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GAZEBO – Intervista al cantante icona della Italodisco degli anni 80′

GAZEBO – Intervista al cantante icona della Italodisco degli anni 80′

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Quello che segue è il frutto della mia chiacchierata con Paul Mazzolini, ovvero Gazebo, colui che con la sua hit “I like Chopin” e tanti altri successi ha venduto più di 12 milioni di dischi nel mondo, una vera icona degli anni 80’.

Ciao Paul, benvenuto su Tuttorock, innanzitutto, come va per te questa ripartenza e come hai vissuto il periodo di lockdown?

Ciao, grazie, è un piacere 🙂

Indubbiamente abbiamo vissuto una situazione epocale che per me si va a sommare ai momenti che ho vissuto in prima persona come la guerra dei 6 giorni (ero ad Amman con mio padre nel 1967) e gli anni di piombo degli anni 70’. Mentalmente ero pronto e non mi ha stravolto più del dovuto avendo lo studio sotto casa ed essendo abituato ai grandi cambiamenti, ripartire è vitale non solo per un discorso remunerativo ma soprattutto a livello psicologico, il sole dopo la tempesta è la speranza.

Questa tua nuova versione “I Like Chopin 2020 (Coronaversion)”, è accompagnata da un video che presenta una schermata iniziale di un computer anni 80 dove c’è una dedica in italiano a medici e infermieri, è il tuo modo di dire grazie a chi ha combattuto e sta combattendo questa pandemia?

Mi era sembrato il minimo, ringraziare, con umiltà per il lavoro svolto in situazioni devastanti, molti operatori sanitari hanno anche perso la vita, questo non si può dimenticare.

E alla fine il testo che si legge sul computer diventa in inglese, a dimostrazione del fatto che il messaggio vuole arrivare ovunque, e anche il tuo brano dal 1983 ad oggi è arrivato ovunque, sei consapevole di essere un’icona dell’Italo Disco e della musica in generale?

Beh “I Like Chopin” in particolare è stata una hit quasi planetaria direi e pertanto molti dei fan sono di varie nazionalità ed il fenomeno del virus è anch’esso globale e pertanto il messaggio è per tutti! “Masterpiece” del 1982 è probabilmente il capostipite del genere “italodisco” e di questo sono molto felice perchè è riuscito a creare un genere nuovo che non esisteva miscelando new wave, dance, elettronica, melodia Italiana e atmosfere romantiche. Per una volta dopo i classici della musica Italiana degli anni sessanta riuscivamo ad esportare idee musicali invece che creare copie e cloni da quelle Anglo Americane. Gli Inglesi ed i Tedeschi sono venuti a copiare da noi stavolta (ride – ndr).

Io conto poco, mi piace pensare che questi brani ormai appartengono alla gente, che li ha vissuti in un momento della propria vita, fa parte di loro.

Nel video sono presenti tv vintage che trasmettono i vari componenti della tua band e il video originale di “I like Chopin”, quindi hai voluto omaggiare un periodo molto florido per quanto riguarda la musica italiana da discoteca, gli anni 80’, che differenze nella disco music di oggi?

Sì, invece dei quadratini di Zoom o Skype ho preferito collocare i miei musicisti in televisori vintage per ricollegarli alle atmosfere degli anni 80’ (ride – ndr).

La musica degli anni 80′ compresa la dance era ancora in mano ai musicisti, bisognava andare in uno studio di registrazione, chiamare i musicisti ed i fonici… c’era la necessità di aver un certo budget (perchè i dischi si vendevano), si curavano i suoni singolarmente (non i loop campionati come oggi) e pertanto la qualità e l’unicità di ogni singolo progetto erano una prerogativa.

I media erano aperti a questa diversità e si poteva poi sentire un po di tutto anche le cose più strambe, vi ricordate “Da da da” dei Trio?

Oggi con la “omologazione” che impongono i network, la facilità che offrono le applicazioni (anche su tablet) di costruire brani come fossero un Lego, chiunque può produrre un brano “radiofonico” o “ballabile”… Sul giudizio sorvolo perchè ogni generazione ha i suoi paradigmi ed è giusto così. Ti sorprenderà però forse sapere che nei miei concerti vedo sempre più spesso degli adolescenti che hanno ancora la mente aperta per ascoltare “without pregiudice” come diceva George Michael.

