ALESSANDRO FERRETTI – Intervista su “Basta Walter!”


In occasione dell’uscita del suo primo album “BASTA WALTER!” ho intervistato il cantautore bolognese ALESSANDRO FERRETTI.
“Basta Walter!” è un titolo che incuriosisce subito: chi è Walter, e cosa rappresenta per te?
Tra amici mi piace scherzare facendo la parte del classico signore sulla sessantina del bar sport di provincia per cui a volte provo grande pena e altre stima incredibile. Non so se anche nelle altre regioni è così, ma ho notato che qua in Emilia Romagna una buona parte di questi personaggi hanno nomi “esotici” come Eros, Loris o Walter, appunto. Walter per me è nemesi ed alter ego allo stesso tempo.
Come è nato questo disco? C’è stato un momento preciso in cui hai sentito che era arrivata l’ora di fare il tuo primo album?
Una sera leggendo un articolo di giornale vidi la parola “monomito” e, mi perdonerete l’ignoranza, andai a cercarne il significato. Il monomito, o “viaggio dell’eroe”, è una struttura narrativa ricorrente che descrive il percorso dell’eroe che parte per un’avventura, affronta prove e crisi, si trasforma e poi ritorna a casa cambiato. Il Signore degli Anelli, Guerre Stellari e l’Odissea, solo per citare i primi che mi vengono in mente, hanno tutti questo tipo di schema. Una volta analizzato ed interiorizzato il concetto decisi di raccogliere qualche canzone sfusa dal mio “archivio”, metterle in ordine di scaletta e riempire i buchi con canzoni nuove. Un po’ senza volere mi sono ritrovato con un album tra le mani.
Il disco fonde atmosfere beatlesiane, western urbani e ballate intime. Quanto ti sei divertito a mescolare generi così diversi? Quali sono stati i tuoi primi ascolti musicali?
Mi sono divertito tantissimo perché ma non nego che ho avuto, ed ho, tanti momenti di profonda frustrazione perché non riesco ad ottenere esattamente il sound che ho in testa. In verità non ho gusti musicali particolarmente eclettici, se mi lasciassero su un’isola deserta SOLO con dischi anni 60 potrei campare cent’anni. La band che mi ha fatto prendere la chitarra sono stati gli Oasis, in seguito i Beatles mi hanno insegnato qualche accordo in più. Poi nella mia vita mi è capitata tra le orecchie la musica di Brian Wilson e i Beach Boys che mi ha spaccato la testa a metà, in senso buono però.
Hai lavorato con Ugo Cappadonia e altri musicisti molto esperti: che cosa hai imparato da loro in studio?
“minchia compare zaffo???”
“Non è casa mia” è una delle canzoni più toccanti del disco. Ci racconti com’è nata?
Mi ricordo di averla scritta nei giorni di Ferragosto un paio di anni fa. Ho sempre trovato affascinante quella leggera tensione tonale che c’è nei temi musicali di James Bond e quello è stato il punto di partenza. In quei giorni ascoltavo spesso la canzone “Altrove” di Morgan e mi era rimasta impressa la parte in cui dice “Applico alla vita / i puntini di sospensione / che nell’incosciente / non c’è negazione”. Allora iniziai a strimpellare timidamente borbottando la melodia vocale con testo improvvisato e mi uscii il primo verso “nei miei sogni non c’è negazione”. Da lì poi è stato tutto molto naturale.
In “Mamma No” c’è una rabbia lucida, generazionale. È un pezzo autobiografico o più simbolico?
Ci sono alcuni passaggi autobiografici ma mi piace mantenere le canzoni aperte all’interpretazione di ognuno. Io, per esempio, non l’ho mai sentita come “generazionale”, però il fatto che qualcuno la possa considerare così o in mille altre modi diversi mi da strumenti per cercare di capire meglio cosa io stia effettivamente cercando di comunicare, perché il più delle volte onestamente mi sfugge anche a me.
Entrambi i brani parlano di distacco, di rifiuto di un’identità imposta. È un filo conduttore consapevole del disco?
Mi piacerebbe veramente parlare di altro, ma ammetto che scrivere i testi per me è un peso perché non credo di essere abbastanza bravo e ogni volta è molto frustrante, quindi mi pongo come obiettivo minimo di scrivere qualcosa che non faccia troppo schifo. Non è molto poetico da dire ma è la verità. Quindi è un filo conduttore consapevole fino ad un certo punto.
Quando hai cominciato a scrivere canzoni, e cosa ti ha spinto a farlo?
Quando avevo 17 anni mio fratello mi fece scoprire un cantante con un catalogo industriale da centinaia di migliaia di canzoni, una più tremenda dell’altra. Mi posi l’obiettivo di scrivere quante più canzoni riuscissi, belle o brutte che fossero. Ho fatto la prima, bruttina e demenziale, ho fatto la seconda, demenziale ma con sentimento, ho fatto la terza, la quarta…dopo una decina di canzoni notai già un notevole miglioramento ed alcune erano anche particolarmente orecchiabili. Da lì non mi sono mai più fermato.
