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HYPERION – Intervista al frontman Davide ‘Dave’ Cotti

HYPERION – Intervista al frontman Davide ‘Dave’ Cotti

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L’heavy metal italiano sembra godere di ottima salute e non fermarsi nemmeno davanti alle intemperie di questo periodo: di puro acciaio temprato è fatto anche l’album dei bolognesi HyperionInto the Maelstrom, da poco recensito su queste pagine con più di un elogio ed appena uscito sul mercato sotto etichetta Fighter Records. Abbiamo chiesto a Davide “Dave” Cotti, chitarrista, leader e principale songwriter della band di parlarci di questo secondo lavoro, in una chiacchierata piacevole.

Ciao e benvenuti sulle pagine di Tuttorock! Cominciamo questa intervista parlando un po’ di voi: da quando è nata la band? Da chi è composta?
Ciao, e grazie per averci concesso questo spazio! Gli Hyperion sono nati nel novembre 2015 con il preciso intento di creare una band di Heavy Metal tradizionale, senza fronzoli moderni e soprattutto senza sottostare a nessun trend musicale del momento. Dietro al microfono potete sentire la voce di Michelangelo Carano, noto anche per le sue apparizioni come cosplayer nei panni di He-Man; alle chitarre ci sono Davide Cotti (principale compositore di musiche e testi per il gruppo) e il virtuoso solista Luke Fortini (in passato chitarrista anche per Paul Di’Anno), al basso Antonio Scalia (entrato in line-up nel 2017, subito dopo la pubblicazione del nostro primo album), mentre abbiamo appena avuto un avvicendamento importante alla batteria: Marco “Jason” Beghelli, co-fondatore del gruppo, ha infatti deciso di lasciare la band dopo aver portato a termine le registrazioni del nuovo album. Abbiamo già trovato il sostituto ufficiale, con il quale stiamo già preparando i nuovi brani da presentare dal vivo, ma stiamo aspettando l’uscita dell’album per annunciarlo ufficialmente.

E’ in uscita il vostro secondo lavoro “Into the Maelstrom”, che ho avuto il piacere di ascoltare e recensire – mi è sembrato un bel passo avanti rispetto al vostro debutto: come è nato e quanto è durato il processo compositivo?
Iniziai a scrivere il materiale per il nuovo album immediatamente dopo aver terminato la produzione del nostro debutto Dangerous Days, nell’estate del 2017. Visto che la  Fighter Records ci aveva proposto un contratto per due album, non volevamo perdere tempo! Occupandomi sia dei testi che della maggior parte delle musiche, però, scrivere è per me un processo molto impegnativo, e assorbe buona parte delle mie energie – infatti il grosso del materiale è stato composto durante i periodi di vacanza (estiva e invernale) tra l’estate del 2017 e la fine del 2018, quando ho avuto modo di “staccare” maggiormente dal lavoro e dalle incombenze della vita di tutti i giorni, consentendomi di immergermi completamente nel processo di scrittura. In effetti, mi ero dato come scadenza le vacanze natalizie del 2018 per portare a termine la stesura delle canzoni, in modo da avere almeno due settimane di pausa prima di tuffarmi nel vortice delle registrazioni e della pre-produzione.

Non sembra trattarsi di un Concept Album, vi è però un legame tra le varie canzoni?
Come hai giustamente notato non si tratta di un concept, e ogni canzone è un “mondo” che esiste indipendentemente rispetto agli altri brani. Rileggendo i testi, però, mi sono accorto che nella maggior parte di essi si può trovare, a volte in modo esplicito mentre in altre più sottinteso, il concetto di “tuffarsi”: che si tratti di buttarsi nel “maelstrom” come nella title-track, o delle pericolose acrobazie aeree di Francesco Baracca a bordo del suo Spad XIII  (The Ride Of Heroes), o del famoso wrestler Mick Foley che si tuffa dalla cima della gabbia per strappare un’ovazione al pubblico (Fall After Fall), sembra che il tema dominante presente sull’album sia quello del buttarsi senza remore e senza paura in quello in cui si crede, che è poi sempre stato l’atteggiamento che ci contraddistingue come band.

