Intervista a Casey Chandler aka Galapaghost: 15 anni di musica “Live in Arezzo” …
In occasione dell’uscita del Live in Arezzo abbiamo intervistato Galapaghost, pseudonimo dietro il quale si cela Casey Chandler, americano di nascita ma italiano nel cuore
Il tuo ultimo album: “LIVE IN AREZZO” segna i tuoi primi 15 anni di progetto solista. Guardando indietro, come giudichi il percorso che hai intrapreso come Galapaghost?
Sono molto soddisfatto di tutta la musica che ho rilasciato negli ultimi 15 anni con il progetto Galapaghost. Non sono una persona nostalgica perché preferisco vivere nel presente, ma ogni tanto mi capita di riascoltare i miei vecchi pezzi. Credo che il motivo per cui questi brani resistano ancora sia il fatto che sono sempre stato sincero e ho creato esattamente la musica che desideravo. Sono sempre stato me stesso e non mi è mai importato essere considerato “alla moda”. Sono contento di mantenere ancora oggi questa mentalità.
Come hai reagito quando hai scoperto che la performance era stata registrata e cosa ti ha spinto a trasformarla in un album?
Sì, sono rimasto totalmente scioccato quando ho scoperto che l’intero spettacolo era stato registrato, dato che nessuno mi aveva informato in anticipo! Tuttavia, forse è stato meglio cosí, perché se lo avessi saputo, probabilmente avrebbe influenzato la mia esecuzione e la mia disinvoltura sul palco quella sera. Non avevo in programma di pubblicare un album dal vivo, ma ci sono momenti nella vita che meritano di essere immortalati e celebrati, e quel concerto è stato sicuramente uno di quei momenti per me.
Il concerto al Malpighi Sofa di Arezzo aveva un’atmosfera molto speciale. Come hai scelto di strutturare la scaletta per quel particolare pubblico e contesto?
È stato un concerto molto intimo e, già dalla performance di apertura di Rossidicognome, ho capito che il pubblico era molto tranquillo e rispettoso. Per questo motivo, ho optato per una scaletta composta prevalentemente da brani più tranquilli. La quiete del pubblico mi ha veramente sorpreso, è una cosa che non mi era mai successa prima, nemmeno negli Stati Uniti.
Nel live sei accompagnato dal chitarrista Federico Puttilli (Nadàr Solo / Levante) che conosci dai tempi del tuo primo album solista, “Runnin” (2012), brano che ricorre anche nel disco. In che modo la sua esperienza e il suo background hanno arricchito il suono del tuo live set?
Sì, conosco Federico da tanto quanto mia moglie, perché li ho incontrati entrambi nella stessa settimana, qui in Italia, 13 anni fa. Nella registrazione dal vivo, lo presento sul palco come il mio “fratello da un’altra madre” perché la nostra relazione va ben oltre quella di semplici compagni musicali. In effetti, oggigiorno facciamo molto più che fare musica insieme. È un grande amico, mi sento sempre a mio agio con lui e quando siamo insieme sul palco tutto sembra naturale. È un musicista straordinario e abbiamo registrato tre album insieme.
Il singolo “Test Stick Uhaul Her Can” è estratto proprio dal disco e tratta la tua dolorosa esperienza col cancro. Cosa rappresenta per te questo brano?
Per me, questa è una vera canzone d’amore per mia moglie, Elisa, anche se in modo non convenzionale! Ha così tante variazioni emotive e melodiche e include elementi di umorismo, frustrazione, tenerezza, amore, gioia e dolore, rappresentando così la gamma di sentimenti che si sperimentano nella vita. Questa canzone è un’ode ad Elisa per tutti i momenti belli e difficili che abbiamo condiviso. Lei mi ha insegnato il vero significato dell’amore.
Affrontare una grave malattia può portare ad avere una diversa prospettiva sulle piccole cose e a definire nuove priorità. Riuscire a trovare una “normalità” dopo un’esperienza di questa portata può sicuramente risultare molto difficile e gravoso. Ci sono stati cambiamenti significativi nella tua vita quotidiana?
Ho preso molto più controllo della mia vita dopo aver avuto il cancro e dopo la morte di mio padre avvenuta un mese dopo. Nei due anni successivi ci sono stati grandi cambiamenti, ho trovato un nuovo lavoro, ho avuto un figlio e mi sono trasferito definitivamente qui in Italia. Queste esperienze mi hanno in qualche modo svegliato, facendomi rendere conto che non volevo subire passivamente la vita; desideravo piuttosto viverla al meglio, anche a costo di correre alcuni (grandi) rischi. Sento di essere davvero cresciuto dopo quei due eventi così importanti.
