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ELLI DE MON – Intervista alla songwriter, cantante, polistrumentista e scrittrice

ELLI DE MON – Intervista alla songwriter, cantante, polistrumentista e scrittrice

In occasione dell’uscita del nuovo album “Raìse”, pubblicato in formato CD, vinile e digitale il 19 febbraio 2025 per l’etichetta indipendente italiana Rivertale Productions, ho avuto il piacere di intervistare la songwriter, cantante, polistrumentista e scrittrice Elli de Mon.

Conosciuta negli anni come onewomanband presente su palchi internazionali con un sound nutrito principalmente di garage blues e psichedelia indiana, Elli de Mon compie una svolta significativa nella sua ricerca stilistica con “Raìse”, ovvero radici. Ispirata da una intrigante leggenda legata ai luoghi dove è cresciuta, il paese di Santorso, l’artista avverte la necessità di esprimersi utilizzando la sua lingua madre, il dialetto vicentino, abbandonando la lingua inglese con cui ha scritto i suoi precedenti album. Un immaginario fatto di luoghi, riti e volti che narra il percorso interiore tra oscure discese ricche di simbologia pagana, di un uomo di nome Orso che si è perso e che camminando ritrova se stesso. Dichiarato in seguito Santo dalla Chiesa Cattolica, Elli ne subisce la fascinazione soprattutto in quanto uomo, con i suoi limiti, le sue crisi, il suo voler uscire da se stesso e incontrare il proprio mistero, mettendosi in pozzi bui e difficili da risalire. Per esprimere al meglio questa narrazione, Elli de Mon ha usato un organico diverso dalla onewomanband: archi – principalmente il contrabbasso, strumento in cui è diplomata – chitarre, percussioni, batteria, harmonium, dilruba, sitar e soprattutto la voce, protagonista con timbri diversi. Il risultato è un disco tra gospel e stoner, passando per antiche ballate modali e arrivando a tradizionali rivisitati in chiave dark. Un lavoro fatto di contrasti, pieni e silenzi che esulano dal confine di un solo genere musicale. Elli de Mon dal vivo sarà affiancata dai Raìse, formazione nata per questo progetto composta da Marco Degli Esposti e Francesco Sicchieri, rispettivamente alle chitarre e alle percussioni/batteria.

Parte integrante del progetto “Raìse” oltre all’album, è un libro illustrato dall’artista Luca Peverelli, che reinterpreta la leggenda di Sant’Orso, il paese natale dell’autrice, Elisa De Munari (Elli de Mon).
L’opera, incentrata sulle evocative illustrazioni di Luca Peverelli, si articola in dodici canti che esplorano temi universali e archetipici intrecciandoli ad elementi della tradizione locale, guidati dalla voce introspettiva del protagonista.  Il racconto segue il viaggio fisico e spirituale di Orso, un uomo tormentato dal suo passato e alla ricerca di redenzione. Attraverso il suo monologo, emergono riflessioni profonde su colpa e perdono, identità e trasformazione, alienazione e appartenenza, creando un ponte tra il mito e l’esperienza contemporanea. Il viaggio di Orso verso il monte Summano diventa una metafora del percorso interiore dell’individuo verso la riconciliazione e l’accettazione di sé.

Ciao e benvenuta su Tuttorock, “Raìse” è il tuo nuovo album (da me molto apprezzato), quando e com’è nata l’idea di raccontare una leggenda proveniente dai luoghi in cui sei cresciuta?

L’idea di “Raìse” è nata in modo spontaneo, quasi inevitabile. La storia di Sant’Orso è qualcosa che mi accompagna da sempre, l’ho sentita raccontare fin da bambina. Però, più che la dimensione religiosa o agiografica, visto che non sono cattolica, mi ha sempre colpito la profondità umana del suo percorso. C’è un uomo che si confronta con il peso delle proprie azioni, con la colpa, con la ricerca della redenzione. È un racconto che va oltre il contesto locale e tocca corde universali. Ho sentito il bisogno di tradurlo in musica perché era un messaggio che risuonava profondamente dentro di me.

La scelta del dialetto vicentino è stata immediata o in principio avevi pensato, come nei tuoi precedenti lavori, alla lingua inglese?