Hai dei riferimenti letterari o cinematografici che influenzano la tua scrittura?
Guardo pochi film e leggo pochi libri, però ogni volta lasciano un piccolo segno che influenzano qualcosa della mia musica. Penso per esempio all’immaginario di “Bar Sport” di Stefano Benni e il mio personaggio di Walter, oppure le atmosfere di James Bond in “Non è Casa Mia” o anche gli arrangiamenti spaghetti western alla Morricone in “Essere Qualcuno Per Te. Anche il film “Drive” del 2011 di Refn ha senza dubbio un posticino nel mio cuore.
Scrivi più di getto o sei uno di quelli che limano ogni parola fino allo sfinimento?
Le parole solitamente rimangono immutate dall’inizio alla fine, mentre l’arrangiamento lo cambio e lo stravolgo in maniera compulsiva, spesso rovinando le canzoni. La cosa più difficile in musica è saper dire basta al momento giusto.
Come ti trovi nel panorama musicale italiano contemporaneo? Ti senti parte di una “scena” o più outsider?
Sono completamente alieno a qualsiasi scena e movimento musicale, sia a livello nazionale che nella mia città, Bologna. Con questo non intendo essere altezzoso e guardare con disprezzo quello che fanno gli altri. Sono semplicemente molto introverso. Anzi, “sono un topo”.
Hai già in mente un prossimo progetto? O per ora vuoi solo goderti questo momento?
Ancora niente di concreto ma mi piacerebbe fare un album più sofisticato, più bucolico, che non sia subordinato al solito schema strofa-ritornello-strofa-ritornello o alla griglia dei bpm fissi e robotici. Più le mie canzoni in “Basta Walter!” e più ho voglia di disintegrarle e fare qualcosa di meglio.
Che tipo di ascoltatore speri di raggiungere con Basta Walter!?
L’unica cosa che mi importa è raggiungere qualcuno che tenga veramente a quello che faccio e che senta le stesse cose come le sento io. Non ho pretese da rock star, mi bastano anche solo due persone ma che siano completamente oneste e genuine quando mi dicono “mi piace davvero la tua roba!”. Questo mi renderebbe la persona più felice del mondo. D’altra parte i complimenti di circostanza mi fanno solo innervosire, così come alcune recensioni fin troppo lodevoli.
Se potessi scegliere un artista con cui collaborare (vivo o morto), chi sarebbe?
Brian Wilson oggi ha 82 anni e non è più in attività da qualche anno per motivi di salute (ndr: ora non più tra di noi). Se fosse in forma amerei stare con lui in studio di registrazione.
Una canzone (non tua) che avresti voluto scrivere tu? Al momento vedi cose interessanti da ascoltare?
Ammetto che ho pensato a lungo a questa domanda e spero di non essere frainteso: non c’è nessuna canzone pop o rock che avrei voluto scrivere io. Prendete qualsiasi mostro sacro del pop o rock che volete, prendiamo Paul McCartney (che io amo alla follia, sia chiaro): le sue rimarranno sempre “canzonette”. In cambio composizioni come la Rapsodia in Blu di Gershwin, per fare un esempio, hanno momenti in cui c’è veramente da chiedersi come faccia l’essere umano a creare qualcosa di così bello. Talmente bello che non può averlo fatto lui ma deve essere stato Dio, oppure è l’uomo che sa anche essere Dio quando vuole. E dico questo da non credente e lontano da qualsiasi spiritualità.
Per rispondere alla prima domanda: Rapsodia in Blu di Gershwin.
Cose interessanti da ascoltare ci saranno assolutamente ma io sono l’ultima persona da cui vorreste dei consigli musicali freschi. Oggi ho ascoltato per la prima volta “The Unanswered Question” di Charles Ives e ho ancora ogni pelo del corpo rizzato se ripenso a cosa ho ascoltato. Ascoltate Charles Ives.
Come ti immagini tra dieci anni: ancora in studio, su un palco… o magari in tutt’altro posto?
Sperando di arrivare ai 35 anni, mi vedo ancora a giocare in studio e divertirmi. Il palco però spero di non rivederlo mai più, più che altro odio il pre palco e il post palco.
MAURIZIO DONINI
Band:
Alessandro Ferretti
https://www.youtube.com/@alessandroferrettitv
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CEO & Founder di TuttoRock - Supervisore Informatico, Redattore della sezione Europa in un quotidiano, Opinionist in vari blog, dopo varie esperienze in numerose webzine musicali, stanco dei recinti mentali e di genere, ho deciso di fondare un luogo ove riunire Musica, Arte, Cultura, Idee.