Mi ha particolarmente colpito il brano “Tha Maze of Polybius”, che ho definito “una piccola metal opera” per gli arrangiamenti intricati, la lunghezza e i diversi momenti che la compongono: di cosa parla? Come nasce un brano del genere?
La canzone si basa sulla leggenda metropolitana del videogioco Polybius, che stando ai racconti sarebbe apparso in alcune sale giochi di Portland nel 1981, e che avrebbe avuto potenti effetti ipnotici e psicotropi sui malcapitati (e ignari) utenti. A quanto pare, giocare a Polybius avrebbe portato allo sviluppo di una forte dipendenza, alla comparsa di pericolosi effetti collaterali (allucinazioni, incubi notturni, amnesie) fino anche all’induzione al suicidio nei soggetti più fragili. Sempre secondo la leggenda, i cabinati di questo gioco venivano segretamente ispezionati da agenti governativi per analizzarne gli effetti sulla popolazione, come in una sorta di esperimento di massa. Nel corso dei decenni, la storia di Polybius divenne così popolare nella cultura pop americana che finì per apparire addirittura in una puntata dei celebri Simpson (stagione 18, episodio 03). La canzone è stata volutamente composta per essere intricata e strutturalmente complessa, per sottolineare la discesa nella psicosi e nella ludo-dipendenza del povero giocatore, che finisce per non poter più smettere di giocare mentre insistenti voci all’interno della sua mente lo spingono sempre di più verso una sinistra spirale di pazzia. Il perchè abbia deciso di trattare un tema di questo tipo, invece, è un aneddoto divertente: eravamo in sala prove a suonare come tutte le settimane e, all’improvviso, tra una canzone e l’altra iniziai a sentire il tipico effetto sonoro da vecchio videogioco degli anni ’80 (tipo Pac Man, per intenderci). Mi guardai intorno senza riuscire a capirne la provenienza, finchè non mi resi conto che era uno dei tanti tricks chitarristici del nostro Luke, che si stava divertendo con la sua Fender. In quel momento decisi che avrei dovuto scrivere una canzone che sfruttava quel tipo di suono, e infatti l’effetto che si sente all’inizio del brano non è altro che Luke mentre opera la sua “magia”.

 Durante l’ascolto ho trovato diverse assonanze a giganti del genere quali Iron Maiden, Judas Priest e soprattutto Megadeth, ma anche a band storiche del metal americano quali Armored Saint, Riot e Virgin Steele: queste band rientrano tra i vostri ascolti? Da cosa vi sentite maggiormente influenzati?
Senza dubbio tutti i pilastri del metal anni ’80 che hai citato fanno parte del nostro bagaglio culturale, e in un modo o nell’altro rientrano tra le nostre influenze. Michelangelo, ad esempio, è un devoto fan dei Manowar e, per quanto riguarda lo stile vocale, anche del grande Freddie Mercury; credo anche che sia impossibile non notare l’influenza di Yngwie Malmsteen sullo stile chitarristico di Luke. Per quanto mi riguarda, come songwriter credo di essere stato influenzato principalmente dalle grandi band inglesi della New Wave Of British Heavy Metal (Maiden, Priest, ma anche Satan e Angel Witch), mentre come chitarrista ho le mie radici nei primi lavori di Metallica e Megadeth (in fondo ho iniziato a suonare la chitarra, tanti anni fa, cercando di replicare i riff di Kill’em All). Mi piace pensare che la ricetta alla base del sound degli HyperioN sia proprio questa commistione di sonorità inglesi e americane, amalgamate tra loro con lo stile di ogni componente della band.

 Molti brani sembrano fatti apposta per essere presentati dal vivo, con ritornelli orecchiabili pronti per essere cantati dai fan: quanto per voi è importante portare la vostra musica on stage? Quanto è importante fare “show” durante i concerti?
Hai fatto centro anche questa volta, la nostra proposta musicale è pensata prima di ogni altra cosa per essere suonata su un palco davanti ai nostri fan, e le canzoni vengono scritte e registrate in modo quasi totalmente identico a come vengono proposte dal vivo. Si tratta di Heavy Metal classico in fin dei conti, e per noi questo significa stare sul palco a versare litri di sudore mentre il pubblico fa altrettanto scatenandosi e scuotendo la testa. La nostra mentalità “old-school” si proietta anche in questo aspetto, dal momento che quando suoniamo dal vivo non usiamo mai basi o sequenze pre-registrate, e tutto quello che si sente esce direttamente dai nostri amplificatori. Forse al giorno d’oggi questa può sembrare una mentalità eccessivamente arretrata, visto che la tecnologia ci permetterebbe con facilità di replicare fedelmente ogni sovraincisione e coro non eseguibile in modo “organico”, ma noi preferiamo attenerci alla tradizione che viene dalle grandi band del passato e offrire uno show magari più spartano, ma anche totalmente sincero e “ruvido” (in senso buono ovviamente).

“Into the Maelstrom” uscirà per la Spagnola Fighter Records come il precedente lavoro e vi state invece affidando all’italianissima Atomic Stuff per la parte promozionale: come è nata la collaborazione con queste due realtà?
Fighter Records fu una delle etichette che ci contattarono per proporci un contratto dopo aver ricevuto il nostro primo album Dangerous Days, e tra le varie proposte ricevute la loro era senza dubbio quella più seria e vantaggiosa. Nel panorama musicale di oggi, pare che ormai si sia consolidata l’idea che sia sufficiente pagare somme più o meno importanti per essere inseriti nel roster di una label e godere dei relativi vantaggi, in termini di immagine, che questo dovrebbe portare; Fighter invece non ci ha mai chiesto un euro, e ha finanziato per entrambi i nostri dischi sia la stampa dei CD fisici (cosa oggi veramente rara) che la promozione in tutto il mondo, solo perchè ha deciso di credere nel nostro progetto. Non potrò mai ringraziare abbastanza questa etichetta e il suo fondatore Dave Rotten, che ci ha sempre lasciato totale libertà artistica e organizzativa, procurandoci allo stesso tempo una piattaforma globale per diffondere la nostra musica in tutto il mondo. Per quanto riguarda Atomic Stuff, invece, eravamo rimasti molto ben impressionati dal loro operato sulla promozione del nuovo album di un gruppo di nostri amici, gli hard-rocker bolognesi Saints Trade (credo che tu li conosca, eheh), e abbiamo quindi deciso di metterci nelle loro mani per dare un “boost” alla promozione sul territorio nazionale; fino ad ora, devo dire, hanno svolto veramente un ottimo lavoro!