L’album del 2018 “Italo by Numbers” in cui hai rivisitato alcuni cavalli di battaglia di quegli anni, tra cui “Self Control” di Raf e “People From Ibiza” di Sandy Marton, com’è stato accolto da critica, fan e da coloro che avevano cantato quei singoli?

Ho fatto un lavoro rispettoso delle versioni originali in maniera quasi maniacale utilizzando gli strumenti di allora. Ai colleghi che ho potuto contattare è piaciuto, peccato non aver potuto fare sentire la mia versione di “Survivor” a Francesco Puccioni (Mike Francis) che conoscevo personalmente ma purtroppo ci ha lasciati qualche anno fa. Ai fan sono piaciuti da quanto vedo durante i concerti, Tarzan Boy e Easy Lady sono molto apprezzati! La critica? Ha cose molto più importanti da criticare o da scoprire (tipo il nuovo Dylan) (ride –ndr), di solito la Italo non la menzionano neppure, per fortuna direi.

8 milioni di copie vendute tra il 1983 e il 1984, numeri oggi impossibili da raggiungere, anche e soprattutto per l’arrivo di internet e delle piattaforme digitali, tu come hai vissuto e come vivi questo cambiamento?

Sicuramente il digitale ha devastato l’industria discografica, molta gente che lavorava nelle label si è ritrovata senza lavoro ma i musicisti che hanno saputo reinventarsi ed approfittare delle nuove piattaforme hanno trovato nuove opportunità e più libertà artistica senza i filtri delle etichette e dei media. Le major si sono tuffate nei Talent show e nel Live ma vivono di cataloghi, milioni di brani che possono sfruttare spesso senza riconoscere agli artisti un giusto compenso. Io sono un fortunato, sono indipendente, ho la mia label, lo studio ma soprattutto l’affetto del mio pubblico che ritrovo nei miei concerti.

I veri penalizzati sono i giovani talenti soprattutto se non “omologati” per la TV o per i network.

Qual è il tuo ricordo musicale più bello e quale quello più brutto?

Beh mi ricordo con piacere il giorno in cui Holly Johnson dei Frankie Goes to Hollywood mi fece i complimenti per “Masterpiece” che metteva nei club quando faceva il DJ. (Masterpiece era stata numero per quasi un anno nelle Gay Club Charts Inglesi).

Tra i ricordi brutti quel “io non credo nell’artista ma nel prodotto” che esclamò il capo della Baby Records in una discussione, mi alzai e recisi il contratto pagando la penale.

Una curiosità, hai mai finto di essere inglese o americano durante la tua carriera?

Sì, all’inizio, volevamo tenere segreto il fatto che fossi Italiano per il provincialismo dei media di allora. Essendo io di madrelingua Inglese nessuno si accorse che “Masterpiece” era Italiana! I DJ compravano la white label convinti di aver un disco di importazione.

Persino quando feci la promozione qualche presentatore ci cascò e ci furono molti momenti di ilarità quando scoprivano che ero Italiano.

Stai pensando a qualche nuova uscita discografica?

Ho moltissime idee da portare avanti, qualcuna è anche extra musicale, vediamo e speriamo passi presto questo virus.

Anche se viviamo nell’incertezza più totale, hai qualche live in programma?

Ho fatto il mio primo evento post Covid proprio sabato scorso e devo dire che è stato emozionante, la gente aveva voglia e bisogno di musica live. C’è da qui a novembre una piccola serie di concerti con la band ma credo che bisognerà aspettare il 2021 per riprendere regolarmente.

Grazie mille per il tuo tempo, vuoi dire qualcosa ai lettori di questa intervista e ai tuoi fan?

Grazie a te, a tutti i nostri lettori ed amici invio l’augurio di riprendersi piano piano la loro vita e di poterli incontrare in qualche concerto con più serenità. Ciao!

MARCO PRITONI