali brani cestinare e quali tenere…viene tutto da sé.
Semplicemente, su alcuni brani inizio a lavorarci con ostinazione, altri li trascuro e, con il passare del tempo, me ne dimentico. E giuro che non sono assolutamente consapevole di ciò che accade.
Con buona probabilità, è il mio subconscio a decidere “al posto mio”. Insomma, Smalto è sempre stato un brano borderline, un po’ dentro e un po’ fuori.
Ogni tanto provavo a riprenderlo, a cambiare qualcosa, ad aggiungere dei suoni, a tagliare altro. Infine, ho cominciato ad innamorarmi di come suonava ed ho creato questa lunga intro in cui la maggior parte dei suoni sono registrazioni di rumori (bottiglie di plastica schiacciate, chiavi che percuotono un posacenere).
Grazie anche alla consulenza e alle idee di Mario Sernicola (bassista e arrangiatore) e Giovanni La Ferrara (chitarrista e arrangiatore) sono riuscito a buttare giù un brano davvero convincente, ma mancava ancora qualcosa: quel quid plus che abbiamo aggiunto in studio grazie all’ orecchio esperto ed attentissimo di Mattia D’Amato (tecnico audio e mix engineer).
Quanto tempo è passato tra una versione e l’altra?
Credo di poter affermare con certezza che sono passati anni. Smalto è uno dei miei brani più datati ma anche l’ultimo uscito. Paradossale, no?
Pare che questo brano ti piaccia tanto da ritenerlo il meglio riuscito dell’album. Hai intenzione di proporne altre versioni?
Sono molto fiero della riuscita finale di questo brano, ed è sicuramente quello che ha riscontrato maggiore approvazione tra amici e colleghi musicisti.
Prima della versione definitiva ero solito suonarlo con la chitarra acustica, utilizzando il corpo della chitarra come uno strumento a percussione.
Mi piacerebbe esercitarmi molto e realizzarne una versione acustica, proprio in chiave percussiva, magari accompagnato da sintetizzatori larghi e sognanti, leggermente detunati per evocare atmosfere quasi vaporwave.
Hai iniziato il tuo percorso musicale attraverso una delle più pure forme di espressione artistica, ovvero suonando per strada. Cosa ti ha insegnato questa esperienza?
L’esperienza del busking mi ha insegnato così tante cose che una semplice risposta non basterebbe, ci vorrebbe un trattato! Sicuramente, tra le prime che mi vengono in mente, c’è la prontezza.
Quando si suona in strada è necessario rimanere vigili per osservare attentamente ciò che sta accadendo intorno a noi.
Tuttavia, per suonare bene ed emozionare, è indispensabile immergersi totalmente nella musica e lasciarsi guidare dall’ emotività.
Ecco, una delle lezioni più importanti è stata proprio questa: sapersi immergere totalmente ma, al contempo, restare vigili e attenti.
Poi c’è da mettere in conto che il pubblico della strada ha fretta ed è alienato.
La gente passeggia. (anzi, corre!) con gli occhi allo smartphone e le cuffie alle orecchie, chiusa ermeticamente nel proprio mondo; attirare l’attenzione di una platea così difficile è una sfida molto tosta.
Questa è un’ altra grandissima lezione che ho imparato dal busking.
In molte città ci sono normative specifiche riguardo al suonare per strada. Hai mai avuto problemi legali o controversie legate al fatto di suonare in luoghi pubblici? È facile ottenere i permessi necessari, se richiesti, o è qualcosa che varia molto da un posto all’altro?
Mai nessuna controversia o problema legale. In ogni comune italiano esiste una specifica ordinanza che regolamenta il tutto. Il regolamento varia di città in città. Basta prenotare la propria postazione con anticipo.
Credi che esibirsi per strada possa costituire (per un giovane musicista) una buona opportunità di “farsi le ossa”, oppure pensi che oggi questa modalità di auto-promozione sia totalmente superata e che sia più efficace affidarsi ad altri strumenti?
Assolutamente sì. Per me non c’è nessuna prospettiva migliore che quella di ripopolare le piazze e le strade con la musica. Credo che sia un’ ottima modalità di auto-promozione e, soprattutto, consente di esibirsi molte volte ed accumulare esperienza sul campo pratico.
In strada hanno tutti fretta, quindi va da sé che chi si ferma ad ascoltare lo fa perchè realmente interessato allo spettacolo a cui sta assistendo.
A tal proposito quale è la tua visione in merito a social media e talent scout musicali? Ti piacerebbe partecipare ad uno di essi?
Se si parla di talent show in onda in televisione o in radio, posso affermare con certezza non li apprezzo particolarmente. Per il momento è un’idea che non prendo in considerazione!
Ti ringrazio per il tuo tempo e ti auguro in bocca al lupo per la promozione di “Blatte”
Grazie a te per queste interessanti e per niente scontate domande.
SUSANNA ZANDONÀ

Better known as Violent Lullaby or "The Wildcat" a glam rock girl* with a bad attitude. Classe 1992, part-time waifu e giornalista** per passione. Nel tempo libero amo inventarmi strambi personaggi e cosplay, sperimentare in cucina, esplorare il mondo, guardare anime giapponesi drammatici, collezionare vinili a cavallo tra i '70 e gli '80 e dilettarmi a fare le spaccate sul basso elettrico (strumento di cui sono follemente innamorata). *=woman **=ex redattrice per Truemetal