Il dialetto è stata una scelta naturale, quasi obbligata. Essendo la mia lingua madre, era il mezzo espressivo più autentico per raccontare questa storia. In inglese non avrei mai potuto restituire le stesse sfumature, la stessa visceralità. Il dialetto porta con sé un’energia primitiva e un legame profondo con la terra e la memoria collettiva. È stato come scavare a mani nude nelle radici della mia cultura e, allo stesso tempo, scoprire una nuova libertà espressiva.

Riguardo alla parte strumentale, com’è avvenuta la scelta degli strumenti che sono stati utilizzati?

Gli strumenti sono stati scelti per creare un impatto sonoro forte e primitivo. Ho voluto un suono ruvido, ancestrale, che potesse evocare il peso della storia che raccontavo. Ho usato strumenti tradizionali come il contrabbasso e le percussioni, ma li ho combinati con elementi più sporchi e distorti, tipici del rock e dello stoner e con strumenti etnici, come il sitar e la dilruba. Il risultato è un suono che oscilla tra il rituale e il viscerale, tra il sacro e il terreno.

La copertina da chi è stata realizzata?

L’ha realizzata Luca Peverelli, un artista straordinario che ho conosciuto a un mio concerto. Ha lavorato sia alla copertina del disco che al libro illustrato che accompagna l’album. Gli ho lasciato carta bianca perché sentivo che poteva interpretare visivamente quello che avevo in mente, e infatti ha saputo cogliere perfettamente l’essenza del progetto. L’immagine che ha creato è ricca di simboli, riflette il dualismo di Orso e il viaggio interiore che rappresenta.

Un libro illustrato che segue di pari passo le tracce del disco?

Sì, il libro è una sorta di estensione del disco, un approfondimento narrativo che si sviluppa in dodici canti, proprio come le tracce dell’album. È un monologo interiore di Orso, in cui emergono i suoi conflitti, le sue paure, il peso del passato e la ricerca di una nuova identità. Il libro e il disco si intrecciano, ma non sono una semplice trasposizione uno dell’altro: si completano, offrendo due chiavi di lettura della stessa storia.

Ascoltando i tuoi brani e osservando le illustrazioni, mi sono immaginato un musical o comunque un’opera teatrale su questa leggenda, tu ci hai pensato?

In realtà sì, ci ho pensato. La dimensione teatrale è molto presente in “Raìse”, sia nella musica che nel testo. La storia ha un’impronta fortemente evocativa e visiva, quindi un adattamento teatrale o performativo potrebbe essere una naturale evoluzione del progetto. È qualcosa che mi piacerebbe esplorare, magari collaborando con artisti di altre discipline. Ma ci vogliono tanti soldi che io non ho! Quindi questo potrebbe essere un appello a qualcuno che li ha (ride – ndr)…

Hai già qualche data live in programma?

Sì, abbiamo già una serie di concerti fissati nei prossimi mesi. Per ora il calendario è in costruzione, ma l’idea è di portare “Raìse” in giro il più possibile, cercando spazi adatti all’atmosfera intima e intensa del disco. Sto anche riscoprendo il piacere degli house concert e dei piccoli teatri, luoghi in cui il pubblico è più attento e ricettivo.

Con quale formazione ti presenterai sul palco?

Suonerò in trio, insieme a Marco e Francesco. È una dimensione nuova per me, abituata a esibirmi da sola, ma sentivo il bisogno di una resa sonora più potente e stratificata. Il live sarà molto dinamico, con continui cambi di strumenti e atmosfere, per restituire la complessità sonora di “Raìse”.

Per le tue pubblicazioni future hai già qualche idea o ora ti concentri totalmente su “Raìse”?

Ora sono completamente immersa in “Raìse”, perché sento che ha ancora molto da dare, sia a me che al pubblico. Ma ovviamente la mente non smette mai di lavorare, quindi qualche idea per il futuro c’è già. E anche un progetto già pronto che svelerò a tempo debito. Vedremo dove mi porterà questo viaggio.

Grazie mille per il tuo tempo, vuoi aggiungere qualcosa per chiudere questa intervista?

Grazie a voi per lo spazio e per l’attenzione. L’unica cosa che mi sento di dire è: supportate la musica, specialmente quella indipendente. Non è un momento facile per nessuno, e il sostegno di chi ascolta e partecipa ai concerti fa davvero la differenza.

MARCO PRITONI

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Foto: Marco Olivotto

Artwork: Luca Peverelli