Now Reading
Il futurismo vintage degli Aspic Boulevard – Intervista alla Band

Il futurismo vintage degli Aspic Boulevard – Intervista alla Band

Amici di TuttoRock oggi vi parlo di un disco uscito a Maggio dello scorso anno, che ho avuto la fortuna di recuperare recentemente. 

Si chiama Memory Recall Of A Replicant Dream ed è frutto del progetto Aspic Boulevard composto da due fratelli siciliani: Alessandro e Marco Barrano.

L’opera è un concept a tinte distopiche e sci-fi, caratterizzato da sonorità decisamente particolari.

Ora però non perdo neanche un secondo e ve lo faccio conoscere direttamente tramite le parole dei due autori, con i quali ho scambiato quattro chiacchiere a riguardo.

Di seguito l’intervista completa:

Come nasce il disco?

Il disco nasce in maniera molto naturale dopo innumerevoli e variegate esperienze musicali vissute insieme. Si è partiti da delle improvvisazioni che abbiamo iniziato a registrare, e da lì è pian piano venuta fuori la struttura dei brani veri e propri del disco. Un flusso creativo estremamente spontaneo, e anche giocoso, all’interno della quale sono stati modellati i pezzi.

In che modo è avvenuta la scelta del concept?

Il concept è nato in maniera abbastanza imprevedibile. Ad esempio non c’entra nulla il lockdown, l’isolamento eccetera, cosa che potrebbe sembrare. Poiché le registrazioni sono avvenute prima dell’avvento della pandemia. Abbiamo semplicemente attinto alla nostra passione per la fantascienza e tutto ciò che ne deriva..

Poi effettivamente si è trovato ad essere particolarmente attinente al momento storico che stiamo vivendo per pura casualità.

In ogni caso l’aspetto distopico non è stato il nostro primo fine, anzi forse maschera un significato più profondo, ossia un vero e proprio viaggio nei ricordi. La nostra musica infatti è la somma delle esperienze che abbiamo vissuto. Da quelle che appartengono alla nostra infanzia ai giorni attuali, raccontate con un approccio assolutamente ingenuo e genuino. Senza nessun vincolo di genere o stile.

Tra le cose che più mi hanno colpito c’è sicuramente il suono. Un’elettronica analogica, invece che digitale come spesso accade per opere a tema futuristico.

Come avete messo in piedi la struttura del disco?

Di base c’è un impianto rock, essendo noi musicisti rock. A questo si aggiunge la sperimentazione elettronica. Una sperimentazione che prende più spunto dalle sonorità calde. Quindi abbiamo virato sull’analogico piuttosto che sul digitale, che è sicuramente più di tendenza.  A questo tipo di ricerca, caratterizzata anche da strumenti costruiti personalmente a casa, si è affiancato anche il suono acustico. Per far incontrare due mondi che solo in teoria possono essere considerati divergenti. E ciò non accade unicamente dal punto di vista sonoro perché abbiamo voluto trasporlo anche attraverso i titoli e le tematiche dei brani.

Con lo scopo di creare un linguaggio che risulti interessante, senza la supponenza di dover dimostrare un’originalità a tutti i costi.

 

Molto particolare anche la scelta ritmica, che set avete utilizzato per crearla?

Abbiamo usato una batteria particolare chiamata cocktail, che viene dal jazz. E in effetti usare questo tipo di set per un genere come quello dell’album ha creato un suono particolare, in virtù proprio di un modo di comporre non usuale per quel tipo di strumentazione. Ci sono poi altre percussioni più o meno convenzionali, ma anche una rumoristica di uso domestico come padelle, ciotole, mestoli e così via. 

Tutti elementi che hanno un suono con una propria natura materica e non digitale.

Ci sono anche delle drum-machine che abbiamo utilizzato magari per dare qualche colore. Gli accenti però abbiamo voluto metterli sempre e solo sugli strumenti.

Quali sono state e quali sono le vostre influenze come musicisti?

Ascoltiamo veramente di tutto. Con la consapevolezza che da ogni cosa puoi arricchirti e trovare un incipit capace di portarti a scoprire qualcosa di differente, nonché a sviluppare una tua idea. E in questo disco tutto ciò è reperibilissimo, poichè ci abbiamo messo dentro tutta la nostra visione. Che riguarda la musica, ma tocca anche i cartoni animati della prima ora fino a quelli degli anni ‘80, i caroselli, i giocattoli. Come appare ancora più evidente nei videoclip dei brani. Andando un po’ più nello specifico dal punto di vista musicale possiamo dire che come influenze partiamo dal rock degli anni ‘50, e quindi Elvis, Chuck Berry, Jerry Lee Lewis. E poi gli anni ‘60 dove si apre un universo ancora più ampio tra Beatles, Pink Floyd, Led Zeppelin, Soft Machine. La psichedelia, il progressive, ma anche le colonne sonore specie quelle italiane, vedi Pietro Umiliani, Morricone, Trovajoli. Ovviamente anche la musica minimalista e l’elettronica di Stockhausen. Ma poi nel nostro bagaglio ci trovi anche Albano ed i Righeira, è un viaggio ricchissimo. Cerchiamo di cogliere sfumature da tutto.

 

Avete citato i due videoclip, che rubano decisamente l’occhio, in che modo sono stati realizzati?

Li abbiamo realizzati in casa con alcune sculture create da noi, come l’androide che si vede in entrambi i video. C’è l’ispirazione dalla mitologia greca ma anche da Metropolis. I robottini come la scenografia stile sfondo lunare allo stesso modo nascono dal nostro lavoro.

Le riprese sono state fatte quasi tutte in casa, tranne qualcuna a mare per il video di “Akragas”. Ci siamo molto divertiti nel realizzarli perchè piuttosto che creare delle clip dove la tecnologia prende il sopravvento abbiamo deciso di farli come si facevano una volta, con animazioni stop-motion ad esempio. Ispirandoci nel nostro piccolo ad artisti come Ray Harryhausen o Cristina Lastrego che nel cinema di animazione hanno creato cose meravigliose. La tecnica di ripresa è stata fatta fotogramma per fotogramma, scatto dopo scatto, il tutto montato insieme. Una tecnica assolutamente retrò. Alessandro si è occupato della fotografia e parte tecnica, io invece (Marco ndr.) mi sono occupato della creazione della scenografia e degli oggetti.

Avete pensato alle eventuali modalità da utilizzare per portare in scena quest’album dal vivo?

Abbiamo pensato ad alcune formule.

Una ad esempio è quella di proporre una versione minimale degli arrangiamenti. Un’altra invece prevede l’utilizzo di campionamenti che vanno ad intersecarsi con le parti suonate in tempo reale durante il live. E un’altra ancora sarebbe quella di portare altri musicisti per ricreare dal vivo l’intera tavolozza sonora del disco. Quello che ci preme è essenzialmente presentare la nostra musica con l’approccio più autentico possibile. Magari anche rivisitandola con delle improvvisazioni, in modo da lasciare un più ampio respiro e far sì che ogni esibizione possa essere differente dalla precedente.

Chi leggerà questa intervista dove potrà ascoltare e reperire il vostro disco?

Il disco è uscito nel maggio 2020 per l’etichetta inglese Blow-Up Records. Attualmente è disponibile su tutte le piattaforme digitali. Ci piacerebbe poterne avere in futuro una versione fisica, magari in vinile.

Che dire ragazzi, è stato un piacere fare questa chiacchierata!

Anche per noi, grazie mille, e un saluto ai lettori di TuttoRock!

Intervista a cura di Francesco Vaccaro