Now Reading
Innesti: Intervista sul nuovo progetto di Valerio D’Anna

Innesti: Intervista sul nuovo progetto di Valerio D’Anna

Ultimamente in Italia sono innumerevoli gli ammiccamenti al versante elettronico, basti pensare a generi attuali come l’indie o la trap, mentre non troppo tempo fa era una direzione verso la quale guardavano in pochi. Qual è il tuo pensiero a riguardo?

Come al solito siamo arrivati una ventina di anni dopo rispetto a quello che è successo nel resto del mondo. Già negli anni ‘90 molti gruppi si erano affacciati all’elettronica, come gli Smashing Pumpkins poco prima dello scioglimento, o Trent Reznor che nel ‘94 tira fuori un disco come “The Downward Spiral”. Purtroppo in Italia c’è stato il luogo comune secondo il quale l’elettronica fosse per i non musicisti. Ad oggi invece la vediamo un po’ dovunque anche in ambito mainstream e pop, probabilmente proprio l’indie è stato l’ultimo ad approcciarsene. Non è più il futuro, è il presente, e lo è già da parecchio.
Pensiamo alle produzioni più importanti della storia della musica pop come “Thriller”, anche lì c’è l’elettronica. Lessi un libro dal titolo “Musica Ex Machina” che diceva questa cosa qui: “Se Beethoven fosse nato oggi, avrebbe composto musica elettronica”. Può sembrare provocatoria ma è la verità. I compositori hanno sempre costruito la loro musica con tutti gli strumenti che avevano a disposizione. Macchine, sintetizzatori, computer e quant’altro sono strumenti che ti permettono di esprimerti. Tra l’altro sta nascendo tutta una nuova scena musicale detta “neo-classica” che vede l’unione della tecnologia e gli strumenti acustici, per una rivisitazione del genere classico. C’è poco da dire: non è la macchina a determinare, è chi la utilizza.

Una domanda un po’ più romantica: quali sono i dischi che ti hanno formato?
​Quelli che magari pur essendo tematicamente lontani da te in questo momento, ti hanno colpito nel concetto di fare musica

“Lateralus” dei Tool e “The Downward Spiral” dei Nine Inch Nails sono gli album che ho sentito più nelle mie corde. Ci sono stati anche “Nevermind” dei Nirvana e l’omonimo dei Rage Against The Machine, che ho ascoltato tantissimo, ma non era la musica che volevo fare. I primi due che ti ho citato invece mi avevano catturato perché quello era il linguaggio che sentivo vicino a me, e con il quale avrei voluto esprimermi.

Da grande ascoltatore di musica quale sei ti faccio questa domanda. Siamo in un periodo di grande rinascita per il vinile, due anni fa si pensava erroneamente ad un fuoco di paglia. Secondo te dietro questa scelta cosa c’è?

Credo che la ragione reale sia quella dell’acquisto di un supporto. Sappiamo tutti che la qualità del vinile paragonata a quella dell’mp3 a massima “risoluzione”, è pressoché identica.
Nel momento in cui un appassionato di musica vuole acquistare un supporto, non volendo usufruire del download, dell’acquisto online, o dello streaming, vuole un supporto che abbia un valore. Basta pensare allora alla grandezza del vinile, alla bellezza della copertina (che sicuramente si apprezza meglio che nel CD). La cosa che più apprezzo di questa rinascita del vinile è il tornare a mettere al centro l’album nella sua interezza piuttosto che i singoli. Le nuove generazioni si sono fatte catalizzare molto più sui singoli, andando a perdere molto di un artista. Il vinile avendo un costo che è quantomeno il triplo di un album in digitale, ti “costringe” ad ascoltare l’album, a prestarci più attenzione.  

Avendo trovato un tuo personalissimo linguaggio ti senti di dare un consiglio a quei nostri lettori che magari vorrebbero esprimersi nell’elettronica al di là degli stereotipi?

Faccio un discorso generico che non si riferisce solo alla musica elettronica. Il consiglio è “ascoltarsi” il più possibile e puntare ad essere unici. Tanto nel momento in cui ti accorgi che c’è qualcosa che sta funzionando, nel tempo che tu provi a salire su quel carro, il carro già se ne è andato. Quindi secondo me a livello pratico, a prescindere dal genere, ci devono essere tre caratteristiche che sono fondamentali, e sono quelle che io stesso vado a ricercare quando ascolto anche un semplice brano alla radio. E sono: ispirazione, produzione, ed innovazione. L’ispirazione è difficile da spiegare, ma la avverti quando c’è. Una buona produzione è fondamentale per un pezzo. E un minimo di innovazione, un linguaggio che vuole essere un po’ più personale. Quando ci sono questi tre ingredienti per me non c’è confine di genere musicale. Che sia rock, che sia jazz, che sia indie cantautorale bisogna ascoltare la propria voce, non tradirla, e impegnarsi tantissimo.

Grazie mille, è stato un piacere!

Grazie a te!

Intervista a cura di Francesco Vaccaro