Suggerimenti che daresti a chi sta affrontando un percorso di questo tipo?
Onestamente, non amo dare consigli a nessuno perché queste situazioni non seguono una traiettoria lineare. Tuttavia, credo che esperienze simili possano trasformarti in due modi: o diventi cinico e pieno di amarezza, o cresci diventando una persona che comprende che vivere implica anche soffrire. Che il dolore e la perdita sono elementi che fanno parte dell’esperienza umana.
Vivi in Italia da ormai tre anni per una coraggiosa scelta d’amore. Come hai affrontato il trasferimento nella zona di Pinerolo, nella Val Pellice, e come ha influenzato la tua musica e la tua visione artistica?
Non è stato semplice all’inizio, il mio italiano lasciava ancora molto a desiderare e ho vissuto un vero e proprio shock culturale, nonostante avessi già trascorso brevi periodi di permanenza in Italia. Tuttavia, nel 2024, sento che le cose hanno iniziato veramente a sistemarsi per me. Ho trascorso un anno fantastico qui e sono costantemente ispirato dalla vita in Italia perché è un paese così bello con persone altrettanto straordinarie.
Passare del tempo lontano dalla propria terra natia e dalla propria cultura può portare inevitabilmente a dei cambiamenti. Ci sono momenti in cui senti la mancanza del tuo Paese d’origine, sia per quanto riguarda le tradizioni che le persone?
Certo. Non avevo realizzato quanto fossi radicato nella cultura americana fino a quando non ho vissuto qui per alcuni anni, e devo ammettere che all’inizio mi ero convinto di essere più europeo di quanto realmente fossi. La mia cultura è e sarà sempre parte di me. Ora non cerco più di “integrarmi” perfettamente nella cultura italiana, perché ho capito che è un tentativo vano. Cerco solo di essere sempre rispettoso e di ascoltare veramente tutte le persone qui perché voglio imparare il più possibile sulla cultura italiana. Amo vivere qui, ma inevitabilmente finisco spesso per fare figure imbarazzanti. Tuttavia, ho imparato a ridere di me stesso e a non prendermi troppo sul serio, il che mi ha fatto molto bene.
Oltre a concentrarti sulla carriera solista, stai anche lavorando come autore di colonne sonore. Puoi parlarci delle tue collaborazioni più significative, come quella con Gabriele Salvatores per “Il Ragazzo Invisibile” e la serie Netflix “Tredici”?
Sì, amo molto scrivere musica per film e altri media visivi. Spero un giorno di poter farne la mia principale attività lavorativa. Dieci anni fa ho avuto l’opportunità della vita quando Gabriele Salvatores ha utilizzato la mia canzone ‘Never Heard Nothin’ nei titoli di coda di ‘Il Ragazzo Invisibile’ e successivamente mi ha commissionato di scrivere un brano per il film, che è stato incluso nella colonna sonora. Questo ha di fatto lanciato la mia carriera qui in Italia, per cui sono molto grato a Gabriele Salvatores e Stefano Sardo! Inoltre, per ‘Tredici’, Netflix ha usato la mia canzone ‘Salt Lake City’ per un video promozionale, il che è stato davvero fantastico.
Il 2024 è stato un anno particolarmente prolifico per te, iniziato con la pubblicazione dell’EP “Peach Fuzz” da cui è tratto il video del singolo “Trapeze”, che ha avuto un incredibile successo, vincendo tre premi ai Rome Music Awards e ricevendo riconoscimenti in altri festival. Dopo tanta fortuna, cosa prospetti per il 2025?
Sì, il 2024 è stato un anno straordinario per me, ricco di grandi momenti. Nel 2025, spero di poter suonare più concerti e di collaborare con altri musicisti italiani. Sicuramente ci sarà nuova musica in arrivo. Non vedo l’ora di scoprire cosa succederà!
Grazie ancora per il tempo che ci hai dedicato. Ti auguriamo tanto successo per il tuo futuro creativo e non vediamo l’ora di sentire cosa ci riserverai in futuro.
Grazie a voi! È stato davvero un piacere!
SUSANNA ZANDONÀ
Better known as Violent Lullaby or "The Wildcat" a glam rock girl* with a bad attitude. Classe 1992, part-time waifu e giornalista** per passione. Nel tempo libero amo inventarmi strambi personaggi e cosplay, sperimentare in cucina, esplorare il mondo, guardare anime giapponesi drammatici, collezionare vinili a cavallo tra i '70 e gli '80 e dilettarmi a fare le spaccate sul basso elettrico (strumento di cui sono follemente innamorata). *=woman **=ex redattrice per Truemetal