Il vostro album uscirà nel classico formato CD ma sarà anche disponibile su svariate piattaforme digitali come la oramai celebre Spotify: quanto pensate sia importante per un band underground come la vostra avere possibilità di fruire di canali per promuovere la vostra musica in formato “liquido”?
Beh, anche se noi siamo “vecchi” (diciamo old-school, che fa più figo) e continuiamo a preferire l’ascolto su CD, possibilmente con il booklet in mano per leggere i testi, siamo perfettamente consci che la comodità del formato digitale sia sostanzialmente impareggiabile. Inoltre è estremamente più facile diffondere la propria musica tramite questi canali, quindi siamo ben contenti di essere presenti su Spotify, Amazon Music, Youtube e così via.

Siete parte della cosiddetta New Wave of Bolo Heavy Metal (pagina facebook atta a supportare la scena rock e metal Bolognese e dei dintorni): quanto è solida e florida la scena rock e metal bolognese e quanto pensate che band come gli Hyperion possano dire la loro anche in ambito internazionale?
In quanto co-fondatore e gestore della pagina, posso dire con cognizione di causa che la scena bolognese è veramente incredibile, ci sono decine e decine di gruppi veramente validissimi, appartenenti a tutti i generi e sottogeneri immaginabili, e la qualità media è spaventosamente alta. Questa città ha dato vita a formazioni leggendarie, veri e propri pionieri nel loro genere in Italia – penso ai Danger Zone per l’hard rock, ma anche Rain, Tarchon Fist e Crying Steel per il Metal classico, senza dimenticare gli Electrocution per il death metal e Gli Atroci per il Metal demenziale (o parodistico). Oltre a questi pilastri fondamentali esiste un foltissimo sottobosco di gruppi veramente forti, che come tutti “sgomitano” per cercare di emergere in una scena nazionale veramente satura di proposte. Per quanto riguarda gli HyperioN, devo dire che forse riscuotiamo addirittura più consensi all’estero che in Italia, forse perchè come dice il proverbio nessuno è mai veramente profeta in patria.

Siamo giunti alla fine: oltre a comunicarci i vostri contatti social volete aggiungere altro?
Potete seguire gli HyperioN sia su Facebook (www.facebook.com/hyperionbandheavy/) che  su Instagram (www.instagram.com/hyperionband/) e YouTube (www.youtube.com/channel/UCeXgJCxbA9FJG1J_-_vzs1Q). Grazie infinite a Tuttorock per averci dato questo spazio prezioso per parlare direttamente con i nostri fan! Vorrei concludere con un appello: come tutte le band che avevano un disco in uscita in questo periodo, anche noi stiamo subendo una forte penalizzazione dovuta al lockdown e alla relativa impossibilità di promuovere il nuovo album dal vivo. Realizzare questo disco è stato uno sforzo non indifferente anche dal punto di vista economico, visto che ci siamo avvalsi della collaborazione di professionisti di massimo livello nei rispettivi campi per creare un prodotto che fosse in linea con le più blasonate uscite discografiche internazionali. In passato eravamo abituati ad auto-finanziarci vendendo CD e merchandising ai concerti, ma visto che ci troviamo in questa sfortunata situazione vi chiedo, se avete apprezzato il nostro lavoro (che tra l’altro è già disponibile per l’ascolto su YouTube, sul canale NWOTHM Full Albums) di supportarci, se potete, ordinando una copia del CD: potete farlo scrivendoci a hyperion@hyperionband.com, e appena la quarantena sarà finita ve lo spediremo. Grazie ancora e alla prossima!

Grazie dunque a Dave e ancora mille complimenti ai rocciosi Hyperion – non vediamo l’ora di vederli dal vivo innalzando alta la bandiera del metallo italiano!
Horns up!

SANTI LIBRA 

Band:
Davide Cotti – chitarra
Luke Fortini – chitarra
Michelangelo Carano – voce
Antonio Scalia – basso
Marco Jason Beghelli – batteria

Facebook: https://www.facebook.com/hyperionbandheavy/
YouTube: https://www.youtube.com/channel/UCeXgJCxbA9FJG1J_-_vzs1Q

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